domenica 31 luglio 2011

STRAGE BOLOGNA: 2 AGOSTO 1980, 85 MORTI E 200 FERITI PER BOMBA ALLA STAZIONE

Una valigia carica di tritolo esplosa in una delle stazioni più affollate d'Italia. Ottantacinque morti, 200 feriti, panico e distruzione. È forse la pagina più oscura della storia del dopoguerra. Un eccidio senza precedenti, in cui al sangue si mescola l'intrigo e il dramma di una verità che non convince fino in fondo. Per la strage di Bologna sono stati condannati in via definitiva Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, eppure la verità su ciò che accadde quel 2 agosto del 1980 sembra essere ancora lontana. I mandanti dell'attentato non sono mai stati chiariti e nuove piste continuano a spuntare continuamente. Mentre la ricchissima e sempre nuova pubblicistica sulla materia dimostra che sono in pochi ad accontentarsi della verità giudiziaria finora accertata, una verità che lascia aperti tanti punti interrogativi. Bologna resta uno dei misteri italiani. Ecco le fasi principali di questa lunghissima vicenda: - 2 AGOSTO 1980: Sono le 10.25 di una caldissima mattina di metà estate, il 2 agosto del 1980, quando una bomba esplode nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna . Lo scoppio è violentissimo: provoca il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina e investe anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il bilancio finale è di 85 morti e 200 feriti.
1 GIUGNO 1981: Si costituisce l'Associazione tra i familiari delle vittime della strage con lo scopo di «ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta». Nei successivi processi si costituirà in qualità di parte civile, e darà un impulso significativo a tutte le fasi della vicenda, dall'inchiesta all'ultimo gradi di giudizio. - 25 LUGLIO 1984: L'Associazione tra i familiari consegna al presidente del Senato Francesco Cossiga una proposta di legge di iniziativa popolare per l'abolizione del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo. - 11 LUGLIO 1988: La sentenza di primo grado infligge 4 ergastoli: Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Massimiliano Fachini, Sergio Picciafuoco, tutti estremisti di destra. Dieci anni per depistaggio vengono inflitti invece a Licio Gelli, Francesco Pazienza, e ai due ufficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Sono condannati per banda armata Paolo Signorelli, Roberto Rinani, Egidio Giuliani, Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Sergio Picciafuoco, Massimiliano Fachini.
18 LUGLIO 1990: La sentenza di appello assolve tutti dall'accusa di strage . C'è il concreto rischio che si debba ricominciare tutto dall'inizio. - 12 FEBBRAIO 1992: Le sezioni penali unite della Corte di Cassazione decidono che il processo di appello deve ricominciare. Secondo la Suprema Corte la sentenza di secondo grado è «illogica, priva di coerenza, scarsamente motivata, non ha tenuto conto dei fatti che precedettero e seguirono l'evento e in alcune parti i giudici hanno sostenuto tesi investigative che neppure la difesa aveva sostenuto». - 16 MAGGIO 1994: La nuova sentenza di appello conferma l'impianto accusatorio del processo di primo grado. Gli esecutori Mambro, Fioravanti e Picciafuoco vengono condannati all'ergastolo. Confermata l'accusa di depistaggio per Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte. E la banda armata per Fioravanti, Mambro, Picciafuoco, Giuliani e Cavallini. - 23 NOVEMBRE 1995: La Cassazione conferma il secondo processo di appello. Francesca Mambro e Valerio Fioravanti sono condannati definitivamente all'ergastolo quali esecutori della strage . Dall'ottobre 2000 Francesca Mambro gode dela sospensione della pena per maternità. Valerio Fioravanti ha usufruito del beneficio del lavoro fuori dal carcere. Proclamatisi sempre innocenti per la strage del 2 agosto 1980, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti hanno più volte ribadito che qualora dovessero emergere elementi su cui fondare l'istanza, chiederanno la revisione del processo.
30 GENNAIO 2000: Il Tribunale dei minori assolve Luigi Ciavardini dal reato di strage , condannandolo invece per banda armata a tre anni e 6 mesi. - 9 MARZO 2002: La sezione minori della Corte d'Appello di Bologna ribalta la decisione del Tribunale dei minori: Luigi Ciavardini viene condannato a 30 anni come esecutore dell'attentato. Per i giudici di secondo grado, infatti, Ciavardini avrebbe svolto «un compito determinante, direttamente connesso alla materiale esecuzione del crimine». - 17 DICEMBRE 2003: La prima sezione penale della Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna di Ciavardini. - 13 DICEMBRE 2004: La sezione minori della Corte d'Appello di Bologna , con un collegio diverso, torna a pronunciarsi sul caso Ciavardini dopo l'annullamento con rinvio della precedente sentenza da parte della Cassazione. L'ex Nar viene condannato a 30 anni di reclusione. Ora è in attesa che sul suo caso si pronunci la Cassazione.
NOVEMBRE 2005: La procura felsinea apre un nuovo fascicolo d'indagine. La nuova inchiesta prende le mosse dalla pista mediorientale e dagli atti della commissione Mitrokhin, dalle cui carte emerge la presenza a Bologna il 1 agosto del 1980 del militante tedesco esperto di esplosivi Thomas Kram, del gruppo «Cellule Rivoluzionarie», il braccio destro del terrorista internazionale Carlos 'lo Sciacallò detenuto in Francia dal 1994. - 4 DICEMBRE 2006: Kram pone fine alla sua lunghissima latitanza e si costituisce alle autorità tedesche. Dopo essere rimasto a disposizione dei magistrati federali a Karlsruhe, il terrorista circa un mese dopo riesce a ottenere la libertà condizionale. - 12 GENNAIO 2007: La Procura di Bologna presenta una rogatoria per poter sentire Kram come persona informata sui fatti e chiedere informazioni sulla sua presenza nel capoluogo emiliano l'1 agosto 1980, attestata dalla registrazione a suo nome di una stanza in un albergo sotto le Due Torri e il 2 andò via. - 11 APRILE 2007: La seconda sezione penale della Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato dai legali dell'ex Nar Luigi Ciavardini, che viene condannato con sentenza definitiva a 30 anni di reclusione per la strage . - 24 MAGGIO 2007: Rivelazione choc di Stefano Sparti, figlio del principale testimone al processo per la strage del 2 agosto 1980: «Mio padre Massimo Sparti, nella storia del processo di Bologna ha sempre mentito. Si è sempre vantato, di fronte a noi, con altre persone, di avere le lastre di un'altra persona, relative ad una malattia che in realtà lui non aveva, cioè il tumore».
FONTE: ADNKRONOS

