Beppe Alfano stava rientrando a casa, a Barcellona Pozzo di Gotto. Erano da poco passate le 22 e quella sera, l’8 gennaio di diciotto anni fa, lo aspettavano anche i killer di Cosa Nostra per ammazzarlo. Beppe Alfano era corrispondente del giornale “La Sicilia” da Messina. Scriveva di mafia in modo chiaro e puntiglioso. Denunciò quello che molti non avevano il coraggio di fare: la presenza della criminalità organizzata negli affari in una zona della Sicilia che tutti ritenevano immune dagli interessi di Cosa Nostra. Dai suoi articoli nacquero grandi inchieste, ma anche la sua condanna a morte, perché era solo nelle sue denunce. Lo ammazzarono con tre colpi di pistola mentre era a bordo della sua auto.
Beppe Alfano lo ha ricordato anche il senatore del PD, Giuseppe Lumia, in una nota diffusa dalle agenzie di stampa. «Nella provincia di Messina, cosiddetta 'babbà perché allora erroneamente considerata immune dal fenomeno mafioso, Beppe Alfano svelò una realtà ben diversa da quella che si voleva far credere». Lo dice il senatore Pd Giuseppe Lumia, ricordando il giornalista ucciso dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) l'8 gennaio 1993. «Nei suoi articoli e nelle sue inchieste giornalistiche - aggiunge - raccontò la presenza di consorterie criminali e collusioni mafiose con il mondo delle istituzioni locali e degli affari che condizionavano la vita politica, economica e sociale. Una scelta coraggiosa che Alfano fece per amore del giornalismo e della sua terra, quando scrivere di mafia voleva dire guadagnare una miseria e allo stesso tempo rischiare la vita. Beppe Alfano sapeva che per combattere la mafia bisognava renderla visibile ai cittadini, chiamarla per nome, spiegarne gli effetti nefasti sulla vita dei cittadini e delle imprese. La sua testimonianza è un faro per chi vuole intraprendere e per chi svolge l'attività giornalistica, ma anche un esempio di coraggio e di libertà per tutti».
Nessun commento:
Posta un commento