giovedì 24 luglio 2014

IL RICORDO DEL CARABINIERE SALVATORE NUVOLETTA AL FESTIVAL DELL'IMPEGNO CIVILE, CON "IL TAPPETO DI IQBAL"

Aveva vent’anni quando  Salvatore Nuvoletta, carabiniere in servizio a Casal di Principe, fu ammazzato per ordine di Francesco Schiavone, Sandokan.   Fu ucciso nella sua Marano, da un commando al servizio del clan Nuvoletta, affiliati a Cosa Nostra siciliana. Era il 2 luglio del 1982. Ieri è stato ricordato a Casal di Principe, in una tappa  del festival dell’impegno Civile, dove in un terreno confiscato proprio a Francesco Schiavone, nelle adiacenze del Santuario della Madonna di Briano,  è stato scoperto un cippo di marmo che ricorda l’omicidio del giovane carabiniere. Alla cerimonia erano presenti l’anziano padre, Ferdinando Nuvoletta, i fratelli, Gennaro ed Enrico, il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, il capitano della compagnia dei carabinieri di Casal di Principe, Michele Centola, il  parroco del Santuario della Madonna di Briano, don Paolo dell’Aversana e i responsabili di Libera, Gianni Solino e Comitato don Diana, Valerio Taglione. 

“Lo conoscevo quel giovane carabiniere – ha detto il sindaco Renato Natale – ci incontravamo dallo stesso barbiere. Era tra quelli che facevano di tutto per impedire alla camorra di averla vinta.  E ha pagato con la vita quel suo impegno. Quand’ero sindaco nel 1994 – ha ricordato Natale – dopo l’omicidio di don Diana ricevetti una lettera da Ferdinando Nuvoletta, il papà si Salvatore. Esprimeva le sue condoglianze alla città e alla fine si rammaricava perché Casal di Principe non aveva mai tributato nessuno riconoscimento al figlio ucciso dai camorristi. Scrissi al padre facendogli la promessa che Salvatore lo avremmo onorato come meritava. Oggi siamo qui, dopo vent’anni a mantenere fede a quella promessa, perché abbiamo deciso di intitolargli la nuova scuola che andremo ad edificare a Casal di Principe”. Commosso il padre i suoi fratelli, dalle parole del primo cittadino. Commozione che ha coinvolto il numeroso pubblico presente quando sono stati letti brani dedicati alla vicenda  di Salvatore Nuvoletta. Le cronache giudiziarie vogliono che il giovane carabiniere r fu “venduto” dal suo maresciallo, Gerardo Matassino, che lo indicò come la persona che uccise in un conflitto a fuoco “Menelik”, Mario Schiavone, imparentato con Sandokan, e per questo condannato a morte dal clan. Ma quel giorno Salvatore Nuvoletta  era in caserma a fare da piantone e non  a sparare i camorristi. 

La tappa del festival è stata animata dai giocolieri de “Il Tappeto di Iqbal”. Ragazzi organizzati in cooperativa sociale che arrivano da Barra, difficile periferia napoletana. Con i loro numeri circensi i ragazzi hanno giocato con adulti e bambini. Anche il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, ha indossato naso rosso e maglietta di Iqbal. Poi uno spettacolo teatrale,  rappresentato in Campania per la prima volta,  con il quale hanno raccontato un pezzo della loro storia. Un’esperienza di recupero di ragazzi a rischio, tra le più significative della regione che però rischia di chiudere se non adeguatamente sostenuta. 


venerdì 11 luglio 2014

RICORDATO A CASTEL VOLTURNO RAFFAELE GRANATA. IL PM SIRIGNANO: "LA CAMORRA PUO' RISORGERE SE NON VOLTIAMO PAGINA"