STRAGE BOLOGNA: FAMILIARI GEORGOFILI, DA GOVERNO RITORSIONE

 Il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi, sostiene, da giorni, che l'assenza di esponenti del governo alle commemorazioni in programma martedì prossimo è un atto di «ritorsione». Adesso, a usare lo stesso termine è Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell«Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofilì. »Ricordiamo le vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 - scrive in una nota - lo faremo vicini alle famiglie che ricordano i loro morti e a quanti sono sopravissuti al più infame degli attacchi che la democrazia di questo Paese abbia subito. È per questo che ci rifiutiamo di accettare la mancanza dei rappresentati del Governo sul palco di Bologna quando il Paese si stringerà intorno alle vittime in ricordo di tragici momenti come quello del 2 agosto del 1980 - osserva ancora -. Abbiamo ragionato ,cercato di combattere contro la voglia di pensare male, di fare dietrologia, ma la parola ritorsione rimbomba nelle nostre orecchie come un martello pneumatico ,solo così è spiegabile l'assenza di uomini di Governo il 2 Agosto a Bologna«. A giudizio del presidente dell'associazione fiorentina, »non possiamo minimamente credere che sia la possibilità di quattro fischi a mettere in difficoltà uomini che hanno impegni di Stato davanti ai cittadini. Temiamo purtroppo ci sia qualcosa di più nell'assenza del Governo a Bologna e ne siamo sconcertati. Infatti, le vittime della strage di Bologna come tutte le vittime delle stragi in Italia invocano giustizia completa ,invocano verità, invocano il completamento dell'iter di leggi che le riguardano, si vergognano di essere italiani quando in finanziarie recenti vedono la possibilità di probabili tagli per i diritti già acquisiti dalle vittime del terrorismo e l'unica risposta che ravvisiamo in tutto ciò è quella della ritorsione contro le vittime e i familiari delle stragi terroristiche ed eversive anche le più recenti«. Anche perchè chiede Maggiani Chelli, »cosa è se non ritorsione il non risolvere il problema di quattro pensioni a quattro ragazzi invalidi all'80% che ai tempi delle stragi non lavoravano, lo hanno poi fatto in seguito ma hanno dovuto tornare a casa perchè a lavorare non ce la facevano e oggi gli viene negata la pensione che la legge 206 del 2004 prevede subito? Se non è così, chi deve batta un colpo, le vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice hanno già pagato un prezzo troppo alto per sopportare oggi azioni altezzose e piene di disprezzo. Noi - conclude - il 2 Agosto saremo a Bologna«.

Fonte: Ansa

SICILIA. FAMILIARI VITTIME: NON SI APPLICA IL PATTO DI STABILITA' PER LE ASSUNZIONI NELLA P.A.

I limiti alle assunzioni imposti dal rispetto del Patto di stabilità non operano nei confronti dei familiari vittime della mafia e della criminalità organizzata. Pertanto, sempre nel rispetto delle quote imposte dalla legge n.68 del 1999, le amministrazioni locali possono assumere, anche in soprannumero, tale tipologia di personale.Lo ha chiarito l'ufficio legislativo della regione siciliana, nel testo del parere n.10507/2010, ma da poco reso noto sul sito internet istituzionale della regione guidata da Raffaele Lombardo, in risposta a un quesito posto da un'amministrazione comunale che, pur avendo la disponibilità del posto in pianta organica, si vedeva frenata nell'assunzione (che in Sicilia è regolata dalla legge regionale n.20/1999) per effetto di quanto previsto dall'articolo 76, comma 7 della manovra correttiva dei conti pubblici del 2008. Norma, quest'ultima, che prevede il divieto di ricorrere ad assunzioni di personale «a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale», se l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% del totale delle spese correnti. L'ufficio legislativo regionale, nel richiamare le disposizioni della legge regionale n.20/1999, ove si prescrive che la stessa amministrazione regionale e gli enti locali, possono assumere nei propri ruoli, anche in soprannumero, familiari di vittime della mafia per «chiamata diretta», ha rilevato che tale norma ha carattere eccezionale, attribuendo a tale personale, in deroga alla normativa vigente in materia di assunzioni nella p.a., il diritto all'assunzione dietro presentazione di apposita istanza. L'unico presupposto da seguire, come prescrive la citata norma regionale, è che gli interessati dimostrino il loro status di disoccupazione. Si tratta, adesso, di verificare se tale carattere di eccezionalità soggiace o meno al divieto imposto dal legislatore nazionale nel testo del citato decreto legge n.78/2010. Sul punto, il parere in esame rileva come già nell'ottobre 2008, la Conferenza delle regioni statuiva che l'assunzione di soggetti appartenenti alle categorie protette, ovviamente sempre nella misura della quota d'obbligo, non può essere derogata dall'ordinamento generale, anche perché il mancato rispetto delle disposizioni ex legge n.68/1999, conduce a sanzioni amministrative, penali e disciplinari.
Fonte: "Italia oggi" - sezione: Enti Locali e Stato data: 05/05/2011 -autore: di Antonio G. Paladino

sabato 30 luglio 2011

SERGIO NAZZARO RICORDA ALBERTO VARONE

Il 24 luglio 2011 a Maiano di Sessa Aurunca, nell'ambito del Festival dell'Impegno Civile, è stato ricorato il piccolo imprenditore Alberto Varone ammazzato dalla camorra proprio  20 anni fa.

