mercoledì 29 febbraio 2012

PREMIO ANGELO VASSALLO PER I COMUNI FINO A 5000 ABITANTI

UN PREMIO PER I PICCOLI comuni nel nome di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso il 5 settembre 2012. L'ha istituito l'Associazione Nazionale Comuni d'Italia (ANCI), insieme a Legamebiente, Libera e altre assocazioni.  La riunione per il lancio dell'iniziativa si è svolta oggi a Napoli, nella Sala Megaride di Castel dell'Ovo, in occasione del Consiglio Nazionale dell'Anci. Tra i presenti Giuseppe Cicala, delegato Anci alle Politiche della Legalità, Mauro Guerra, coordinatore nazionale consulta piccoli Comuni, Stefano Pisani, sindaco del Comune di Pollica e Sebastiano Venneri di Legambiente. Con la riunione di oggi, dichiara il delegato alla legalità Giuseppe Cicala, «si dà il via al Bando 'Angelo Vassallò promosso da Anci e Legambiente, insieme Libera, Slowfood e FederParchi, che viene ufficialmente pubblicato a partire da domani 1 marzo e destinato a tutti i Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, singoli e associati che potranno concorrere presentando i progetti realizzati e mirati allo sviluppo locale, al rispetto e alla valorizzazione dell'ambiente all'insegna della trasparenza amministrativa».

«Il Premio - ricorda ancora Cicala - ha un forte valore simbolico e intende valorizzare attraverso la buona politica il contrasto alle illegalità». Nel mettere in evidenza l'essenza del Premio, Mauro Guerra, coordinatore nazionale consulta piccoli Comuni, ha ricordato che «sono migliaia gli amministratori di piccoli Comuni che quotidianamente mettendosi al servizio del bene comune combattono contro le mafie». «Lo spirito del Premio è proprio quello di valorizzare le buone pratiche adottate dai piccoli Comuni, come migliore esempio del contrasto alla criminalità, favorendo lo sviluppo delle comunità locali. Crediamo che questo Premio - conclude Venneri - possa contribuire a dare visibilità alle centinaia di buone pratiche, anche ambientali, realizzate dai piccoli Comuni in continuità con l'esperienza amministrativa di Angelo Vassallo».

martedì 28 febbraio 2012

DIECI STORIE PROPRIO COSI' AL SAN CARLO DI NAPOLI

Si chiama “Dieci storie proprio così”, lo spettacolo che domani andrà in scena al San Carlo di Napoli e che racconta le storie di vittime innocenti della criminalità. «Una quasi opera contemporanea, un esperimento in musica che si avventura all'interno del dibattito sulla legalità, cercando di restituire un senso a questa parola così difficile, complicata, 'abusata’, elusa, ogni giorno». Così Emanuela Giordano, regista teatrale e autrice della drammaturgia, descrive il suo nuovo spettacolo 'Dieci storie proprio cosi « in scena al Teatro San Carlo di Napoli domani alle 11, e in replica tutti i giorni, sempre alle 11, fino a sabato 3 marzo, per la stagione Educational 2011-2012. 'Dieci storie proprio cosi» sono dieci storie di impegno civile, come quelle, tra gli altri, di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Don Giuseppe Diana, Giancarlo Siani, di dolore e di riscatto raccontate senza enfasi o intenti celebrativi. Le storie si intrecciano tra loro in una sorta di Spoon River in cui le voci di giovani attori napoletani diventano coro organico di queste testimonianze.

Il Massimo partenopeo unisce per l'occasione tutte le sue forze: orchestra e coro di voci bianche (entrambi diretti da Stefania Rinaldi), la scuola di ballo diretta da Anna Razzi, il corpo di ballo diretto da Alessandra Panzavolta, tecnici e maestranze. «Quasi un corpo unico - sottolinea la regista - le cui energie sono impiegate in un lavoro di collaborazione per promuovere un progetto speciale in cui musica, canto, e coreografia si mettono al servizio di piccole e grandi storie che costituiscono il mosaico complesso del nostro vivere civile. Ecco perchè come sintesi dello spirito di questo lavoro è stata scelta la frase del filosofo Hegel Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione». «Sono le storie delle nostre famiglie, della nostra personale tragedia e del nostro impegno», aggiunge Paolo Siani, presidente della Fondazione Polis e fratello del giornalista del Mattino Giancarlo Siani. «Noi, i familiari delle vittime innocenti della criminalità - aggiunge - vi raccontiamo con il lavoro di Emanuela Giordano, che non siamo scappati, pur avendo subito il torto più grande di tutti, perchè siamo convinti che possiamo farcela. Attraverso il ricordo dei nostri cari, con l'impegno dei giovani, con la partecipazione delle Istituzioni e attraverso la bellezza dell'arte vogliamo credere nel cambiamento».

