mercoledì 31 agosto 2011

TONINO ESPOSITO FERRAIOLI, UCCISO PER IL SUO IMPEGNO SINDACALE

Antonio Esposito Ferraioli, Tonino, come lo chiamavano tutti, in quella fabbrica dove lavorava, la FATME di Pagani,  era anche sindacalista della Cgil. E lo faceva bene il rappresentante dei lavoratori. Aveva denunciato subforniture di carne che avevano una provenienza illecita. La carne era di scarsa qualità e spesso arrivava avariata. «Io questa roba non la cucino per gli operai», aveva detto Tonino ai titolari della mensa, in più di una occasione. Gli stessi operai della Fatme si erano lamentati per quella carne immangiabile. Tonino era già malvisto dai suoi datori di lavoro perché con le sue battaglie sindacali aveva costretto l’impresa a pagare la tredicesima a tutti i lavoratori della mensa. «Fatti i fatti tuoi», gli avevano consigliato in molti. Ma Tonino, di far mangiare quelle schifezze agli operai, proprio non ne voleva sapere. Tonino aveva anche scoperto una truffa a danno della Comunità europea organizzata dalla camorra. Aveva coraggio Tonino. Erano gli anni in cui l’impegno sindacale era totalizzante. E per un giovane di ventisette anni, pieno di ideali, formatosi tra assemblee sindacali e riunioni di partito, quello era l’unico modo di concepire la sua vita. La sera del 29 di agosto del 1979, attorno alle 23,30, gli fecero pagare il suo impegno di sindacalista. Scendeva dalla casa della fidanzata, Angela, che rimase dalla finestra a guardarlo mentre Tonino stava per salire sulla sua Citroën, parcheggiata all’angolo di via Zito. E proprio nell’attimo in cui stava per aprire lo sportello, un colpo di lupara alla schiena lo lasciò sul selciato. Angela vide tutta la scena. Cominciò ad urlare. Piangeva. Chiedeva aiuto. Scese dalla sua abitazione. Arrivò vicino al corpo del suo Tonino. Lo abbracciò, e continuò ad urlare, ad implorare soccorso. Nessuno uscì, se non i familiari di Angela. Il dolore le squarciava il cuore. E continuava ad urlare: «Perché, perché al mio Tonino. Cosa gli avete fatto?». Lo stringeva a sé e vedeva che la vita di Tonino era come se le sfuggisse dalle mani. Quella notte Angela vide spezzarsi anche i sogni di una promessa sposa. Ad oggi sono ancora impuniti i mandanti e gli esecutori dell’omicidio del sindacalista di Pagani.

LE MARCHE RICORDINO ANNIVERSARIO ITALO TONI E GRAZIELLA DE PALO. LO CHIEDONO I FAMILIARI

 Il 2 settembre è il trentunesimo anniversario della scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella de Palo, di cui si sono perse le tracce in Libano dove si trovavano per un reportage sui campi palestinesi in quel Paese e in Siria. L'anniversario sarà ricordato con una serie di iniziative del Comune di Roma, città di Graziella De Palo: un rito solenne alla basilica dell'Ara Coeli, in Campidoglio, la posa in terra di un ulivo, albero di pace, ed un concerto all'Auditorium della Musica il 16 settembre. Ma nelle Marche, regione di origine di Italo Toni - denunciano i familiari del giornalista - «dopo il convegno di qualche anno fa a Sassoferrato e gli ordini del giorno del Comune, della Provincia di Ancona e della regione, non si è fatto altro di Graziella De Palo». «Questo ci addolrora - osservano - e ci motiva ad elevare una richiesta (che, come familiari di Italo Toni, formalizzeremo nei prossimi giorni) al Comune di Sassoferrato, alla Provincia di Ancona ed alla Regione Marche perchè, con l'Ordine dei giornalisti ed altre istituzioni professionali e culturali, si facciano promotori di una iniziativa altrettanto significativa per ricordare un concittadino morto in difesa del diritto di tutti all'informazione.

Fonte: ANSA

TRE GIORNI DI DIBATTITO, DAL 4 AL 6 SETTEMBRE, PER RICORDARE "IL SINDACO PESCATORE", ANGELO VASSALLO ,

“Il Sindaco pescatore”, Angelo Vassallo, assassinato la sera del 5 settembre dello scorso anno,  sarà ricordato a Pollica in una tre giorni di dibattito, dal 4 al 6 settembre. L’iniziativa è stata promossa dal Partito Democratico insieme alla “Fondazione Angelo Vassallo”. “Sarà un momento di riflessione non solo sulla figura di Vassallo, ma anche un’occasione per rilanciare apertamente l’impegno politico del Pd contro la camorra e ogni forma di illegalita’” dichiarano Francesco Dinacci, responsabile organizzazione Pd Campania, e Nicola Landolfi, segretario provinciale Pd Salerno. Alla tre giorni di incontri insieme ai segretari regionale Enzo Amendola e provinciale Landolfi è prevista la presenza di molti esponenti democratici, uomini delle istituzioni, dell’associazionismo e del sindacato tra cui: Emanuele Fiano ed Andrea Orlando, presidenti dei Forum Sicurezza e Giustizia del Pd; il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca; del vicepresidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella insieme agli eurodeputati Andrea Cozzolino e Pino Arlacchi; del vicepresidente della commissione Antimafia Luigi De Sena e del componente della commissione Walter Veltroni; del magistrato anticamorra Raffaele Cantone; di Enzo Cuomo presidente Anci Campania e sindaco di Portici; degli esponenti democratici regionali Gianfranco Valiante presidente commissione regionale Antimafia; Giuseppe Russo capogruppo in Regione; Antonio Amato e Antonio Valiante consiglieri regionali; Paolo Masini consigliere comunale di Roma; Franco Latorre membro consulta Pd antimafia; dei sindaci Giuseppe Cilento di San Mauro Cilento, e di Stefano Pisani che aprirà la manifestazione; del presidente di Legambiente Campania Michele Buonomo e dei segretari generali di alcuni tra i principali sindacati di polizia come Claudio Giardullo del Silp-Cgil, Giuseppe Tiani del Siap, Felice Romano del Siulp.