Questo è il filmato della testimonianza  dello scrittore Sergio Nazzaro che ho ripreso quella sera.

venerdì 29 luglio 2011

ROCCO CHINNICI, UNA VITA SPESA A CONTRASTARE LA MAFIA

Rocco Chinnici aveva cinquantotto anni quando viene ucciso. E’ il 29 luglio del 1983 e per la prima volta la mafia utilizza  la tecnica dell’esplosivo comandato a distanza. Una macchina imbottita di esplosivo viene fatta saltare in aria proprio davanti alla sua abitazione, a Palermo, in via Pipitone Federico. Con il Magistrato perdono la vita, investiti dall’onda d’urto, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato dei carabinieri Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi. “Lu prituri”, come affettuosamente veniva chiamato, era nato a Misilmeri, in provincia di Palermo, il 19 gennaio del 1925. Il suo primo incarico di magistrato lo ebbe al tribunale di Trapani nel 1952, cinque anni dopo la laurea in Giurisprudenza. Fu trasferito a Palermo nell’ufficio Istruzione del Tribunale, nel maggio del 1966, dove comincia ad occuparsi dei processi alla mafia. Nel ’79 diviene Consigliere Istruttore e inizia a dirigere da titolare l’ufficio in cui opera da tredici anni. Sono gli anni in cui cadono sotto i colpi mafiosi valenti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, personaggi politici di primo piano, giornalisti:  Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Michele Reina, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Boris Giuliano, Mario Francese. Rocchi Chinnici, per la prima volta nella lotta alla mafia organizza gruppi di lavoro. Praticamente è l’inizio della nascita del pool antimafia perfezionato qualche tempo dopo da Antonino Caponnetto. Accanto a sé, Chinnici, chiama due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e valenti investigatori.  La mafia aveva intuito la pericolosità di Chinnici perché cominciava a combatterla cercando di disarticolarla. Non ne ebbe il tempo. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in  un messaggio inviato  alla signora Caterina Chinnici e ai familiari delle altre vittime dell'attentato, ha espresso «il saluto commosso e solidale dell'intero Paese». «Quale Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici - scrive Napolitano - aveva dato forte impulso alle indagini sulla criminalità organizzata, prospettando nuove strategie investigative in grado di contrastarla efficacemente e di colpirne gli affari e i legami internazionali. Della mafia era quindi divenuto obiettivo privilegiato anche perché alla rigorosa professionalità e alla schiva 'religione del lavorò accompagnava la passione civile e la capacità di far crescere nella coscienza collettiva la consapevolezza di dover combattere il crimine senza mai indulgere ad atteggiamenti di indifferenza o tacita e comoda tolleranza. Al pari di altri magistrati e servitori dello Stato caduti per mano di mafia, Rocco Chinnici fu autentico eroe della causa della legalità e, assieme, costruttore di un più valido presidio giuridico e istituzionale di fronte alle sfide criminali».

mercoledì 27 luglio 2011

18 ANNI FA LA STRAGE MAFIOSA DI VIA PALESTRO A MILANO: CINQUE MORTI

La sera del 27 luglio 1993, un martedì, la strategia della tensione della mafia fece altri 5 morti a Milano. Un’autobomba scoppia in via Palestro, nei pressi del Padiglione di arte contemporanea e si porta via cinque vite: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, un vigile urbano, Alessandro Ferrari e un immigrato marocchino, Moussafir Driss, che quella sera aveva deciso di dormire su una panchina non lontano dal luogo dello scoppio dell’ordigno. Ad accorgersi di quella bomba nel cofano di un’auto, una Uno bianca, era stato un passante che aveva avvertito una pattuglia di vigili urbani. In zona si trova a passare l’autopattuglia "Monza 3". “Esce dal fumo dall’auto, correte”. Immediatamente la telefonata ai vigili del fuoco e in dieci minuti arriva una squadra con un’autopompa dal deposito di via Benedetto Marcello. I pompieri arrivano all’auto mentre i vigili urbani cercano di tenere lontano la gente dal luogo in cui è ferma l’auto. Fanno spostare un camper di turisti tedeschi, una coppia con tre figli, che aveva deciso di passare la notte poco lontano dal luogo dell’esplosione. Sono attimi. La bomba esplode prima di essere disinnescata. Lo scoppio avviene alle 23,15. La deflagrazione è enorme. Un bagliore  illumina la buia notte milanese. Almeno centocinquanta chili di esplosivo devastano tutto quello che c’è intorno. Anche i corpi vengono dilaniati e, quel che resta di loro, catapultato a decina di metri di distanza. In cinque perdono la vita: Tre pompieri e un vigile urbano e Il cittadino marocchino, che passa dal sonno alla morte senza accorgersene. Quasi una ventina i feriti. Il 28 luglio, attorno alla mezzanotte, a Roma scoppia un’altra bomba, vicino alla chiesa di san Giovanni in Laterano, in via del Verano. Tre feriti.
Di quelle vicenda sta parlando da due anni il pentito Gaspare Spatuzza (''u tignusù”, il calvo), fedelissimo del capomafia corleonese Leoluca Bagarella, sicario del gruppo di fuoco che assassinò padre Pino Puglisi. Sta rivelando quel che sa ai titolari dell’indagine sulla strage di via dei Georgofili (27 maggio 1993). Secondo il collaboratore di giustizia, a piazzare le bombe furono uomini di Cosa nostra su mandato dei fratelli Graviano. Volevano costringere lo Stato ad aprire una “Trattativa” con la mafia, perché i referenti politici della prima Repubblica erano “caduti in disgrazia”  sotto i colpi dei magistrati di “mani pulite” e avevano bisogno di nuovi interlocutori. Le stragi furono tre: A Firenze, in via dei Georgofili, a Milano, in via Palestro e al cimitero del Verano a Roma. Un’altra strage (a Roma allo stadio olimpico in cui dovevano morire decine di appartenenti delle forze dell’ordine), non andò in porto per un difetto al telecomando dell’autobomba.
Su quella stagione ci sono ancora tantissime ombre insieme a delle certezze. Alcune delle quali riguardano proprio le stragi e gli omicidi eccellenti di quel periodo, come la morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si sa che a uccidere i due giudici furono gli uomini di “Cosa nostra”, ma su mandato di “Entità esterne”, riconducibili ad apparati dello Stato. Per ora resta tutto intero il dolore dei familiari delle vittime, che aspettano ancora la verità sulle stragi. Ma questa è una pagina di storia ancora da scrivere.