RIMOSSO TRA PROTESTE MONUMENTO ABUSIVO A LUIGI SICA, UCCISO PER FUTILI MOTIVI NEL 2007

Rimosso il piccolo monumento funebre eretto per ricordare Luigi Sica invia Santa Teresa degli Scalzi. “Era abusivo” per le autorità. Ma chi ha conosciuto il ragazzo, ucciso nel 2007 da due coetanei per futili motivi, non ci sta.

La rabbia per un gesto che ha quasi del sacrilego. E il sospetto per la denuncia di qualcuno che è rimasto nell'ombra. Da ieri mattina Luigi Sica, il sedicenne assassinato cinque anni fa, non ha più il suo piccolo monumento funebre. ''Vergogna'' grida la gente assiepata attorno ai tecnici che a colpi di martello smantellano la piccola cappella costruita su una pila di mattoni in via Santa Teresa degli Scalzi. ''E' uno scempio, è uno schifo - dicono - Quello è come un figlio nostro. E con i problemi che abbiamo in questa città si curano proprio di questo''. Più composto invece il dolore di Ciro, il padre di Luigi. La moglie Anna è rimasta a casa, non ha voluto aggiungere dolore a quella terribile sofferenza che da 5 anni la piega. Ciro resta stretto tra i due figli, Annarita e Giovanni. A ogni colpo di martello gli occhi si riempiono sempre più di lacrime. ''Ringraziamo la persona che ci ha fatto questa cattiveria'', dice il padre del ragazzo.

 
E' una persona di cui nessuno conosce il nome, quella che ha presentato la denuncia alla Polizia municipale, ma i sospetti sono tanti. Qualcuno parla anche della famiglia di uno dei due assassini che a breve potrebbe uscire di galera e tornare nel quartiere. Intanto la III Municipalità ha deciso di 'adottare' il piccolo monumento. ''Siamo stati costretti a toglierlo perché effettivamente abusivo - spiega il presidente, Giuliana Di Sarno - ma siamo in attesa dell'autorizzazione per l'occupazione di suolo pubblico e intanto collocheremo il tabernacolo nel cortile d'ingresso della Municipalità''. La Di Sarno ha anche avviato la richiesta all'assessore alla Sicurezza del Comune, Giuseppe Narducci, per il riconoscimento di Luigi Sica come vittima della criminalità comune. Ma restano tanti dubbi su questa denuncia che ha portato alla rimozione dell'edicola. Chi poteva avere interesse a fare una cosa del genere si domandano tutti. In una zona dove, tra l'altro, a voler applicare alla lettera le leggi si finirebbe col chiudere e mettere i sigilli a quasi tutte le case e ai negozi. ''Uscire le mattine e vederlo qui me lo faceva sentire vicino - dice la sorella di Luigi, Annarita - Spero che arrivi presto questa autorizzazione e che possa ritornare il suo monumento che per i giovani di questo quartiere così difficile era anche diventato un simbolo positivo''.