Fonte: Comunicato Stampa

martedì 30 agosto 2011

FAMILIARI VITTIME STRAGE VIA GEORGOFILI: SPATUZZA COLLABORATORE A TUTTI GLI EFFETTI


«Il 5 ottobre 2011 torneremo in aula a Firenze, le parti civili replicheranno alla mafia che così violentemente ci ha attaccati durante le sue arringhe in chiusura del processo Tagliavia, dopo di che la Corte si ritirerà in Camera di Consiglio e sentenza sarà ancora una volta per la strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993. È per questo che auspichiamo, davvero a breve, il pronunciamento positivo della Commissione per il programma di protezione a Gaspare Spatuzza, presieduta dal Sottosegretario Mantovano». È quanto dice Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'associazione Vittime della strage di via dei Georgofili. «Siamo fermamente convinti che il grado di civiltà di questo Paese si misurerà sulla base della decisione che si prenderà in merito a Gaspare Spatuzza. Spatuzza è un collaboratore a tutti gli effetti tale dichiarato da ben tre procure della Repubblica, ma 180 giorni di tempo per dire da parte dei così detti 'pentitì in seno a 'cosa nostra’, tutto ciò che sanno, restano veramente un affronto a tutti noi che abbiamo contato i morti e i feriti a Firenze in via dei Georgofili la notte del 27 Maggio 1993».«Non si è potuto cambiare la norma del 2001 per i collaboratori di giustizia, come spesso abbiamo chiesto , non lo si è voluto fare in tempo utile all'appuntamento con la sentenza del processo Tagliavia, indicato da Spatuzza come colui che gestì l'esplosivo in via dei Georgofili e che ha provocato morte e distruzione di vita e noi non capiamo il perché di tanta volontà che ci offende e alimenta ancora una volta la nostra rabbia - spiega ancora Giovanna Maggiani Chelli - Ne dobbiamo prendere atto con grande rammarico e sentirci autorizzati a pensare più che male». «Dopo di che resta il fatto che il governo se vuole può fare in tempo brevissimo un Decreto e gettare quei 180 giorni alle ortiche - conclude - perché Spatuzza abbia diritto finalmente a quanto gli spetta per essere passato dalla parte della legge, della giustizia».

Fonte: Adnkronos

lunedì 29 agosto 2011

LIBERO GRASSI. IN UN LIBRO L'ALBUM DI FAMIGLIA E LA SUA STORIA

«È stato come aprire una scatola di ricordi con una protagonista d'eccezione». Chiara Caprì, studentessa di Medicina di Palermo e socia del comitato Addiopizzo, riassume cosi il senso del volume 'Libero, l'imprenditore che non si piegò al pizzò (Castelvecchi editore) scritto insieme alla vedova Pina Maisano Grassi. Il libro racconta l'amore e le battaglie per la legalità dell'imprenditore ucciso vent'anni fa a Palermo per essersi opposto al pagamento del pizzo. «Molti conoscono la figura di Libero per le sue scelte coraggiose che lo hanno reso un simbolo dell'antimafia, ma a me interessava conoscere l'uomo, attraverso i suoi difetti o il rapporto con i figli - spiega l'autrice - da questa curiosità sono nate delle lunghe chiacchierate con Pina Grassi che ha aperto con me una scatola di ricordi molto intima e privata». Nel testo non mancano, infatti, immagini inedite della coppia, ma anche «messaggi che avevo diviso - dice Pina Grassi - in 'lettere d'amore e di guerrà, dove i toni romantici si alternano a quelli più accesi dei litigi, perchè come coppia io e Libero facevamo discussioni molto accese». Nel libro vengono affrontati anche gli anni della militanza di Maisano tra le fila del partito Radicale e le battaglie condotte in prima linea; come testimonia lo scambio di lettere avvenuto nel 1993 tra Pina Grassi, allora componente della Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato e il politico Giulio Andreotti, accusato di associazione mafiosa. «Lei nella sua posizione non poteva non sapere, visti i suoi rapporti con Lima e Ciancimino, quale fosse la situazione a Palermo, non è cosi?» chiede la vedova Grassi nella lettera. All'iniziale silenzio segue una replica di Andreotti: «Mia cara signora, appena tutto questo sarà finito, risponderò alla sua domanda». Un silenzio durato fino al 2003, quando, terminati i processi a carico del politico, Pina Grassi torna a scrivere: «Adesso che 'tutto questo è finitò io, che ho fiducia nei magistrati, vorrei sapere da lei». «La replica finale di Andreotti - dice Chiara Caprì - è stato un ringraziamento per una 'lettera gentile e per i ricordi di un periodo interessantè». È un passaggio fondamentale per capire come mai per 20 anni sia mancata una risposta non solo dalla città Palermo, ma dall'Italia intera«. Il volume sarà presentato questa sera alle 21 alla Tonnara Bordonaro; tra i relatori previsti, il magistrato della Dna Maurizio De Lucia, Domenico Gozzo, magistrato della Dda di Caltanissetta, Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, Tano Grasso, il giornalista Sandro Ruotolo e l'attore Claudio Gioè che leggerà alcuni passaggi del libro. Il 27 settembre il volume sarà presentato anche a Londra, nella sede della Ucl (University College London) con John Dickie, autore di 'Cosa Nostra, Storia della mafia sicilianà.

(FONTE: ANSA).

sabato 20 agosto 2011

RICORDATO IL COLONNELLO DEI CC GIUSEPPE RUSSO E IL PROF. FILIPPO COSTA, ASSASSINATI DALLA MAFIA IL 20 AGOSTO 1977




Il colonnello dei CC Giuseppe Russo
I killer lo stavano aspettando. Il colonnello dei carabinieri, Giuseppe Russo, la sera del 20 agosto 1977 si trovava in vacanza a Ficuzza, una frazione di Corleone. Passeggiava insieme al suo amico, il professor Filippo Costa. IL colonnello Russo, originario di Cosenza, era uno degli uomini più fidati del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Aveva condotto importanti indagini sulla mafia. Veniva considerato dalle cosche “uno che dava fastidio”. Ammazzarono entrambi a bruciapelo, per non lasciare testimoni. Il colonnello Russo aveva 47 anni. Il professor Filippo Costa, ne aveva 57. Per quei due omicidi furono incriminati tre pastori. Condannati all’ergastolo, furono scagionati nel 1997, quando alcuni pentiti hanno fatto luce su quell’eccidio. Del gruppo di fuoco facevano parte Leoluca Bagarella, Pino Greco, Giovanni Brusca e Vincenzo Puccio. Questa mattina alle dieci, a Ficuzza, per ricordate le due vittime della mafia, è stata deposta in loro onore una corona d'alloro sulla stele commemorativa nei pressi della Real Casina di Caccia del re borbonico Ferdinando IV. Madrina della cerimonia la figlia del Colonnello Giuseppe RUSSO, Benedetta accompagnata da altri parenti. Alla cerimonia hanno partecipato tra gli altri il Generale di Divisione, Vincenzo COPPOLA, Comandante Legione Carabinieri Sicilia; il Generale di Divisione, Domenico ACHILLE, Comandante Regione Sicilia Guardia di Finanza: Il Colonnello Francesco SALSANO, Comandante Gruppo Carabinieri di Monreale; Maria Teresa AMBROSINI, rappresentante della Procura Generale presso Corte di Appello di Palermo; il Presidente della Provincia Regionale, Giovanni Avanti; il parlamentare Giuseppe Lumia, il sindaco di Corleone, Nino Iannuzzo.