“Attenti, la camorra casalese è stata messa alle corde, ma non è sconfitta. Le cose sono cambiate, ma possono cambiare ancora in senso negativo se oggi non cogliamo questa importante occasione per voltare pagina”. Cesare Sirignano, magistrato della Dda Napoletana, invita a non sottovalutare la capacità di “risorgere” della camorra, in un territorio che conserva ancora tutto l’humus che l’ha fatta crescere e proliferare. Lo fa durante una iniziativa della Federazione Antiracket Italiana nel Comune di Castel Volturno, per ricordare Raffaele Granata, proprietario del lido “La Fiorente”, ucciso l’11 di luglio del 2008 dal gruppo criminale di Giuseppe Setola durante  nove mesi di terrore in cui furono ammazzate 18 persone. Con Sirignano, a ricordare Granata, ci sono anche  il nuovo Commissario Nazionale Antiracket, Santi Giuffrè, il presidente onorario della Fai, Tano Grasso, Il commissario Regionale Antiracket, Fanco Malvano, il prefetto di Caserta, Carmela Pagano, Il sindaco di Castel Volturno, Dimitri Russo e Luigi Ferrucci, presidente dell’associazione antiracket di Castel Volturno. In sala ad ascoltare, insieme ai figli di Raffaele Granata, ci sono i familiari di Domenico Noviello  e Antonio Ciardullo, altre vittime del gruppo criminale di Setola. Con loro il  rappresentante dei familiari delle vittime innocenti della provincia di Caserta, Salvatore Di Bona. 


Questo è il luogo in cui la camorra ha fatto più danni  - dice nella sua prima uscita pubblica Dimitri Russo, il nuovo sindaco di Castel Volturno  -  Oggi devo constatate che gran parte di quella feccia umana è stata spazzata via grazie al lavoro delle forze dell’ordine.  Tuttavia non bisogna mai abbassare la guardia”. Luigi Petrucci, Presidente Associazione Antiracket Castel Volturno “Domenico Noviello”, invita gli imprenditori a denunciare. “Oggi è più facile rispetto ad alcuni anni fa perché lo Stato è più presente”. Per Franco Malvano Commissario regionale Antiracket “Bisogna rafforzare la cultura del contrasto che manca, ma non possiamo aspettare che il problema lo risolvano magistrati e forze dell’ordine. La politica deve impegnare più risorse. Anche i beni confiscati devono essere recuperati. Quando sono abbandonati sono l’immagine di un’inefficienza dello Stato”.

Ma è Cesare Sirignano a insistere sulla possibile rinascita delle organizzazioni criminali. “Sono stati conseguiti dei risultati straordinari sulla camorra, solo che la cultura camorristica è ancora molto radicata. Vi sono le condizioni per una ripresa dell’organizzazione criminale, perché restano immutate le condizioni che l’hanno generata: Non c’è sviluppo, non c’è impegno vero dal punto di vista nazionale per queste zone. Non ci sono impegni che possano contribuire ad uno sviluppo culturale oltreché economico. E’ difficile pensare che una cultura così radicata possa essere cancellata con le sentenze. Bisogna cogliere questo momento veramente straordinario e fare sul serio”.

Il prefetto di Caserta, Carmela Pagano, è attento alle parole del magistrato. E lo sottolinea così: “Ci sono stati molti successi nei confronti della criminalità organizzata. Questo lo voglio rivendicare col Modello Caserta. Sono d’accordo che non bisogna sottovalutare l’opportunità di voltare pagina e cogliere la grande opportunità che ha il territorio in questo momento. Ci sono forti retaggi di tipo culturale che vanno recisi”.

A mettere in risalto altre contraddizioni nella lotta alla camorra è Tano Grasso, che punta il dito contro gli imprenditori del territorio. “C’è una risposta straordinaria dello Stato, ma c’è altrettanto una risposta straordinaria in negativo da parte del mondo imprenditoriale casertano. L'assenza nella lotta alla criminalità delle associazioni imprenditoriali sterilizza anche l'azione dello Stato. Noi delle associazioni siamo una piccola avanguardia – sostiene Grasso -  Significativa, importante, ma in questa immensa provincia casertana gli imprenditori antiracket che si organizzano, sono una esigua minoranza. Se gli imprenditori non capiscono che devono ribellarsi al pizzo, l’organizzazione criminale si ricostruisce. Così è avvenuto ovunque”


Giuseppe Granata
Per questo il commissario Nazionale Antiracket ha invitato gli imprenditori a fare una precisa scelta di Campo. “Se prima poteva esserci una giustificazione morale perché lo Stato era assente, oggi chi non lo fa non ha più giustificazioni”. “Mio padre in 70 anni non è mai andato in ferie, ha sempre lavorato - ha concluso Giuseppe Granata, il figlio di Raffaele –  Ricordo ancora le parole che allora ci disse il dottor Sirignano: “Non chiudete l’attività. Portatela avanti come se fosse un simbolo”. Lo abbiamo fatto nel solco della legalità perché mio padre non si è mai piegato alla camorra – conclude emozionato Giuseppe Granata – e noi vogliamo continuare a portare avanti il suo esempio”.