CHIESTI TRE ERGASTOLI PER L'UCCISIONE DI PETRU, IL MUSICISTA ROMENO ASSASSINATO A NAPOLI

Tre ergastoli per l'uccisione di Petru Birlandeanu sono stati chiesti dal pm Michele Del Prete nel corso del processo nei confronti di  Marco Ricci e Maurizio e Salvatore Forte, accusati di essere gli autori dell'omicidio musicista romeno. Petru suonava la fisarmonica per le strade di Napoli per sbarcare i lunario.  Fu ucciso da un proiettile vagante nella stazione della Cumana,  nel quartiere di Montesanto, davanti agli occhi della moglie il 26 maggio del 2009, mentre alcuni sicari cercavano di ammazzare il boss rivale. La sua morte fu filmata telecamere di sicurezza, nella stazione della Cumana. Secondo l'accusa, Ricci e i due Forte, cugini tra loro, facevano parte del gruppo di otto killer che, partiti dal quartiere di Ponticelli, dove era ancora egemone il clan Sarno, scorrazzarono sparando per le strade di Montesanto in segno di disprezzo nei confronti del boss rivale Marco Mariano, da poco scarcerato. Il processo è in corso davanti alla III corte d'assise, presieduta da Carlo Spagna. Nel corso dell'udienza di oggi hanno discusso anche gli avvocati di parte civile: Fabio Maria Ferrari, che rappresenta il Comune di Napoli, ed Elena Coccia, che assiste i familiari della vittima. Nell'udienza del 12 marzo replicheranno gli avvocati della difesa.

MORTO JOSEPH AYIMBORA, SOPRAVVISSUTO ALLA STRAGE DI CASTEL VOLTURNO

È morto per cause naturali, nella località protetta in cui si trovava, Joseph Ayimbora, il cittadino ghanese sopravvissuto alla strage di Castel Volturno del settembre 2008 che con la sua testimonianza indirizzò le indagini verso il boss Giuseppe Setola e i suoi uomini. La sera della strage, Ayimbora si trovava assieme con altri immigrati africani nella sartoria «Ob Ob exotic fashion», presa di mira dai killer del clan dei Casalesi. Si finse morto e riuscì in questo modo a beffare gli assassini. Nelle ore successive, il ghanese riferì alla polizia dettagli preziosi per l'identificazione di Setola e degli altri componenti del commando, Davide Granato, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e Antonio Alluce, tutti condannati di recente all'ergastolo tranne Alluce, condannato a 30 anni. Ayimbora ha poi testimoniato al processo, recentemente mandato in onda dalla trasmissione Rai «Un giorno in pretura». Secondo il medico legale che ha esaminato la salma, l'uomo è stato stroncato da un aneurisma. Il pm Cesare Sirignano ne ha comunque disposto l'autopsia.

(fonte: ANSA).

giovedì 23 febbraio 2012

UCCISO DALLA CAMORRA FIN DENTRO CASA SUA. LA STORIA DEL MARESCIALLO DEI CARABINIERI ANTONIO SALZANO

Quello del maresciallo dei CC Antonio Salzano, è uno dei delitti più efferati della camorra, perché ucciso a casa sua, all'una di notte, davanti alla sua famiglia. L'omicidio il 23 febbraio del 1982.

La storia che segue, è tratta dal mio libro "Al di là della notte", ed. Tullio Pironti

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Quando suona il citofono sobbalzano dal letto sia Antonio che Maria Rosaria. È da poco passata l’una di notte. «Chi sarà mai a quest’ora?», chiede la moglie. Antonio Salzano, invece, che è un maresciallo dei carabinieri, non si meraviglia che qualcuno a quell’ora possa bussare alla sua porta. Era già capitato. Antonio si avvia in pigiama verso il citofono. «Chi è?», chiede. Dall’altro capo del citofono risponde una persona che probabilmente il maresciallo conosce. Così apre la serratura del cancello automatico di una anonima palazzina del Parco Azzurro, in via Lauzieres, n. 20, a San Giorgio a Cremano. Poi apre anche il portoncino per far entrare la persona che ha citofonato. La moglie, ancora nel letto, sente la porta aprirsi e, subito dopo, cinque colpi di pistola. Tutti in rapida successione. Sono colpi di una 38 special. Il maresciallo dei carabinieri Antonio Salzano viene colpito allo stomaco, al petto, al collo. Quando è già a terra, l’ultimo colpo è alla tempia. Lo finiscono senza pietà. L’assassino esce di corsa e si infila in una macchina dove lo stanno aspettando dei complici. Una sgommata di ruote e via di corsa. Per le strade strette di San Giorgio a Cremano. Muore così a quarantatré anni, nella notte del 23 febbraio 1982, il maresciallo dei carabinieri Antonio Salzano, originario di Afragola.