VEDOVA LIBERO GRASSI: 20 ANNI DOPO PIZZO È ANCORA LEGGE




Pina Maisano, vedova di Libero Grassi
«Nella lotta al racket non siamo a un punto di arrivo, ma a quello di partenza». Ne è convinta la vedova di Libero Grassi, Pina, che, a 20 anni dall'omicidio del marito, ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991 per avere detto no al pizzo, lo ricorda sull’ Espresso in edicola: «Era una persona perbene, un uomo che ha sempre basato la sua vita sul lavoro. Ripeteva spesso che lavorando in modo corretto e onesto, senza avere scheletri negli armadi non si poteva diventare schiavi di questi mascalzoni». La vedova Grassi, dopo avere sempre sostenuto e condiviso le scelte forti e coraggiose del marito, ha poi proseguito il suo impegno, sostenendo tutte le iniziative e le manifestazioni contro il racket delle estorsioni. «Addiopizzo è una delle azioni più belle e intelligenti fatte dopo la morte di Libero - riporta ancora l’Espresso - Perché la presenza di questi giovani ha determinato una rivoluzione. Senza bisogno di avere alcuna delega, Addiopizzo ha preso in mano la situazione della città ed ha contrastato nei fatti i mafiosi. Lo ha fatto andando in giro per i negozi, aiutando i commercianti vittime delle estorsioni, e poi creando 'Libero futuro', la prima associazione antiracket di Palermo. Ma non manca un distinguo tra i rappresentanti delle istituzioni e i politici «Ho fiducia nel presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nelle forze dell'ordine, nel prefetto. In queste istituzioni ho sempre fiducia - dice al settimanale - Non ce l'ho nei confronti dei rappresentati del governo e di molti componenti del parlamento». E una denuncia alla borghesia siciliana: «Gran parte continua ad essere succube della mafia. Ma oggi in tanti hanno cominciato a denunciare le richieste del pizzo, anche se lo fanno in maniera anonima, per paura di ritorsioni. Pochi si rivolgono alle forze dell'ordine, anche se chi lo fa viene protetto, risarcito. Con queste condizioni vantaggiose, se esistono ancora oggi commercianti che preferiscono non denunciare, evidentemente all'origine c'è qualcosa che non va».
Fonte: ANSA

ASS.VITTIME GEORGOFILI, MONETIZZARE BENI CONFISCATI NELLA MANOVRA ECONOMICA




Giovanna Maggiani Chelli
 «Ma tutti questi beni confiscati a Riina e a cosa nostra, ai nostri macellai, oltre che essere usati come stendardi da ostentare per la lotta alla mafia, perchè non vengono monetizzati in sede di finanziaria?». A chiederlo è Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell' Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. «Con una confisca reale e un utilizzo vero di ritorno si sanerebbero tutte le finanziarie del 2011 e quelle successive, senza chiedere alle vittime di mafia ulteriori sacrifici, ovvero togliere loro quello già ottenuto con grandi battaglie solitarie», dice Maggiani Chelli ricordando che «la legge 206 del 2004 per le vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, è stata oggetto di rivisitazione e se entro il 2013 non si troveranno i fondi necessari per far fronte alle esigenze previste nella legge 111 del 15 luglio 2011, anche le vittime del terrorismo eversivo e mafioso dovranno contribuire con le loro pensioni». «La mafia - aggiunge - è piena di beni immobili e di ogni altro genere , è piena di capitali all'estero, si faccia una vera battaglia contro la mafia, e dopo averli confiscati i beni dei mafiosi diventino davvero di proprietà dello Stato e ne faccia un uso di ritorno a tutto il Paese, ma prima di tutte alle vittime di mafia».

 (fonte: ANSA).

venerdì 19 agosto 2011

STRAGE BOLOGNA: FAMILIARI, PARTIRE DA SENTENZE PER MANDANTI





Paolo Bolognesi
 «Noi non abbiamo dubbi: entro fine anno faremo un nuovo esposto più dettagliato, per chiedere di andare avanti, e proseguire le indagini da dove sono arrivati i magistrati di Cassazione che hanno condannato Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Ci sono gli esecutori, ci sono i depistatori: per noi quella è la strada giusta per arrivare ai mandanti». Paolo Bolognesi, per l'associazione tra i familiari e le vittime della Strage del 2 agosto a Bologna, commenta così la notizia dell'iscrizione di due terroristi tedeschi sul registro degli indagati. Una iscrizione che Bolognesi ammette essere arrivata inattesa anche perchè «tutte le notizie che dalla procura filtravano sulla stampa era che la 'cosiddettà pista palestinese fosse un buco nell'acqua, o qualcosa di simile». Il nuovo esposto cui allude il presidente è il seguito di quello presentato nei mesi scorsi dall'associazione ai pm di Bologna. Un'istanza in cui l'associazione chiedeva di indagare sui mandanti, partendo soprattutto dalle carte del processo di Brescia sulla strage di piazza della Loggia, ma anche da altri atti processuali. Carte da cui si evince, per Bolognesi, che Mambro e Fioravanti (che hanno sempre negato la responsabilità della strage, ndr) erano inseriti in un preciso contesto di terrorismo nero e non «spontaneisti». Un'istanza che suggerisce quindi un contesto ben diverso dalle conclusioni della 'pista palestinesè emersa dalle carte della Commissione Mitrokhin, e che invece resta nell'alveo tracciato dalla passate sentenze. Bolognesi ha ribadito comunque rispetto per le indagini e per gli inquirenti («non sta certo a noi giudicare o ostacolare il loro lavoro») prendendo anche in considerazione l'ipotesi che «ci possono essere motivi tecnici per cui, per compiere certi atti, è necessaria un'iscrizione sul registro egli indagati. Ma devo ancora parlarne con i nostri avvocati». Ma, ha concluso con forza «lo ripeto: negli anni tutte le piste 'internazionalì si sono rivelate delle bufale, messe tra i piedi dei giudici per confondere le acque».

 FONTE: (ANSA).