mercoledì 2 luglio 2014

IL VESCOVO NOGARO: "LA GENTE HA GIA' PROCLAMATO SAN PEPPINO DIANA DI TERRA DI LAVORO"

“Se la chiesa non lo canonizza, lo canonizziamo noi don Peppino Diana, perché lui è di una santità autentica, genuina: la santità del popolo”. Raffaele Nogaro, il vescovo emerito di Caserta, ritorna su una vicenda che per la chiesa casertana è una questione ancora aperta: la beatificazione del sacerdote ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994. Lo fa nella sua Caserta, in un bene confiscato assegnato al centro Nausica, nel corso di una tappa del festival dell’Impegno civile, l’iniziativa promossa dal Comitato don Peppe Diana e Libera. “Mi interessa relativamente la santità canonica da parte della chiesa – continua a dire Nogaro, che da qualche mese è ritornato a parlare in pubblico dopo una lunga degenza - A me piace di più il Don Diana santo del popolo, perché lui si è incarnato nel popolo. Mi piacerebbe tanto che la gente del sud lo ricordasse come “San Peppino Diana di Terra di Lavoro”. 

Nogaro racconta la sua amicizia con don Diana, che il 4 luglio avrebbe compiuto 56 anni. “Alla fine degli anni ’80 me ne parlò il vescovo di Aversa, Giovanni Gazza, uomo del nord come me. Don Peppino era suo segretario particolare già da qualche anno. Alla conferenza episcopale Campana Gazza mi è venuto incontro per confidarsi un po’, perché si sentiva a disagio nell’ambiente meridionale, dove invece io mi sono trovato bene sin dall’inizio nonostante fossi friulano. “Ho paura per lui perché fa affermazioni che non sono permesse. Troppo pesanti”. Anche per Gazza le prese di posizione di don Diana erano fuori dal coro. Ma don Diana era già lanciato lungo la strada che aveva scelto di percorrere.  Naturalmente questa franchezza, questa limpidità di un uomo di chiesa – ricorda con particolare fervore Nogaro -  mi ha entusiasmato subito. E quando Gazza me lo ha presentato, mi ha detto, scherzando, “qui c’è un pazzo come te, solo tu puoi aiutarlo a  comportarsi bene”, subito siamo diventati amici. Abbiamo avuto una frequentazione molto intensa. Eravamo sintonizzati perché il suo pensiero coincideva col mio. Entrambi pensavamo che la Chiesa era collusa con la camorra. La camorra che si è sviluppata in modo così brutale, a livello fisico, e che è diventata un costume. Ha corrotto le coscienze, avviene dappertutto questo, ma una mentalità camorrista specifica purtroppo è stata possibile perché è stata quasi confortata nelle sue azioni più malvage da una Chiesa che forse non capiva la situazione in quel momento. 

Tutto questo a me pareva che fosse una vergogna. Quando don Diana mi ha fatto vedere il documento che aveva scritto  “Per amore del mio popolo” ne sono stato felice. Nella parte in cui parla della camorra, la descrive come il nichilismo dell’umanità perché - e si rivolge agli uomini di chiesa – il principio che dovrebbe governare e dirigere il nostro rapporto con le persone è quello dell’amore per il fratello. Mentre la camorra è il principio opposto: l’odio per il fratello. Il principio della supremazia dell’egoismo, dell’individualismo. Il nichilismo che naviga nel nostro pensiero contemporaneo, è stato messo in atto, rivissuto da queste forme camorristiche che troviamo nelle nostre terre. Don Diana, lo so bene, non era un prete disciplinato – si accalda Nogaro -  ma credeva, pregava, annunciava Cristo, aveva la religione dell’amore del prossimo. Che è quella genuina, è quella del Vangelo, quella di Papa Francesco che dice che la Chiesa è un ospedale da campo e deve provvedere a sostenere  nell’emergenza  tutti quelli che hanno bisogno, amici o nemici non importa. Ecco Don Diana faceva le cose che oggi sostiene Papa Francesco. Perciò dico che la sua è autentica, è quella vicina al popolo. E se la chiesa non lo canonizza, poco male, perché per la gente don Diana è già santo.