«Antonio, Antonio, cos’è successo? Antonio…». La moglie del maresciallo, Maria Rosaria Langella, quarant’anni, si alza dal letto e comincia a gridare terrorizzata dagli spari. Pensa già al peggio. Arriva vicino alla porta e trova il marito a terra col viso e il petto insanguinato. Maria Rosaria urla, chiede aiuto. Corrono i due figlioletti che stanno dormendo nella loro stanzetta. Hanno sentito il rumore, gli spari, il trambusto e le grida della mamma. Bruno e Cristiano, undici e sei anni, arrivano in pigiama a piedi nudi vicino all’ingresso, visibilmente spaventati. Vedono la mamma che piange e urla vicino al corpo del padre insanguinato. Gli occhi stralunati. Tutti e due impauriti. Vedono il sangue sul volto del papà. Restano muti a osservare il corpo senza vita del padre. Maria Rosaria si accorge della presenza dei figli. «Tornate a letto. Tornate a letto. A papà ci penso io. Adesso lo porto in ospedale». Poi chiama un suo amico avvocato, arriva qualche conoscente. Cercano di soccorrere il maresciallo. Ma Antonio Salzano è già privo di vita. Arrivano i carabinieri del 113. Chiamano il giudice di turno. Arrivano anche i superiori del maresciallo scuri in volto e preoccupati per l’escalation di violenza che sta colpendo la Campania e Napoli in particolare dove dall’inizio del 1982 sono già cinquantanove i morti ammazzati. Più di uno al giorno. A riavvolgere il nastro del film della giornata, ci sono quattro morti da registrare. Due a Ottaviano (Antonio Visone e Ciro Menzione), il maresciallo Salzano a San Giorgio a Cremano e un detenuto, Antonio Giaccio, detto «Scialò», ammazzato nelle camere di sicurezza del palazzo di Giustizia di Napoli. Ad ucciderlo con una rivoltella è stato un altro detenuto, Michele Montagna, che ha ferito anche uno dei capi camorra più noti, Gennaro Licciardi, detto «’a scigna». Vendetta di bande rivali. Da alcuni anni si fronteggiano il cartello camorristico della «Nuova Famiglia» (Bardellino, Alfieri, Nuvoletta, Zaza, Giuliano e altri), e la «Nuova Camorra Organizzata » di Raffaele Cutolo. Scenario di questo scontro l’intero territorio campano. In palio c’è il controllo del mercato delle sigarette di contrabbando, ma anche la torta appetitosa degli appalti del dopo terremoto e il controllo del mercato della droga.

Qualcuno cerca di mettere l’uccisione del maresciallo Salzano proprio in relazione con quanto è successo poche ore prima nelle camere di sicurezza a Napoli. Alle 2,30 di notte giunge una telefonata anonima al quotidiano «Il Mattino»: «…il maresciallo Salzano, che ha fornito le armi ai detenuti». Si sentono nitide solo queste parole nella telefonata. Niente di più. Si cerca di buttare fango sul carabiniere che era addetto al «Nucleo traduzioni e scorta detenuti», facendo balenare l’ipotesi che le armi con le quali era stato ucciso Antonio Giaccio e ferito Gennaro Licciardi, in qualche modo sarebbero state fatte passare dal maresciallo Salzano. Giaccio e Licciardi erano appartenenti alla «Nuova Famiglia». Michele Montagna un cutoliano. In realtà nella camera di sicurezza furono trovati anche quattro coltelli che servirono a ferire Licciardi gravemente e, presumibilmente, furono anche altri a partecipare alla spedizione punitiva nei confronti di Licciardi e Giaccio. Quel giorno Michele Montagna arrivò vestito con vari strati di indumenti. Molto probabilmente aveva nascosto le armi addosso.