STRAGE BOLOGNA: PISTA PALESTINSE PORTA A DUE INDAGATI

BOLOGNA, 19 AGO - Thomas Kram, terrorista delle 'Revolutionaere Zellen' legato a Carlos 'lo Sciacallò, esperto di esplosivi e che pernottò a Bologna all'hotel Centrale tra l'1 e il 2 agosto '80 col suo vero nome, e Margot Frohlich, pure lei tedesca legata a Carlos, che nell'82 venne anche arrestata a Fiumicino con esplosivo in una valigia, e che, secondo una testimonianza, l'1 agosto alloggiò all'hotel Jolly di Bologna, vicino alla stazione. Sono loro a impersonare la 'pista palestinesè per la strage alla stazione (2 agosto '80, 85 morti), partita dal lavoro della commissione Mitrokhin. Da luglio i loro nomi sono iscritti sul registro degli indagati proprio per la strage. Un'iscrizione che dovrebbe semplicemente avere il significato di una concretizzazione del lavoro degli ultimi anni dalla Procura. Quando è arrivato tutto il materiale richiesto anche per rogatoria a Francia e soprattutto Germania, e quando è arrivata la traduzione degli atti richiesti relativi agli atti degli archivi della Stasi, il servizio segreto della ex Germania Est che sorvegliava il gruppo Carlos-Kram, è arrivata pure l'iscrizione. Il significato è niente più che l'iscrizione stessa, ha commentato un investigatore. Non si tratterebbe, quindi, di niente di nuovo, ma era comunque necessario dare un nome alle persone verso cui le indagini si erano indirizzate. Qualche nuovo atto verrà fatto, poi andrà valutato se gli elementi indiziari sono sufficienti. Così si è venuto a creare un doppio quadro giudiziario: da un lato le sentenze definitive in base alle quali non ci sarebbero dubbi sul fatto che fu una strage dell'estremismo di destra; dall'altro la nuova inchiesta che considera - da luglio in modo concreto - una spiegazione alternativa. C'è poi anche un esposto dei familiari delle vittime che chiede di individuare i mandanti, partendo soprattutto dalle carte del processo della strage di piazza della Loggia. E ancora oggi Paolo Bolognesi, dell'associazione, ha commentato la notizia dei nuovi indagati rilanciando la ricerca dei mandanti: «Non abbiamo dubbi: entro fine anno faremo un nuovo esposto dettagliato, per chiedere di andare avanti, e proseguire le indagini da dove sono arrivati i magistrati di Cassazione che hanno condannato Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Ci sono gli esecutori, i depistatori: quella è la strada giusta per arrivare ai mandanti». Dal 23 novembre 1995 è infatti definitiva la condanna all' ergastolo di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, dei Nar, gruppo terroristico di estrema destra attivo tra fine anni '70 e primi '80. La Cassazione, sempre nel novembre '95, ha confermato le condanne per Licio Gelli (10 anni), Francesco Pazienza (10) e degli ex ufficiali del Sismi Pietro Musumeci (8 e 5 mesi) e Giuseppe Belmonte (7 e 11 mesi) per i depistaggi. Dodici anni dopo la Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni per un altro ex Nar, Luigi Ciavardini, minorenne all'epoca. L'inchiesta bis invece valuta ricostruzioni alternative alle sentenze. Secondo alcune ipotesi ci sarebbe stato un filo a legare Carlos, Kram e i palestinesi: secondo questa tesi, il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina avrebbe colpito l'Italia per vendicarsi dell'arresto nel 1979 del suo rappresentante Abu Anzeh Saleh. E per farlo avrebbe utilizzato la rete terroristica di Carlos cui era collegato Kram. Del filone palestinese parlò anche Francesco Cossiga, secondo cui però l'esplosivo veniva trasportato per essere utilizzato fuori dall'Italia e sarebbe scoppiato casualmente in stazione. Kram, in un'intervista al Manifesto disse: «Non sono io il mistero da svelare. La polizia italiana mi controllava. Sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato». Di quel giorno Kram ricordava di essersi svegliato tardi e di essere arrivato in stazione quando sul piazzale vi erano già i soccorsi.

 (FONTE: ANSA).

venerdì 12 agosto 2011

UNA TRE GIORNI ANTIMAFIA A CINISI PROMOSSA DALLA "CASA MEMORIA PEPPINO IMPASTATO"

Tre giornate sotto il segno dell'impegno antimafia. Il 17, 18 e 19 agosto 2011, l'associazione «Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato», organizza alcune iniziative nel Comune di Cinisi (Palermo), nella sede di Casa Memoria, dell'ex Casa Badalamenti e della pizzeria Impastato. Il programma parte il 17 agosto in occasione della «Notte Bianca» di Cinisi. Le porte di «Casa Memoria» rimarranno aperte. Le persone così potranno visitare la casa e conoscere e approfondire la storia di Peppino Impastato. Anche l'ex Casa di Badalamenti, nel corso principale di Cinisi, sarà aperta e all'interno verranno allestite tre mostre fotografiche. La prima sui terreni confiscati a Brusca, a cura dell'associazione Asadin di Cinisi, la seconda, invece, affronta il tema degli sbarchi a Lampedusa con il titolo: «Storia di barche, braccia e bare». E la terza raccoglie alcuni collage creati per Casa Memoria dal giovane artista Benedetto Vitale. I college raccontano i momenti più significativi dell'attività politica di Peppino: «Dalle lotte contadine a Radio Aut». Il 18 agosto nei locali della pizzeria Impastato alle 21 verrà proiettato il film «Io ricordo» di Ruggero Gabbai. Si tratta di un film a cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dedicato una targa per il valore della coscienza e dell'impegno.
Nel decimo anniversario della morte di Giovanni Falcone un padre, Gianfranco Jannuzzo, spiega al bambino Piero La Cara, che quel giorno compie 10 anni, cos'è la mafia e chi era Giovanni Falcone, perchè lui ne porta il nome e perchè ci sono persone, in Sicilia, che oggi vogliono responsabilmente assumersi l'eredità morale di Paolo, Giovanni, Boris, Cesare, Gaetano, Rocco, Beppe, Ninni, Carlo Alberto, Piersanti, Libero, Rosario. A seguire l'incontro con l'attore protagonista Gianfranco Iannuzzo. Il 19 agosto sempre nei locali della pizzeria Impastato, alle 21, verrà proiettato il trailer del documentario «Zona Espansione Nord, Libera Repubblica dello Zen». Il film affronta i problemi di un quartiere, lo Zen zona espansione nord uno dei cosiddetti quartieri satellite, insediamenti popolari per palermitani confinati a Palermo. È la storia di questo luogo, dei suoi abitanti strappati dai catoi del centro, fuggiti dal terremoto del '68 e dell'occupazione delle case popolari che ne seguì. A seguire, incontro con Giovanni Impastato, Anna Reiter, Vincino Gallo, Giuseppe Barbera, Ciccio Meli e alcuni abitanti dello Zen. Poi performance musicali e recital con Costanza Licata, Rosmary Enea e Salvo Piparo.
Fonte: ANSA