martedì 26 luglio 2011

IL 26 LUGLIO RITA ATRIA DECIDEVA DI ANDARSENE


“Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo ”. E' stata Rita Atria a scrivere queste parole, una ragazza di 18 anni, cresciuta in ambienti mafiosi, ma che dinanzi al cadavere del fratello Nicola, crivellato di colpi, decide di rompere il muro di omertà e di farla finita con la mafia. Si affiderà nella mani del giudice Paolo Borsellino.  E' il  5 novembre del 1991 quando Rita decide di farla finita col mondo in cui era cresciuta. Quella mattina invece di andare a scuola si reca nell’ufficio di Paolo Borsellino,  procuratore a Marsala. ”Mi chiamo Rita Atria e mi presento alla signoria vostra per fornire notizie e circostanze legate alla morte di mio fratello e all’uccisione di mio padre”. Paolo Borsellino capirà fino in fondo l'importanza di quel gesto. Gesto di rottura di valori e tradizioni familiari radicate nel tempo. Un gesto forte che  avrebbe avuto conseguenze devastanti sulla sua fragile esistenza.

Paolo Borsellino la proteggerà a la porterà in un luogo sicuro, in un appartamento di via Amelia, nel quartiere Tuscolano a Roma. Rita Atria vivrà insieme alla cognata, Piera Aiello. Borsellino la convince a non mollare gli studi. Rita, infatti, fa gli esami di maturità. Siamo a luglio del  1992. Il 19 di quello stesso mese, però, Paolo Borsellino viene fatto saltare in aria insieme alla sua scorta, gli agenti: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sopravviverà solo l'agente Antonio Vullo. Per Rita è un ulteriore tragedia. Con la morte di Borsellino è come aver perso  per la seconda volta il padre. Non ce la farà a reggere quel peso. Sciverà tutta la sua sofferenza in un diario che le regalò "zio Paolo". E il 26 luglio Rita apre lòa finestra al penultimo piano di quell'appartemento di via Amelia e si lancia di sotto. 
Qualche tempo dopo i funerali la madre, con un martello, fracasserà la lapide sulla tomba della figlia nel cimitero di Partanna.

Oggi pomeriggio alle ore 18,00 a Roma, al n. 23 di via Amelia, si ricorda Rita Atria, testimone di giustizia che aveva provato a rompere il muro di omertà che da sempre circonda la mafia. Ci saranno, tra gli altri, don Luigi Ciotti (Presidente di Libera), Pino Maniaci (Telejato), Dale Zaccaria (Attrice e scrittrice), Stefano Pierpaoli (Regista).

sabato 23 luglio 2011

PIGNATARO (CE). INTITOLATO A FRANCO IMPOSIMATO IL BENE DEL BOSS

Questa mattina è stato inaugurato a Pignataro Maggiore  il “Polo civico Franco Imposimato", nel bene confiscato al boss Raffaele Ligato.  Il nastro dell’inaugurazione è stato tagliato dal sindaco Raimondo Cuccaro con i figli di Franco Imposimato (Giuseppe e Filiberto), alla presenza di varie autorità civili, religiose e militari. In via Ferdinando IV di Borbone, nell’appartamento al primo piano c’è ora la nuova sede dei vigili urbani, mentre  al piano terra c’è l’aula consiliare dell’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Raimondo Cuccaro, dove martedì 26 luglio 2011 si riunirà per la prima volta il Consiglio comunale.

UNA LETTERA PER GIANCARLO VARONE A 20 ANNI DALL'UCCISIONE DEL PADRE

Il 24 luglio del 1991 veniva assassinato Alberto Varone. Emiliano di Marco, coetaneo ed amico di Giancarlo Varone, figlio di Alberto, che con lui ha condiviso molti momenti tristi, gli invia questa lettera attraverso la rete, perché della famiglia Varone, costretta ad andare via da Sessa Aurunca, non si sa più nulla. Sono diventati "invisibili".
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Questa lettera è rivolta a Giancarlo, figlio maggiore di Alberto Varone e mio amico, di cui non so più nulla, come per gli altri fratelli, sua sorella e sua madre, da 17 anni. EMILIANO DI MARCO
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Caro Giancarlo, come stai?

Oggi fanno esattamente venti anni dall’assassinio del tuo papà, ed almeno diciassette  da quando non ho avuto più notizie di te, dei tuoi fratelli, tua sorella, tua madre. Nemmeno più la tomba di tuo padre c’è più al cimitero, è andata via con voi. Diciassette anni in cui non ho potuto chiederti più un semplice “come stai”?