Un articolo pubblicato dal quotidiano «l’Unità» il 24 febbraio 1982 descrive il “mercato” delle armi a Poggioreale e di come era facile farle passare: «…una pistola costa due milioni. Un coltello a serramanico dalle cento alle duecentomila lire. I soldi per comprare le armi entrano insieme alla biancheria pulita, ai pacchi viveri che i parenti dei circa 1.500 detenuti portano durante le ore di visita. [...] Anche i processi diventano occasione per far correre di mano in mano coltelli e “altro”. A quelli più importanti, oltre ai parenti, sono presenti anche i “cumparielli” che si avvicinano a baciare i boss attraverso le gabbie. È in questi momenti che spesso passano i soldi. Controlli? È difficile. La legge, dentro Poggioreale, la fanno loro, i detenuti più potenti. Le guardie giurate spesso hanno paura. Tre loro colleghi in poco più di un anno sono già morti». Michele Montagna affermò di avere ucciso e ferito da solo Giaccio e Licciardi. E sotto il verbale sottoscritto davanti agli inquirenti, scrisse: «Montagna Michele, inviato da Dio per uccidere satana».

Il ministro di Grazia e Giustizia Clelio Darida, nel rispondere ad una interrogazione parlamentare di Falco Accame, l’11 ottobre del 1982, escluse che il maresciallo Salzano fosse coinvolto nel passaggio delle armi a Poggioreale per permettere la vendetta dei cutoliani.

Intanto la vita di Rosaria e dei suoi due figli, Bruno e Cristiano, è andata avanti senza il marito e senza il padre. Col dolore sopportato nel silenzio del tempo che scorre inesorabile. Solo un gesto non si è mai affievolito: quello di portare un fiore ogni giorno sulla sua tomba.

"LUNGHI CAPELLI". OGGI LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE DI ANGELA PROCACCINI


Sarà presentato nel pomeriggio alle ore 18,00, presso il circolo Canottieri a Santa Lucia (Napoli) il volume di poesie di Angela Procaccini, “Lunghi Capelli” (Alfredo Guida Editore). Angela, per chi non la conoscesse, è la mamma di Simonetta Lamberti, la bambina uccisa a soli dieci anni in un agguato di camorra mentre era in macchina col suo papà. Nelle poesie di Angela c’è tutta la sofferenza, il dolore  e la dolcezza di una mamma che ha perso la cosa più cara al mondo. All’evento, organizzato da Serena Lamberti, partecipano Melita Cavallo e Maria Franco. Moderatore dell’incontro, il giornalista Ermanno Corsi. Le letture delle poesie saranno di Tina Femiano.  Al pianoforte Carmine Piccolo.

venerdì 17 febbraio 2012

FEDERICO DEL PRETE. SINDACALISTA DEGLI AMBULANTI, UCCISO DALLA CAMORRA DIECI ANNI FA A CASAL DI PRINCIPE

Federico del Prete, sindacalista dei commercianti ambulanti, fu ucciso dalla camorra  a Casal di principe il 18 febbraio del 2002. Domani due manifestazioni lo ricorderanno. La prima alle 9,30 a Casal di Principe, al teatro per la legalità e lo sviluppo. E' promossa dal Consorzio "Agrorinasce" in collaborazione con l'Associazione "Mò Basta!". Qui sarà presentato in antepirma il libro  "A Testa Alta! Storia di camorra e di resistenza" di cui è autore da Paolo Miggiano.

Nel pomeriggio la seconda manifestazione a Mondragone promossa dal'associazione Libera. Inizio ore 15.30. presso la chiesa di san Nicola.  Interverrà il presidente di Libera don Luigi Ciotti, con il magistrato  Raffaello Magi,  Tano Grasso, presidente onorario della Federazione che raggruppa le associazioni antiracket e antiusura italiane, Nino Daniele, presidente dell'Osservatorio sulla camorra e sulla legalità, Lorenzo Diana, presidente Rete per la legalità e Michele Capomacchina, commissario straordinario del Comune di Mondragone.