PAOLO GIACCONE UCCISO PERCHE' SI RIFIUTO' DI CAMBIARE UNA PERIZIA CHE INCASTRAVA UN KILLER DELLA MAFIA





Il Professor Paolo Giaccone
Ieri mattina a Palermo è stato ricordato il medico legale Paolo Giaccone, assassinato dalla mafia siciliana l’11 agosto del 1982, per non aver voluto  modificare una perizia che incastrava un killer  che aveva partecipato a quella che fu definita la strage di Natale, avvenuta nel 1981 a Bagheria.
Il professor Giaccone è stato commemorato con una cerimonia sul luogo del delitto, tra i viali del Policlinico universitario a lui intitolato. È intervenuta anche la figlia del medico, Milly Giaccone che il 13 luglio scorso è stata riassunta nell'ospedale Villa Sofia di Palermo. La dirigente medico, era andata in pensione anticipata usufruendo dei benefici per i parenti delle vittime della lotta alla mafia. Ma l'istituto previdenziale Inpdap aveva bloccato la pratica facendo distinzione tra vittime della mafia e vittime del terrorismo mafioso.
«Paolo Giaccone è stato un medico che non si è piegato davanti a Cosa nostra -  Ha dichiarato il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia - Non ha fatto finta di non vedere, non si è adeguato all'andazzo generale, ma ha fatto il suo dovere con coraggio, senza cedere a lusinghe e minacce. Giaccone ha fatto valere la sua dignità di professionista e di cittadino libero in un contesto dove trovavano spazio compromessi e collusioni. Un esempio – ha detto ancora Lumia - per quanti operano nel settore della sanità e un monito per la politica affinché si decida a impedire definitivamente l'intermediazione burocratico-clientelare e affaristico-mafiosa nel sistema della sanità». Anche Sonia Alfano, parlamentare europeo dell’Idv e  presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, ha voluto ricordare il prof. Giaccone e il suo esempio di cittadino modello.
“Paolo Giaccone deve oggi essere ricordato da tutti con grande orgoglio – ha detto Sonia Alfano -  per il coraggio e l'indiscutibile spessore morale che lo portò ad andare incontro ad una certa ed ingiusta morte. In un periodo in cui in troppi preferivano obbedire alle cosche, lui, troppo onesto per cedere e per lasciarsi intimidire, rifiutò, sacrificando con consapevolezza la propria vita in nome della legalità. In un Paese in cui sembra essere stata messa al bando la memoria – ha proseguito Sonia Alfano - noi familiari delle vittime continueremo a raccontare le storie di chi ha affrontato la mafia a viso aperto, scegliendo di conservare intatti valori quali onestà e dignità dei quali il dottore Giaccone era e rimarrà un esempio».

martedì 9 agosto 2011

GIGI E PAOLO. MORIRE A 21 ANNI LA NOTTE DI SAN LORENZO, SENZA UN PERCHE’


San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Luigi voleva fare l’aviatore. Si era iscritto alla facoltà di economia, ma nel frattempo si accontentava di fare il pony express. Paolo lavorava in un supermercato al banco macelleria. Aveva una sensibilità non comune per gli animali. Si occupava di quelli abbandonati. Tutti e due amavano la musica e sognavano di godersi la vita. Ma i sogni di Luigi Sequino e Paolo Castaldi, entrambi ventunenni, si sono spezzati la sera del 10 agosto 2000 a Pianura, nel quartiere dove erano cresciuti. Sì, perché Gigi e Paolo si conoscevano da piccoli. Abitavano vicino, alla traversa III San Donato. In seguito la famiglia Castaldi si trasferisce a Quarto. Ma i due amici continuano a vedersi come ai vecchi tempi.  Anche quella sera ascoltano musica nella loro auto, una “Y10” nera. Progettano di andare in vacanza in Grecia. Sarebbero partiti fra qualche giorno. Parlano di ragazze, di lavoro, di come organizzare al meglio il viaggio senza pesare troppo sulle famiglie. Sognano una vita migliore e forse di andare presto via dai luoghi dell’infanzia che ti rubano il futuro. La vita la vogliono vivere veramente. Sognano ad occhi aperti e quella sera i loro sguardi sono rivolti verso il cielo. E’ la notte di San Lorenzo. Magari una stella cadente poteva far realizzare i loro desideri. E ogni tanto, a turno, si divertono a recitare anche una strofa della poesia che avevano studiato a scuola:


San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini
.


I due ragazzi non sapevano che qualcun altro, in quegli stessi momenti, aveva deciso, invece, di far finire lì la loro vita e di far affogare in una pozza di sangue tutti i loro desideri.
Gigi e Paolo sono l’auto, che è parcheggiata sotto la casa di Rosario Marra, genero di Pietro Lago, il capo dell’omonimo clan. E’ questa la loro colpa. Sono scambiati per due guardaspalle del boss. C’è una guerra di camorra in atto. Da una parte il clan Lago, dall’altro la cosca Marfella-De Luca Bossa. “Quei due sono le sentinelle del boss. Cominciamo da loro”, sentenziano i killer. E non si faranno scrupoli, perché hanno l’ordine di colpire gli appartenenti al clan Lago ovunque.
Gigi e Paolo hanno gli occhi fissi al cielo. Aspettano di vedere cadere una stella e, intanto, recitano un  altro pezzo della poesia di Giovanni Pascoli:


San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero
di stelle nell’aria serena
s’incendia e cade, perché un così gran pianto
risplende nel cielo.
Una rondine ritornava al suo nido:
l’uccisero: cadde tra rovi spinosi:
ella aveva un insetto nel becco:
la cena per i suoi rondinini.
Arrivano i killer a bordo di un’auto. Sono in quattro. Lo racconterà un pentito. Sono Pasquale Pesce e il cugino Eugenio, insieme a Carmine Pesce, altro loro parente, ucciso poi in un agguato di camorra. C’è anche Luigi Mele. Tirano fuori le armi. Un paio scendono e sparano all’interno della “Y10”. E’ una grandinata di colpi impressionante. Per Gigi è Paolo non c’è scampo. Non hanno nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che accade. Muoiono  quasi subito.
A casa i familiari aspettano ancora Gigi e Paolo. Ma non torneranno più, proprio come il padre del poeta nella notte di San Lorenzo:
Ora là, nella solitaria casa,
lo aspettano, aspettano invano:
egli, immobile, stupefatto mostra
le bambole al cielo lontano.


E tu cielo, dall’alto dei mondi
sereni, che sei infinito, immortale
inondi con un pianto di stelle
quest’atomo opaco del male!
In seguito alle dichiarazioni del pentito, la Corte D’assise di Napoli condannerà all’ergastolo Eugenio e Pasquale Pesce.

Per  ricordare Gigi e Paolo, Mercoledì 10 agosto 2011 alle ore 18, presso la Chiesa Vocazionario di Pianura (Cripta di Don Giustino), in via Parroco Russolillo, don Tonino Palmese, celebrerà una messa in  memoria dei due ragazzi uccisi.