Quando è sceso il silenzio su di voi, dopo che faceste condannare  il mandante dell’omicidio di tuo padre, ero già andato via dal paese, più con la testa che con il corpo. E cercai anche io di dimenticare tutto quello che era successo.

Vi portarono via in località segrete, cambiata la vostra identità, strappati per sempre i legami con i vostri familiari ed i vostri amici. Pensai che fosse stato meglio per tutti che fosse andata a finire così, ed alla fine ho ceduto anch’io, come altri, all’oblio.

Mi convinsi anche io che non ci fosse più nessun motivo per cui voi poteste tornare indietro, camminando a testa alta tra la gente, in un paese, in un territorio che stava già morendo e che declinava verso il nulla, nel quale interi settori, anche quelli professionali, erano già diventati ostaggio delle mafie.

Su di voi vennero sparse a regola d’arte le voci dell’infamia. Iene e servi che si sono prodigati per denigrarvi, per svilire il vostro esempio. Allusioni subdole per giustificare l’ingiustificabile. Arrivarono anche a mettere in giro la voce che eri morto in un incidente di motocicletta. Quando me lo dissero, lo ricordo ancora come oggi, ebbi un tuffo al cuore. Sentii di morire. Mi dissi che non era vero, che non poteva essere, che non era possibile…doveva essere un’altra infamia, non poteva essere andata a finire così…

Ho lottato per anni contro il desiderio di cercare di sapere tutta la verità, per l’orrore di che fosse finita in tragedia.

Ecco, se l’oblio ha mai avuto un nome, per me è stato il tuo.

Ho cominciato a ricordare solo dopo molti anni, quando la storia di tuo padre è stata raccontata nel libro “La Bestia”, di Raffaele Sardo, e grazie anche al coraggio di Simmaco, che ha scelto di intitolare al tuo papà, Alberto Varone, il bene confiscato assegnato alla cooperativa da lui fondata.

Grazie anche a loro ho cominciato a ricordare, ed ha provare rimorso. Ho impiegato del tempo, un bel tratto di strada, per ritornare a quegli anni vissuti insieme. Quella strada sono però riuscito a ripercorrerla, ritrovando i ricordi di una adolescenza interrotta.
L’assassinio di tuo padre ha segnato la mia vita, il mio rapporto con questi luoghi. Ho impiegato tempo per capirlo, ma adesso lo so. Ne sono diventato consapevole. Niente è stato più come prima.

Nel ritornare della memoria, dei ricordi, ho potuto rivedere il bel faccione del tuo papà, con quei baffoni e capelli neri, i suoi occhi fieri.  Il sorriso di un onesto lavoratore. Ho ricordato le volte che, andando a scuola, l’ho visto addormentato con il mento appoggiato sul petto, su un divano all’ingresso del vostro negozio di mobili. La Kadett rossa con la quale andava a prendere i giornali ogni notte, alle 3, per distribuirli in decine di edicole fino alle 8 del mattino. Due lavori per mantenere una famiglia.

Ho ritrovato poi  la memoria della nostra adolescenza, quando eravamo compagni di scuola, le nostre uscite serali, quasi sempre senza meta. Un’amicizia fatta di cose semplici, di luci di paese e corse in auto, o sui treni, nelle città dove si andava insieme per paura di smarrirsi. Tu con i tuoi capelli lunghi, la tua fama di testa calda dal sorriso ribelle. Solo chi ti conosceva sapeva quanto fossi generoso.

E poi ho ricordato quando, di notte, dopo la morte di tuo padre, andavamo insieme a prendere i giornali, quando prendesti il posto che era suo, accettando l’offerta dell’agenzia, uno dei pochi gesti di solidarietà concreta che avete ricevuto. Per me, per noi che ti abbiamo accompagnato, facendo i turni, era l’unico modo per starti vicino e non farti sentire la solitudine. Un modo per provare a donare un senso di protezione, per non arrendersi, per non accettare la realtà. Per addolcire il dolore.

Ogni notte, in ogni viaggio, abbiamo condiviso le lacrime per l’ingiustizia e le risate, strappate a quello che rimaneva della nostra adolescenza, tra i deserti paradisi della provincia di Caserta, tra i pini ai lati di una strada sgombra di auto, illuminata solo dai fari, nella notte del nostro territorio.

Insieme vivevamo i silenzi. A volte una carezza riusciva a consolare il singhiozzo. Andavamo così, ogni notte, fino al mattino, con la paura di incontrare loro, con l’incoscienza che ci diceva che se fosse successo non avremmo abbassato lo sguardo.

Sulla strada eravamo obbligati a passare ogni notte, due volte, sul luogo dove avevano ucciso tuo padre, e davanti l’autorimessa nella quale era stata depositata la sua Kadett rossa.  Stava lì, proprio di fianco alla strada, un faretto che mostrava la fiancata squarciata dai pallettoni, come per uno scherzo di cattivo gusto.

Ricordo la tua felicità quando la facesti tornare come nuova, per viaggiare con lei la notte sull’Appia. La macchina rossa di Alberto ‘Nanas era tornata.  

Loro, finché hanno potuto, non hanno mai smesso di tormentarvi, con una inaudita violenza psicologica, frutto sicuramente di menti malate. Ricordo di quando mi raccontavi delle telefonate anonime che riceveva tua madre. Chiamavano di notte, dopo che tu eri andato a prendere i giornali. Le facevano sentire voci registrate di bambini che piangevano,  campane a morto, minacce esplicite per indurvi a non parlare. Rubavano anche la pace di qualche ora di sonno ad una madre preoccupata.