Il brano che segue è tratto dal mio libro "La Bestia. Storie di delitti, vittime e complici" ed. Melampo

" (...) Mancava qualche minuto alle 19,30. Poco prima alcuni commercianti ambulanti avevano lasciato il piccolo ufficio di Federico Del Prete. Una stanza a piano terra e con una porta a vetri. Ai muri dell’ufficio qualche manifesto del sindacato. Una piccola bacheca per gli appuntamenti. E dietro le sue spalle un croficisso appeso. Fuori l’ufficio una targa con la scritta Snaa, il sindacato dei commercianti ambulanti, i “mercatari”, come si chiamano tra loro. Federico l’aveva fondato qualche anno prima, quando aveva conquistato la fiducia di molti dei frequentatori dei mercati, come lui. Aveva denunciato gli abusi ai danni di quelli che frequentavano la fiera settimanale di San Giovanni  a Teduccio.

La telefonata che stava facendo Del Prete non era breve. La voce tesa tradiva la tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti. La porta dell’ufficio non era chiusa. Non c’era una serratura di sicurezza, né un filtro per presenze indesiderate. Da questo punto di vista quella stanza era un porto di mare. Chiunque avesse voluto entrarvi, poteva farlo senza problemi. Federico si era slacciato la cravatta. Al telefono si stava accaldando, il nodo gli dava fastidio. Ma non se la toglieva mai, perché nonostante non fosse molto alto, aveva un fisico snello, la cravatta gli stava bene. E mentre continuava a parlare al telefono, una persona entrò di botto dando una spinta violenta alla porta, materializzandosi davanti a lui. Aveva in mano una pistola calibro 7,65. Federico lo guardò. Restò impietrito. Capì che era un killer della camorra. Non se l’aspettava anche se da qualche settimana aveva cominciato a temere seriamente per la sua vita. Ebbe appena il tempo di rendersi conto di ciò che stava per accadere. Forse urlò. Forse dall’altro capo del telefono si sentì quello che stava accadendo. Poi, cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo per terra, senza vita. Si consumò tutto in pochi istanti. I colpi risuonarono nella stanza. Pochi attimi e il killer girò le spalle. Due passi veloci ed era sulla strada. Fuori lo aspettava una macchina. C’erano i suoi complici dentro. Tenevano il motore accesso. “Andiamo. E’ fatta”, disse il killer. Una sgommata e via.

Nel giro di qualche minuto l’auto venne inghiottita dai vicoli. Probabilmente fatta sparire da qualche parte, smontata pezzo per pezzo o bruciata nella sterminata campagna che circonda Casal di Principe. L’obiettivo della camorra era raggiunto. Il segnale, per tutti quelli che avevano deciso di seguire Federico, era chiaro: fatevi i fatti vostri. Il giorno dopo sarebbe cominciato il processo contro il vigile urbano di Mondragone, Mattia Sorrentino, arrestato perché accusato di  riscuotere il pizzo nella fiera settimanale per conto del clan La Torre. L’aveva denunciato proprio Federico del Prete. Sorrentino, come ogni anno, a dicembre,  riscuoteva 500mila lire di “pizzo” da tutti gli ambulanti che frequentavano la fiera settimanale. Una “usanza” che i commercianti subivano da tempo, ma non avevano mai pensato di dover denunciare l’estorsione  per paura di ritorsioni.

Il primo ad arrivare sul luogo nella sede del sindacato in via Baracca, dopo il delitto, fu Vincenzo, il figlio primogenito di Federico, nato dal suo secondo matrimonio. Da poco era diventato maggiorenne e aiutava il padre nell’attività sindacale. “Quel 18 febbraio di sei anni fa – racconta con un filo d’emozione Vincenzo mentre si tira su il suo ciuffetto di capelli che gli cala sulla fronte -  me lo ricordo come se fosse ora. Ero nel bar poco distante e, come ogni sera, verso le 19,30 portavo il caffè a mio padre nel suo ufficio. Quella sera aveva voluto essere lasciato solo. Ma io il caffè glielo portai lo stesso. Lo vedevo preoccupato.”

Vincenzo temeva già da qualche tempo che sarebbe potuto accadere qualcosa a suo padre. Lo percepiva, anche se non lo sapeva, perché il padre teneva la famiglia fuori  dalle sue iniziative più pericolose. Ma un figlio riesce a capire quando il padre è ansioso e preoccupato. “Non mi aveva detto niente, ma avevo intuito che qualcosa non andava. Sapevo che mio padre faceva delle cose per aiutare i suoi colleghi e ci voleva coraggio per farle. Lui ne aveva”.