ANTONINO SCOPELLITI. DOPO VENT'ANNI ANCORA NESSUNA GIUSTIZIA

Tornava dal mare. Non lo poteva fare spesso perché i suoi impegni in magistratura e i processi importanti a cui era delegato, lo tenevano lontano dai luoghi della sua infanzia, la terra che portava nel sangue: la Calabria. Si era già occupato del primo processo Moro, dell’omicidio del giudice Rocco Chinnici, la strage del rapido 904. E si stava occupando dei ricorsi per Cassazione avanzati dai difensori degli imputati condannati nel primo maxi processo a Cosa Nostra. Un Pentito ha rivelato che al giudice Antonino Scopelliti furono offerti 5 miliardi di lire per fare una requisitoria meno dura nei confronti dei capi di Cosa Nostra. Rifiutò. E probabilmente quella fu anche la sua condanna a morte.
Il 9 agosto del 1991 il giudice Scopelliti, trascorre una giornata come piaceva a lui. Era in vacanza a Campo Calabro, il suo paese d’origine, non lontano da Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Tornava qui ogni anno per trascorrere le vacanze estive. Viaggiava su una Bmw, però, senza scorta e i suoi killer lo sapevano. Lo avevano seguito nei giorni precedenti. Avevano studiato l’agguato nei minimi particolari. Scelsero di colpire in una curva, dove le auto devono per forza rallentare, prima del rettilineo che porta nell'abitato di Campo Calabro. I killer erano in due, appostati su una moto, proprio a ridosso di quella curva. Quando vedono arrivare la Bmw si preparano. Tirano fuori le armi. Sparano con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. E’ il finimondo. Il magistrato viene colpito alla testa ed al torace.  L’auto perde il controllo e va a fermarsi in un terrapieno. Antonino Scopelliti muore sul colpo. Aveva 56 anni.
Secondo alcuni pentiti della 'ndrangheta, l’assassinio del giudice Scopelliti sarebbe stato eseguito dalla mafia calabrese su richiesta di Cosa Nostra siciliana. Però i processi a carico di esponenti della mafia siciliana si sono conclusi con un nulla di fatto. Nel 2001, la Corte d' Assise d'Appello di Reggio Calabria ha assolto Bernardo Provenzano, Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè e Benenetto Santapaola dall'accusa di essere stati i mandanti dell’omicidio di Antonino Scopelliti. Per ora quel delitto resta impunito.
La figlia Rosanna, nell’agosto del 2007, ha costituito una Fondazione intitolata ad Antonino Scopelliti. In occasione del 20° anniversario della uccisione del giudice, è stata promossa dal 6 al 9 agosto “Legalitàlia” – Meeting nazionale dei giovani antimafia che si svolge in Piazza duomo a REGGIO CALABRIA.

E stamattina, su iniziativa  dell'Amministrazione comunale di Villa San Giovanni, della Fondazione Scopelliti e del movimento “E adesso ammazzateci tutti” sul luogo dell’agguato, a fianco alla stele che ricorda l’uccisione del magistrato,  è stato piantato un ulivo come “Albero della memoria”.

LA FONDAZIONE:  http://www.fondazionescopelliti.it/

lunedì 8 agosto 2011

IL VIDEO DEI FUNERALI DI "ZIO GENNARO", IL PAPA' DI DON GIUSEPPE DIANA

C'era tanta gente domenica 7 agosto 2011 chiesa del Santissimo Salvatore, per l'ultimo saluto a "Zio Gennaro", il papà di don Giuseppe Diana. Tra i tanti è arrivato anche don Luigi Ciotti. In questo video i momenti salienti della funzione funebre celebrata dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, con una ventina di altri sacerdoti.


DON LUIGI CIOTTI AI FUNERALI DI GENNARO DIANA: "QUELLA BARA HA CONTINUATO A PARLARE"

CASAL DI PRINCIPE – A sorpresa, ai funerali di Gennaro Diana, è arrivato anche don Luigi Ciotti. E’ arrivato quando il feritro era appena uscito dall’abitazione per dirigersi nella chiesa del Santissimo salvatore, dove il figlio don Giuseppe Diana, è stato vice parroco all’inizio della sua carriera sacerdotale. “Quella bara ha parlato. Gennaro ha parlato. Ha continuato a dire: “mio figlio è un bravo ragazzo e un bravo sacerdote”. Don Luigi Ciotti è ancora commosso quando pronuncia queste parole poco dopo la fine della funzione funebre. Sono le parole che gli ha detto la prima volta Gennaro Diana, pochi mesi dopo la morte del figlio, quando nei confronti del sacerdote di Casal di Principe era in atto una campagna di diffamazione molto forte. Ai funerali c’è anche il questore di Caserta, Guido Longo, il presidente dell’amministrazione provinciale, Domenico Zinzi, il sindaco di Casal di Principe, Pasquale Martinelli, i vertici dell’arma dei carabinieri. La celebrazione della messa funebre viene fatta congiuntamente dal vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, con una ventina di sacerdoti, venuti anche da fuori diocesi. Tra essi come don Tonino Palmese, referente di Libera della Campania, don Stefano Giaquinto di Casagiove, i padri sacramentino di Caserta, Giorgio Ghezzi e Pierangelo Marchi. Mancano, invece, tantissimi preti della diocesi di Aversa. “Gennaro meritava tutto questo – dice ancora don Ciotti – ha contribuito, dopo l’uccisione del figlio, a tenere dritta la barra della lotta alla camorra. Non si tirava mai indietro, sempre presente quando bisognava testimoniare la volontà di riscatto di questa terra”.
"zì Gennaro E’ stato tumulato nella tomba di famiglia, nel cimitero di Casal di Principe, vicino al figlio Giuseppe.