Erano i nostri vent’anni, di venti anni fa. Oggi tutto tace. Solo pochi tessitori portano avanti la memoria. Ricordare serve solo a provare a dire a noi stessi chi siamo stati…chi siamo…
Perché non possa accadere mai più.

Amico mio, dove sei? Come stai? Sei ancora colmo di ricordi e preoccupazioni? Riuscirò mai a riabbracciarti? Guardarti negli occhi? Dirti che ti ammiro per quello che hai fatto? Mi perdonerai mai per i miei errori? Riuscirai a ridere nel vedere come mi sono fatto grande? Anche grazie a te…

Metterò questa lettera sul mio blog, nella speranza che tu possa leggerla.

Ciao e buona fortuna, che il tuo viaggio ti sia sempre lieve. Un giorno, lo sento, ci riabbracceremo

LA FICTION SULLA CAMORRA CASALESE

Sono state annunciate le riprese della fiction televisiva sulla camorra di Casal di Principe da parte della Taodue, la società di produzione di Pietro Valsecchi, che ha già al suo attivo  quelle di “Distretto di Polizia”, “Il capo dei capi”, Paolo Borsellino e molte altre. La fiction si chiamerà “il clan dei camorristi”, e non più “il clan dei casalesi”, perché c’erano state proteste da parte di associazioni locali, il sindaco  e semplici cittadini, che rivendicano il termine “casalesi” come il nome di un popolo e non il nome di un clan. Mi sono trovato anch’io a trattare di questa vicenda con un articolo pubblicato sul sito de “il fatto quotidiano” dove, per l’occasione, ho appreso anche che uno degli sceneggiatori della fiction è Claudio Fava, giornalista, scrittore, e figlio di Pippo Fava, giornalista  ucciso a Catania dalla mafia siciliana il 5 gennaio 1984.  Ho anche parlato che Claudio Fava, che conosco da un po’ di anni, e le sue parole hanno rassicurato un po’ tutti. In ogni caso le polemiche non si sono fermate. C’è sempre chi pensa che non sia giusto raccontare questi fatti, perché in questo modo da un lato si denigra il proprio territorio e dall’altro si fa proselitismo verso la camorra.  Io, invece, non penso né l’uno e né l’altro. Credo che bisogna sempre raccontare quello che accade, anche quando questa realtà non ci piace. Bisogna solo stare attenti a non far diventare i  criminali dei miti e dei  modelli positivi da imitare. Come si fa? Credo che uno dei modi sia quello di raccontare la realtà partendo dal punto di vista delle vittime e non dei carnefici. E’ un punto di vista che pochi prendono in considerazione.

DON LUIGI CIOTTI SULLE "TERRE DI DON DIANA"

Michele Docimo e don Luigi Ciotti
“Ci serve il latte degli allevatori  di questa terra per fare una buona mozzarella di bufala”. E' l’appello che don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ha fatto a Castel Volturno il 14 luglioscorso, incontrando allevatori e coltivatori presso la Cooperativa “Le terre di Don Peppe. Nella sala multimediale del caseificio sorto  sugli ex beni di Michele Zaza, in via del Cigno a Castel Volturno, ad ascoltare don Ciotti, venuto a “benedire” l’avvio del caseificio che porta il nome di Don Peppe Diana, c’era la folla delle grandi occasioni. La cooperativa, che è gestita da giovani del posto, ha scelto di passare attraverso l’agricoltura biologica in un territorio che ha bisogno di riscattarsi dopo trent’anni di dittatura della camorra. A sostegno dell’iniziativa di Libera anche i sindaci di Pignataro e Castel Volturno, insieme all’assessore provinciale all’agricoltura, Ettore Corvino, al presidente della Camera di Commercio, Tommaso De Simone. “E’ una grande opportunità per questo territorio – ha sottolineato don Ciotti – che deve mostrare la capacità di riscattarsi nel nome di don Peppe Diana, che non ebbe paura a denunciare la camorra.” Il presidente di Libera ha voluto poi testimoniare la sua vicinanza alla cooperativa Eureka a cui nelle settimane scorse è stato danneggiato l’impianto idrico in un pescheto di un ex camorrista e ha chiesto ai sindaci di Castel Volturno e  di Trentola Ducenta di non revocare la concessione dei beni confiscati al centro Jerry Masslo e alla compagnia dei Felicioni, “perché quella contro la camorra è una battaglia che dobbiamo fare tutti insieme”.

venerdì 22 luglio 2011

OMICIDIO TERESA BUONOCORE UDIENZA PRELIMINARE


Udienza preliminare al Tribunale di Napoli (gup Lucarelli) per l'omicidio di Teresa Buonocore, la mamma coraggio di Portici (Napoli) uccisa il 20 settembre scorso per aver denunciato il presunto molestatore di una delle due figlie. Per l'omicidio e' stato rinviato a giudizio Enrico Perillo, per l'accusa mandante del delitto. Alberto Amendola e Giovanni Avolio - ritenuti gli esecutori - hanno chiesto e ottenuto di esser giudicati con il rito abbreviato. Ammesse come parti civili il Comune di Portici assistito dall'avvocato Elena Coccia, il Comune di Napoli, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e il Coordinamento vittime innocenti della criminalita'. Il sindaco di Portici Vincenzo Cuomo era presente in aula e sin dal primo momento ha manifestato vicinanza e solidarieta' alla famiglia Buonocore istituendo anche due borse di studio per le figlie.  PORTICI (NAPOLI), 21 LUG - (fonte: ANSA)

"SONO FIERA DI ESSERE FIGLIA DI MARCELLO TORRE"