“ I colpi di pistola non li udii. E perciò quando entrai e lo vidi a terra tutto insanguinato, mi si gelò il sangue nelle vene. Cominciai ad urlare a  con tutta la forza che avevo in corpo: “Aiuto, aiuto, chiamate qualcuno, aiutatemi. Hanno sparato a mio padre”. Non capivo più niente. Gli occhi mi si annebbiavano. Non poteva essere vero. Quello li a terra era mio padre, perché me lo avevano ucciso?”

Quelle di Vincenzo erano grida di disperazione. Prendeva a calci la porta, quasi la sfondava, bestemmiava. Per la rabbia diede un pugno nella vetrata, la mandò in frantumi e si fece male ad una mano.  Ma niente, nessuno accorreva in suo aiuto.  “Quello che mi è rimasto impresso di quella sera, è il fatto che io urlavo, ma le mie grida non sortivano nessun effetto. Nessuno arrivava. Era come se io facessi parte di una scena di dolore che andava solo vista e non partecipata. Eppure cominciava a venire gente fuori l’ufficio di mio padre. C’era chi aveva sentito i colpi  di pistola e aveva capito cos’era avvenuto.”

martedì 14 febbraio 2012

A SCANDICCI (FI) GIARDINO PUBBLICO INTITOLATO A RITA ATRIA

La città di Scandicci contro "Cosa Nostra". Una raccolta di fondi tra scuole e asili per sostenere Libera con la vendita di arance coltivate nei terreni confiscati alle cosche (18/2), una gara podistica dedicata alla lotta contro la criminalità organizzata (19/2) e l'intitolazione di un giardino pubblico alla memoria di Rita Atria, giovanissima testimone antimafia che si tolse la vita dopo la morte del giudice Paolo Borsellino (18/5). Queste le tre iniziative contro 'Cosa Nostrà, in programma a Scandicci, presentate a Firenze, tra gli altri, dall'assessore regionale alle politiche giovanili Salvatore Allocca, dal sindaco di Scandicci Simone Gheri e da rappresentanti di Libera. Questi eventi sono inseriti nel progetto 'Libera, la tua terrà, promosso da Comune di Scandicci, con il patrocinio della Regione, per sostenere le attività dell'associazione antimafia fondata e presieduta da don Luigi Ciotti.

Quanto alla corsa podistica del 19 febbraio, si tratta della Mezza Maratona di Scandicci, che quest'anno affianca al proprio nome lo slogan 'Di corsa contro la mafià. Insieme a questa gara, ci sarà anche una passeggiata 'della legalita«, ai partecipanti della quale verrà consegnata una t-shirt con logo antimafia ideato dagli alunni delle scuole medie di Scandicci. Il ricavato delle iscrizioni di questa seconda corsa servirà per creare una nuova cooperativa di LIbera che gestirà i beni sequestrati nella provincia di Agrigento dal giudice Rosario Livatino, ucciso nel 1990 dalle cosche. »La Regione ha investito e continua a investire molte risorse sul tema del contrasto alle mafie per sensibilizzare soprattutto i più giovani: in questo senso, l'impegno del Comune di Scandicci è da considerarsi molto importante«. »Ho sempre pensato che sostenere Libera fosse un dovere civico - ha poi aggiunto Gheri - Contribuire allo sviluppo delle iniziative di questa associazione è un'esperienza di formazione della coscienza civica e civile«. Alla presentazione, tenuta nella sede della presidenza regionale ha assistito, tra gli altri, anche il disegnatore Sergio Staino.

UN LIBRO SULLA TUTELA GIURIDICA DELLE VITTIME INNOCENTI

Presentanto oggi alle 16,  il libro "Vittime innocenti della criminalità. Tutela giuridica e misure di sostegno", di cui sono autori da Emilio Tucci e Giacomo Lamberti. L'iniziativa, a cura  della Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania, l'associazione Libera, il Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità e “Il Denaro” , si è tenuta  presso l'Aula Pessina dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, in Corso Umberto I
Sono intervenuti l’assessore alle Autonomie locali Pasquale Sommese, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, il presidente della Fondazione Pol.i.s. Paolo Siani, il presidente del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità Lorenzo Clemente, il preside della Facoltà di Giurisprudenza della Federico II Lucio De Giovanni con il docente di Diritto penale Sergio Moccia, il presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli Francesco Caia, gli autori del volume Emilio Tucci e Giacomo Lamberti, il presidente nazionale di Libera don Luigi Ciotti.