domenica 7 agosto 2011

SE N'E' ANDATO "ZIO GENNARO", IL PAPA' DI DON DIANA. MA LASCIA TUTTO IN BUONE MANI




Don Luigi Ciotti al centro con i genitori
 di don Diana, Gennaro e Iolanda di Tella
 “Zì Gennaro se n’è andato”. Gennaro Diana, il papà di don Peppe, lo chiamavamo tutti così, “Zi Gennaro”. E’ morto ieri mattina attorno alle 9, nella sua casa di Casal di Principe, in via garibaldi 29, dopo aver preparato anche il caffè per la moglie, Iolanda Di Tella. Se n’è andato sereno, senza dire nulla. Con discrezione, si potrebbe dire, com’era abituato ad agire. Faceva più fatica negli ultimi mesi a muoversi  e si vedeva. Era in dialisi ma, nonostante tutto, quando c’era da esser presente a qualche manifestazione che ricordasse suo figlio, o incontrare i tanti ragazzi che da tutt’Italia vengono da queste parti per conoscere don Peppe e la sua famiglia, non si tirava mai indietro. ”Eravamo soli in casa – racconta Iolanda la moglie, con gli occhi pieni di lacrime – Mia figlia Marisa era appena andata via. Emilio, invece, era con la famiglia a Baia Domizia – Era tranquillo, stava in pigiama per la casa e aveva preparato anche il caffè. Poi all’improvviso un malore. Non si è lamentato più di tanto. Ed è finito così, vicino a me. Ho chiamato dei vicini e subito dopo è tornata anche mia figlia per cercare di chiamare un medico. Ma non c’era niente da fare.” Il corpo è stato appoggiato in una cassa dentro la stanza da letto di don Peppe. Attorno ci sono tutte cose che parlano del figlio sacerdote ucciso dalla camorra: Le foto del sacerdozio, quelle di don Peppe in tenuta da scout, ma ci sono ancora tutte le sue cose in quella stanza che non è stata mai “smontata” e che ora è diventata meta di tanta gente che viene qui per sapere di questo prete che è stato ucciso “Per amore del suo popolo”. Si, quel figlio che sino ad ora aveva dato la forza a tutte e due i genitori di andare avanti nonostante il dolore. Quel figlio che non è più solo figlio a loro ma che è diventato figlio di un’intera comunità che lotta per cambiare la faccia brutta di queste terre. “Non so come andrò avanti senza Gennaro – dice ancora la moglie Iolanda – ho chiesto a mio figlio Peppe di aiutarmi ad andare avanti. E so che ci penserà lui, come ha fatto sinora.” La cassa con dentro il corpo di “Zio Gennaro” e’ di legno nella parte sottostante, ma sopra è fatta di materiale trasparente, in modo da lasciare vedere il suo corpo. Ha un’espressione tranquilla. A tratti ho avuto l’impressione che muovesse i muscoli della faccia. Sicuramente sarà stata una mia impressione. L’ho detto anche a Iolanda. Poi, dopò un po’, ci sono ritornato nella stanza per guardare per un’ultima volta “Zì Gennaro”. E per la seconda volta ho avuto la stessa impressione: ho visto muovere i muscoli della faccia come volesse fare un sorriso. Lo so che questi momenti di particolare emozione possono fare anche brutti scherzi. Ma a me piace pensare che stesse sorridendo. Lo stesso sorriso che faceva quando ci incontravamo: “Ueee, Rafèeeee, comm’ stai? E mi abbracciava.” Quando ci incontravamo per raccontare di don Peppe ai ragazzi arrivati da ogni parte d’Italia per i campi di lavoro, “Zì Gennaro” diceva solo qualche parola. “Che devo dire? Vai tu, vai, racconta tutto”, diceva rivolgendosi a me. E quando volle salire sul trattore per cominciare la semina sui campi confiscati alla camorra? Memorabile. Quella volta c’era anche don Luigi Ciotti. 80 anni suonati, molti dei quali passati sotto l’arsura delle campagne casalesi a mietere il grano, a raccogliere il fieno, a zappare la terra. Don Ciotti se l’è portato anche lui nel cuore “Zì Gennaro”. I familiari di don Peppe li ha portati in giro per l’Italia e non poteva fare a meno di nominarli in ogni occasione. Anche quest’anno il 20 marzo, dopo la manifestazione nazionale di Libera a Potenza, quella della giornata della memoria, don Luigi è voluto passare da Casal di Principe, prima al cimitero sulla tomba di don Peppe e poi a casa di zio Gennaro e Iolanda. E Gennaro, come al solito, allegro e gioviale, col cappello sempre in testa come se fosse una divisa d’ordinanza e, soprattutto, contentissimo della presenza di don Luigi e di tanti amici, seduto nella sedia a fianco di Iolanda, scherzava e rideva nonostante la sua sofferenza fisica già evidente.
   




"Zì Gennaro", mentre prepara il caffè,
 assistito da Valerio Taglione
 
 “Uagliù, vò pigliate nu poco ‘e cafè?” Sempre pronto con la sua macchinetta del caffè appena si presentava qualcuno a casa. Nessuno osava dire di no a “zio Gennaro”, anche se di caffè ne  avevi ingurgitati tanti. Sarà tumulato nel pomeriggio  nella tomba di famiglia nel cimitero di Casal di Principe, a fianco a don Peppe.
“Riposa in pace Zio Gennaro, hai lasciato tutto in buone mani. Stai tranquillo perché ci fermeremo solo quando sarà certo che queste terre verranno ricordate come le ‘Terre di don Peppe Diana’ e non più” come le terre della camorra”.

venerdì 5 agosto 2011

GAETANO COSTA: "IL DOVERE DI AVERE CORAGGIO"

Arrivano in moto. I killer conoscono le sue abitudini. A quell’ora, poco prima di rientrare a casa, Gaetano Costa, il Procuratore Capo di Palermo, si ferma vicino ad una bancarella in via Cavour, per guardare dei libri. E’ a pochi passi da casa sua. Cammina senza scorta. L’aveva rifiutata. Diceva:uno come me doveva avere “il dovere di avere coraggio”. Ma voleva anche evitare di mettere in  pericolo la vita di altre persone. Tre colpi di pistola sparati alle spalle lo lasciano a terra in una pozza di sangue. Sono le 19,30 del 6 agosto 1980. Gli dovevano far pagare la firma sotto i mandati di cattura per il boss Rosario Spatola e alcuni affiliati alla sua cosca che alcuni suoi colleghi si erano rifiutati di firmare. Il procuratore Costa, aveva 64 anni. Era nato a Caltanissetta nel 1916.  Era sposato e aveva due figli Ai suoi funerali pochissimi magistrati. Dei suoi assassini non c’è traccia. Per la sua morte non è stato condannato mai nessuno.

UNA LAPIDE PER RICORDARE NINO E IDA


Una lapide commemorativa è stata installata questa mattina sul lungomare Cristoforo Colombo di Villagrazia di Carini,(Palermo), per ricordare l'omicidio avvenuto il 5 agosto di 22 anni fa dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi. All'altezza dell'ex civico 699, dove sorgeva il villino della famiglia Agostino, poi demolito, i familiari delle vittime, don Luigi Ciotti, il sindaco del Comune di Carini, Giuseppe Agrusa, le associazioni Libera, Addiopizzo, Movimento Agende rosse e Cittadinanza per la magistratura hanno ricordato l'assassinio. Il sindaco ha anche annunciato per il prossimo anno l'intitolazione ai coniugi Agostino di un terreno di circa 1300 metri quadri. «Sarà un giardino della memoria che speriamo di poter consegnare presto ai familiari e ai cittadini». «Finchè saranno ricordati per nome possiamo dire che sono vivi, ma per Nino e Ida chiediamo che vengano eliminate le mele marce ancora presenti nelle istituzioni che, al contrario di tanti poliziotti caduti, non sono stati ligi al loro dovere», ha detto Vincenzo Agostino durante le celebrazioni al santuario di Santa Maria di Gesù. «Ci sono ancora troppi misteri e interrogativi sull'omicidio, chiediamo verità e giustizia». Questa mattina il vicequestore ha deposto una corona di fiori. «Sono convinto che vostro figlio fosse un cercatore di verità e che ha pagato con la vita questo prezzo altissimo - ha detto Don Ciotti durante la celebrazione della messa rivolgendosi ai genitori - Fino a quando servirà il nostro impegno per ottenere giustizia? Ci sono uomini che offuscano e nascondono la verità, ancora il 70% delle vittime di mafia attende una risposta». Don Ciotti ha poi ricordato un'altra vittima di mafia, Emanuela Loi, poliziotta della scorta del giudice Paolo Borsellino e si è raccolto in preghiera davanti alle tombe degli agenti Vincenzo Li Muli e Claudio Traina, nel cimitero del santuario.
(FONTE: ANSA)

UN MISTERO LUNGO 22 ANNI SULL'UCCISIONE DI NINO AGOSTINO E SUA MOGLIE IDA CASTELLUCCIO.