«Io sono fiera di essere figlia di Marcello Torre, sindaco di Pagani che disse “no” alla camorra, al costo della sua vita. Grazie papà di avermi dato questo esempio per cui lottare». Così Annamaria Torre commenta l’arresto di Alberico Gambino. E lo fa ricordando il padre Marcello, ucciso l’11 dicembre 1980 per essersi opposto agli affari della camorra sulla ricostruzione post terremoto. Sindaco e uomo giusto, una lunga militanza nell’Azione cattolica, poi l’impegno nella Dc e la decisione di candidarsi per il suo paese. Dopo trent’anni un sindaco di Pagani finisce in carcere per collusione con le stesse cosche. Due vite che si sono incrociate proprio in occasione del trentennale.

fonte: http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=15075

A FIRENZE LA FESTA DI "LIBERA"

«La lotta alla mafia non può essere l'onere di alcuni ma il privilegio di molti». Queste le parole  di Emanuela Giuliano che dal palco della festa di Libera a Firenze ha ricordato il padre Boris,  assassinato dalla mafia il 21 luglio di 32 anni fa. Alla memoria del genitore, capo della Mobile di Palermo, ucciso perché uomo delle istituzioni che svolgeva con dedizione il suo dovere, la Giuliano ha accomunato tutte le persone che hanno sacrificato la propria vita per lo Stato. Proprio il ricordo delle vittime di mafia e il lascito della loro eredità alle nuove generazioni è stato l'incipit della settimana di eventi che Libera ha programmato tra Firenze e Scandicci, paese adottivo di Antonino Caponnetto.

Sul palco, oltre a Don Ciotti e il sindaco d Firenze Renzi, si sono succeduti referenti di Libera e "compagni di strada" tra cui membri di altre associazioni e esponenti delle istituzioni locali. Costante di molti interventi la non accettazione del compromesso nella lotta alla mafia e il credo nella realizzazione degli ideali e dell'impegno civile. Dopo il sindaco di Firenze, che ha ricordato Nadia Nencioni, una delle cinque vittime della strage di via dei Georgofili e ha ringraziato Libera per l'aiuto che dà ai cittadini nel «fare il proprio dovere di donne e uomini», la parola è passata a don Ciotti. Il fondatore di Libera ha rivolto un vibrante appello a Roma perchè l'unico modo per combattere efficacemente la mafia è con la forza della politica. Una forza che troppo spesso lascia un significativo vuoto in campi fondamentali come eguaglianza e diritti, educazione e cultura, energie pulite, ambiente e sviluppo sostenibile.

Fonte: http://www.libera.it/

giovedì 21 luglio 2011

BOSSA (PD) CHIEDE COMMISSIONE D'ACCESSO COMUNE PAGANI

PAGANI è il comune che ha avuto come sindaco Marcello Torre, ammazzato dalla camorra l'11 dicembre del 1980. Un sindaco che non si è piegato alle minacce della criminalità. Un sindaco che sognava "Una Pagani libera e civile..."


Luisa Bossa, componente della Commissione Antimafia e parlamentare del PD, ha presentato due giorni fa una interrogazione parlamentare  al ministro dell'Interno per chiedere la commissione di accesso al Comune di Pagani (Salerno):  «L'arresto del consigliere regionale Alberico Gambino avvenuto venerdì scorso - dice la deputata napoletana - ha evidenziato un quadro politico-amministrativo locale gravemente condizionato. Insieme con Gambino, sindaco di Pagani fin dal 2002, sono stati arrestati anche un consigliere comunale del Pdl e un architetto dell'ufficio tecnico del comune di Pagani. È emerso un sistema di ricatti e intimidazioni che aveva il suo perno nell'uso della pubblica amministrazione come strumento per ottenere finanziamenti, assunzioni e distribuire appalti». «Lo stesso Gip Sgroia scrive, nell'ordinanza, che a Pagani il dissenso non esiste più, che esso è compresso dalle intimidazioni e dalle minacce e che la connessione esistente tra camorra e politica è a livelli di guardia». «Alla luce di tutto ciò - conclude la deputata - chiedo al ministro Maroni un intervento immediato per insediare al Comune di Pagani una commissione di accesso per acquisire dati, documenti e notizie e accertare se, nell'ambito dell'apparato politico-amministrativo, emergano elementi su collegamenti con la criminalità organizzata».

DON TONINO PALMESE CELEBRA UNA MESSA PER FABIO DE PANDI

Stamani alle 10, don Tonino Palmese, referente regionale di Libera, ha celebrato una messa nella chiesa di Santa Lucia, per ricordare  Fabio De Pandi, il ragazzo di 11 anni, ucciso  a Soccavo,   il 21 luglio del 1991, durante una sparatoria tra clan rivali.

IN RICORDO DI ALBERTO VARONE

Un pezzo del testo che ho riscritto per ricordare Alberto Varone, imprenditore di Sessa Aurunca, ucciso dalla camorra il 24 luglio del 1991. L'intero testo verrà recitato la sera del 24 luglio a Maiano di Sessa Aurunca, nel bene confiscato al Clan Moccia, nell'ambito del Festival dell'Impegno Civile promosso da Libera e dal Comitato don Peppe Diana