DELITTO DALLA CHIESA: 1 MILIONE DI EURO DI RISARCIMENTO AL COMUNE DI PALERMO

 La terza sezione civile del Tribunale di Palermo ha condannato Vincenzo Galatolo, Giuseppe Lucchese e i collaboratori di giustizia Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo, responsabili dell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a versare un milione di euro più interessi al Comune di Palermo. Dalla Chiesa fu ucciso assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente di scorta Domenico Russo il 3 settembre 1982. Per il giudice «l'omicidio del generale ebbe fortissima risonanza sii mezzi di comunicazione, in Italia e anche all'estero, turbando profondamente la società civile e contribuendo a diffondere un'immagine di Palermo come scenario di efferati fatti di sangue, posti in essere da una criminalità organizzata in posizione di assoluta egemonia e controllo sul territorio». «Oltre al danno d'immagine - prosegue il giudice - non può certo trascurarsi l'incalcolabile pregiudizio che la collettività palermitana subì nel vedersi privata dell'apporto di una figura dello spessore, della competenza e delle capacità del generale Dalla Chiesa, che era stato nominato da pochi mesi prefetto di Palermo con il precipuo fine di garantire il rispetto della legalità e, dunque, di contrastare lo strapotere di Cosa nostra».

Fonte: ANSA

giovedì 9 febbraio 2012

MARIA CONCETTA CACCIOLA, TESTIMONE DI GIUSTIZIA SUICIDA A 31 ANNI. ARRESTATI I FAMILIARI

Svolta nella vicenda della morte di Maria Concetta Cacciola, suicida a soli 31 anni. La ragazza si è tolta la vita  ingerendo acido muriatico nel bagno di casa a Rosarno. La testimone di giustizia, figlia del cognato del boss Gregorio Bellocco e moglie di Salvatore Figliuzzi che sta scontando una condanna in carcere, aveva iniziato a raccontare agli inquirenti quello che sapeva sulla cosca. Le sue dichiarazioni avevano fatto trovare due bunker utilizzati dai latitanti della cosca. Dopo le prime dichiarazioni, però, ha iniziato a subire forti pressioni psicologiche della famiglia, soffrendo per non poter vedere i figli, e il 10 agosto scorso era tornata nel suo paese. Dopo una decina di giorni si è suicidata. Aveva lasciato un file audio in cui sosteneva di aver inventato tutto ed essere disposta a dire ogni cosa perché voleva andarsene da casa. Maria Concetta Cacciola è la cugina di Giuseppina Pesce, pure lei collaboratrice di giustizia.

I familiari di Maria Concetta Cacciola,  la costrinsero a ritrattare le accuse nei confronti della cosca Bellocco, invitandola a registrare un messaggio audio. La donna in quel messaggio aveva sostenuto di essersi inventata tutto ma in realtà, secondo gli inquirenti, si era prestata ad assecondare le richieste di ritrattazione, incorrendo anche nel reato di autocalunnia, perché sentiva una fortissima cappa oppressiva dei familiari. Questa mattina sono stati arrestati i genitori Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro (ai domiciliari) mentre risulta irreperibile il fratello Giuseppe. Maria Concetta Cacciola era rientrata a casa dopo un primo periodo trascorso in località protetta, dopo una serie di contatti clandestini tenuti con la famiglia. Subito dopo essere rientrata a Rosarno tuttavia, ha raccontato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Michele Prestipino, ha sentito subito l'esigenza di allontanarsi nuovamente perché consapevole del rischio a cui era esposta. Il 17 agosto, dopo una settimana circa dal rientro, ha contattato i carabinieri dimostrandosi risoluta nel voler continuare a collaborare ma chiedendo di posticipare la partenza a causa della febbre del figlio che voleva portare con sè. Il 20 agosto si è suicidata ingerendo acido muriatico.