Vincenzo Agostino con il ritratto del figlio Nino e della moglie Ida Castelluccio

Vincenzo Agostino la barba  non se l’è tagliata ancora. Ha giurato di farlo solo quando saprà chi è stato ad uccidere suo figlio Nino e la moglie, Ida Castelluccio. I due, sposati da poco (la moglie era incinta) furono uccisi il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo. Nino Agostino era un agente del commissariato San Lorenzo, ma si è saputo in seguito che avrebbe lavorato, sotto copertura, per i servizi segreti. Da 22 anni il mistero sulla morte dei due ragazzi è fittissimo e non sono bastate le proteste, anche clamorose, di Vincenzo Agostino, incatenatosi in varie occasioni sotto sedi istituzionali, a far luce sul delitto. Quello che si sa è il padre Vincenzo trovò un biglietto nel portafoglio del figlio che diceva: “Se mi accade qualcosa, guardate nell‘armadio di casa”. Furono trovate delle carte che il papà consegnò a ad un agente di polizia, Guido Paolilli (risulta tra gli indagati di questa vicenda) che aveva il compito di indagare sulla morte di Nino Agostino. Paolilli, chiamato a palermo dal capo della Mobile di allora, Arnaldo La Barbera, (si è scoperto che anche lui faceva parte dei Servizi), condusse le prime indagini indirizzandole sulla pista passionale, che non ha mai avuto alcun riscontro. Un classico di questi casi quando si vuole depistare. Dopo qualche mese Paolilli fu trasferito all’Alto commissariato antimafia. Alcune tracce portavano anche all’attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone. Si disse che Nino era uno di quelli che aveva contribuito a far fallire l’attentato contro il magistrato siciliano e per questo venne ucciso. Ma l’analisi del Dna sulla tuta da sub non avrebbe confermato la presenza di Nino Agostino. Resta il mistero fitto anche su questo delitto. Al momento non si conoscono né i killer, né i mandanti. E Vincenzo, forse, continuerà ancora per molti anni a tenere quella barba bianca così lunga.

giovedì 4 agosto 2011

ITALICUS, ALTRA STRAGE SENZA COLPEVOLI E MANDANTI

Ancora una strage. Ancora nel mese di agosto. Esattamente  37 anni fa, il 4 agosto 1974 una bomba scoppia sul treno Italicus nei pressi di Bologna, a San Benedetto val di Sambro, facendo 12 morti e 48 feriti.  La bomba scoppia all’1,23, nella vettura n. 5, del treno espresso  Roma-Monaco di Baviera via Brennero. Lo scoppio avvenne non lontano dalla galleria, dove dieci anni dopo ci sarebbe stato un altro attentato ad un treno: il rapido 904, partito da Napoli il 23 dicembre del 1984 e diretto a Milano. Se fosse scoppiata in quella galleria, la bomba avrebbe provocato centinaia di morti. Quella del treno Italicus è una delle stragi mai chiarite, compiute nell’ambito della cosiddetta “Strategia della tensione”, alimentata da apparati dello Stato che si servivano di gruppo neofascisti per seminare terrore e morte al fine di destabilizzare il paese. Dal caos sarebbe arrivata poi una richiesta di “legge e ordine”  che di fatto avrebbe tenuto fuori dal governo del paese una forza politica di grande rappresentanza popolare come quella del Partito Comunista Italiano. Su quel treno era salito Aldo Moro, rapito ucciso pochi anni dopo dalle Brigate Rosse. Moro era uno dei politici democristiani che si apprestava a lanciare l’idea del “compromesso storico”. Ovvero un governo che comprendesse anche i Comunisti. Quella sera doveva raggiungere la famiglia in vacanza. Ma da quel treno scese all’ultimo momento perché richiamato da alcuni funzionari ministeriali per firmare documenti importanti. L’attentato venne rivendicato da un’organizzazione neofascista “Ordine Nero”. I colpevoli della strage non sono stati mai individuati. Ma i forti sospetti sui mandanti, sono stati messi nero su bianco dalla commissione Parlamentare sulla Loggia P2, quella di cui era venerabile maestro Licio Gelli. “… si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi – scriveva la commissione parlamentare sulla Loggia P2 -  così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.” 


martedì 2 agosto 2011

STRAGE DI BOLOGNA: "ARRIVARE AI MANDANTI"

«Arrivare ai mandanti dell'attentato alla stazione di Bologna è possibile, basta mettere in fila i fatti e analizzarli con onestà e buon senso». È quanto ha ribadito nel suo discorso il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi. E per farlo occorre, ha detto, «porre finalmente fine al segreto di Stato facendo sì che il carteggio relativo alla strage giacente presso tutti i servizi segreti, negli archivi dei vari ministeri e dei carabinieri sia messo a disposizione dei giudici, sarebbe indice della volontà del Parlamento tutto di colpire i mandanti e tutti coloro che hanno favorito il terrorismo anche con la loro colpevole inerzia. Questo misurerà nei fatti la volontà politica di far cadere ogni complicità istituzionale e affermare compiutamente la democrazia nel nostro Paese». Nel suo discorso Bolognesi ricorda che «trenta anni fa, quando abbiamo fondato l'associazione vittime della strage, abbiamo deciso di non arrenderci davanti alla tragedia immane che ci aveva colpito e abbiamo voluto guardare avanti: giustizia e verità erano e sono l'unico modo per onorare i nostri morti e per scongiurare la possibilità che le stragi possano ripetersi». E a tal fine, prosegue Bolognesi, «la nostra battaglia civile non è ancora finita perchè all'appello mancano i mandanti: e dopo che con le documentazioni e le risultanze della Commissione Mitrokhin i giudici hanno dovuto perdere 5 anni di indagini su documenti inconcludenti, pochi mesi fa abbiamo presentato alla Procura di Bologna un memoriale con cui chiediamo di fare luce sulla complessa rete in cui hanno operato gli autori materiali dell'attentato del 2 agosto 1980». «La nostra richiesta prende le mosse dalle carte sul processo per la strage di Brescia e dalla rilettura di procedimenti giudiziari che negli anni hanno coinvolto personaggi vicini a Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini - ha detto - I nuovi spunti di indagine avvalorano il contesto cristallizzato delle sentenze e cioè la complessa ragnatela di rapporti tra terroristi neofascisti, servizi segreti, criminalità organizzata e massoneria. Appaiono ormai accertati collegamenti stretti tra Fioravanti e la massoneria e collusioni e legami ancora vivi con persone estremamente pericolose. Gli esecutori materiali della strage di Bologna non sono perseguitati, non sono capri espiatori, non sono soli e abbandonati, ma possono contare sull'esistenza dei ricchissimi camerati di un tempo e sulla riconoscenza di molti che non hanno trascinato in galera quando avrebbero potuto».
Fonte: ANSA