"...Quella notte me la ricordo bene. Era il 24 luglio del 1991. C’era un forte odore di finocchio selvatico. Ai bordi della strada statale ce n’era tantissimo. Erano in piena fioritura e le infiorescenze gialle non avevano ancora i frutti maturi.
La sera prima avevo ricevuto una telefonata che mi aveva lasciato molto turbato, preoccupato. Minacce mi erano già state fatte. Volevano prendersi la mia attività, sia quella di distributore di giornali che il negozio di mobili. Mi ero reso conto che chi mi minacciava aveva alzato il tiro ed era disposto a tutto. Cominciavo a temere per la mia incolumità. Ora poteva accadermi di tutto. Non ne parlai con mia moglie...
Mi avviai, come sempre, alla volta di San Nicola La Strada. Arrivato al chilometro 183 dell’Appia, in località “Acqua Galena”, nel comune di Francolise, tra Teano e Sessa Aurunca. Notai dallo specchietto retrovisore un’auto che mi veniva dietro. Accelero un po’ per cercare di capire se seguiva me o era qualcuno in viaggio per fatti suoi. L’auto dietro di me accelera per aumentare l’andatura. Ingrano la terza per andare ancora più veloce e dietro di me l’altra auto fa altrettanto. Anzi ora accelera di più. Si avvicina minacciosamente. Non mi ero sbagliato, seguivano me. Distinguevo le sagome di almeno due persone in quell’auto che mi veniva dietro. Accelera ancora di più. Ma ecco, mi affianca. Ingrano la quarta per sfrecciare di più. Sparano dalla mia sinistra da una distanza non  inferiore a tre metri, senza fermarsi e senza tentennamenti. Uno, due, tre…  Sono attimi. Il cuore mi sale in gola. Va in frantumi il vetro del finestrino. Le schegge di vetro mi penetrano dappertutto. Sento tanto calore nel mio corpo. Sono i fori dei colpi di pistola. La mia auto sbanda. Non ho più la forza per reggere lo sterzo. E vado a sbattere con la parte anteriore sul lato sinistro della mezzeria della statale Appia. La mia corsa è finita proprio sopra un bel mucchio di finocchi selvatici. Ne crescono tanti da queste parti da maggio ad agosto e sento nel naso il loro forte odore. Sono colpito in varie parti del corpo. Non ce la faccio a muovermi. L’auto scappa. La sento sgommare. Sono con la testa riversa sul manubrio. Penso al peggio. Ma non sono ancora morto. Penso ai miei figli ad Antonietta, a quando sapranno di tutto questo. Ma in poco tempo perdo i sensi e mi risveglierò in ospedale..."

DAVIDE SANNINO. "...NON E' GIUSTO MORIRE COSI'..."

Davide Sannino era un ragazzo di 19 anni di San Giorgio a Cremano. Il 20 luglio del 1996 si era diplomato da odontotecnico. Una settimana prima aveva conseguito anche il diploma di Solfeggio. Stava festeggiando in pizzeria il suo diploma con gli amici. Entrarono dei rapinatori. Non bastò prendersi il motorino e gli oggetti di valore. Uno di essi tornò indietro e gli puntò la pistola alla tempia sparandogli alla testa una pallottola calibro 22 perché aveva osato guardare con senso di sfida il rapinatore. Davide morì dopo un'agonia in ospedale.  Non è giusto morire così...

BORSELLINO, "IO SO..."

Ho cominciato questo blog la sera del 20 luglio, dopo aver seguito il giorno prima tutte le celebrazioni per ricordare Paolo Borsellino. Mi sono ricordato di quel giorno...
Ero andato con alcuni amici a Roccamonfina per una scampagnata nei boschi. Con me anche mia moglie  e i miei due bambini. Non sapevo niente. Al ritorno, nel condominio dove abito, sentivo tante televisioni accese, ma non riuscivo a capire il perché. Un attimo dopo, quando sentii nitida la voce dello speaker dire: "Era amico di Giovanni Falcone..." capii subito. "Muovetevi - dissi rivolgendomi ai miei figli - è successo qualcosa di molto grave". Non mi sbagliavo. Ero incredulo. Non mi pareva possibile. Dopo due mesi hanno ammazzato un altro magistrato. Non poteva essere e, soprattutto, non era normale. Nel senso che la mafia, da sola, pur forte militarmente, non poteva permettersi di alzare scosì il livello dello scontro con lo Stato senza adeguate coperture. Cosa stava accadendo? Lo abbiamo intuito. Nel frattempo si  sono aperti molti squarci su questa vicenda. Ma mancano ancora molte prove...

mercoledì 20 luglio 2011

DALLA PARTE DELLE VITTIME

Ho deciso di aprire questo Blog e di chiamarlo “Dalla parte delle vittime”, perché voglio raccontare di un’esperienza che da alcuni anni a questa parte mi ha profondamente colpito. Vale a dire l’incontro che ho avuto con i familiari delle vittime della criminalità organizzata. Donne uomini, ragazzi, ma soprattutto: mamme, mogli, figli, sorelle, fratelli, segnate dal dolore di una tragedia senza fine. Alcune storie ho avuto modo di raccontarle in due libri (LA BESTIA – Ed. Melampo e AL DI LA’ DELLA NOTTE – ed. Tullio Pironti), ma qui voglio continuare a raccontare del coraggio che hanno queste persone, i sopravvissuti. Di come hanno saputo trasformare quotidianamente la loro tragedia in un impegno collettivo per cambiare in meglio la nostra società. A dirlo e a scriverlo sembra semplice. Ma vi assicuro che non è così. Chi ha perso un padre, un figlio, una sorella, una moglie o un marito, non dimentica mai. Ma si porta dentro un dolore che lo accompagnerà nella tomba. E' come avere una spina dentro una ferita. Può restare lì per anni, ma come la vai a toccare fa una male incredibile. Dai loro sguardi, dai loro silenzi, dalla loro umiltà, dalle loro parole, dal loro dolore ho imparato molto. Perciò racconterò le cose guardandole dal loro punto di vista, quello delle vittime e non dei carnefici. Il punto di vista di chi è in credito con questa società. Vorrei dare, in questo modo,  il mio piccolo contributo a non far dimenticare le vittime innocenti della criminalità, ma soprattutto a ridare la dignità e il giusto riconoscimento a tutti quelli che in qualche modo hanno fatto “la resistenza contro le mafie”.