mercoledì 3 settembre 2014

ANDREA MORMILE, IL MARESCIALLO DEI FALCHI UCCISO DALLA CAMORRA IL 3 SETTEMBRE 1982 A FRATTAMINORE

Il brano è tratto del mio libro: "Come nuvole nere" - Melampo edizioni

La piazza  di Frattaminore è affollata come un formicaio. I bar e i circoli brulicano di gente. Chi si siede sulle panchine,  chi  prende il caffè, chi chiacchiera,  chi passeggia.  E qui che gli uomini preferiscono stare fino a tardi, soprattutto in quelle serate di fine estate dove il clima è mite e l’aria è pervasa dai profumi dei primi mosti di vino asprinio e vino fragola. E‘ qui che la sera del 3 settembre 1982 quattro killer della camorra cercano un uomo da uccidere. E’ Andrea Mormile, 31 anni, un giovane maresciallo di Polizia che non vuole delinquenti nel suo territorio. Non ha paura di nessuno e ha già fatto arrestare diverse persone che non rispettano la legge. Intralcia anche gli affari del clan che qui ha il nome di Giuseppe Puca, “ ‘o Giappone”, ras in ascesa di Sant’Antimo, legato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. I camorristi sanno bene che la piazza è il luogo di ritrovo per eccellenza. Se hai da dire qualcosa ad un amico o vuoi incontrarlo, è qui che devi cercarlo, nella piazza, in mezzo a tante altre persone. I quattro killer sono in una “Jetta” Wolkswagen di colore verde scuro.  La spedizione di morte è partita da Sant’Antimo appena il sole si è abbassato e ha cominciato ad allungare le ombre. Quasi alla stessa ora  Andrea Mormile scende  dal secondo piano di uno stabile ubicato a Orta di Atella, una stradina poco distante dalla piazza di Frattaminore. Andrea è in cerca di un suo conoscente. Si dirige verso la piazza. Cammina insieme ad un altro amico fraterno.  Si stanno recando a piedi al circolo sportivo “Armando Picchi”, il grande capitano dell’Inter degli anni ’60.  I killer sanno che il loro uomo arriverà in piazza prima di cena. Qui si conoscono tutti. Andrea abita ad Orta di Atella non lontano dal centro  di Frattaminore, il paese di sua moglie, Pina Pellino. Hanno tre figli piccoli: Paride, 10 anni, Alessandro 9 anni e Morena, 5 anni. 

L’auto dei killer si muove piano per i vicoli stretti del paese, dove la gente d’estate è abituata a sedersi fuori le abitazioni per trovare refrigerio e per scambiare qualche parola con i passanti. Loro tirano dritto. Sono tutti armati. Conoscono bene la zona. Sanno come muoversi. Sanno che tutti i vicoli arrivano in piazza, come i corsi d’acqua che alimentano un lago. Le case da queste parti non hanno soluzione di continuità, sono costruite una addosso all’altra e confondono anche i confini dei Comuni.

Orta di Atella e Frattaminore sorgono una di fronte all’altra, in un’area dove 300 anni prima di Roma c’era già l’antica città Osca di Atella. E’ un posto pieno di storia. Qui  sono nate le “Fabulae atellane”,  le radici della commedia dell’arte italiana. Orta di Atella e Frattaminore sono divise solo da una strada provinciale: la Aversa-Caivano, che squarcia in due il cuore dell’antica Atella. Comincia alle spalle della stazione ferroviaria della città normanna e termina nel rione verde di Caivano.

Andrea Mormile non si è minimamente accorto di essere controllato a poca distanza da alcune persone a bordo di un’auto che li segue a passo d’uomo. Per strada tutti quelli che incrocia lo salutano con rispetto. Lo conoscono in tanti. E’ in servizio alla 1^ Sezione della Squadra Mobile della Questura di Napoli. E’ nei “Falchi”,  “l’antiscippo”. Sono poliziotti in sella a motociclette di grossa cilindrata che girano per i quartieri  di Napoli per prevenire rapine e scippi nei confronti dei turisti. Impossibile prendere i ladri inseguendoli con le auto. Così hanno istituito il gruppo dei “Falchi” per muoversi più agilmente per cercare di acciuffare gli scippatori nei tortuosi vicoli della città. Hanno licenza di vestirsi diversamente da tutti gli altri poliziotti: capelli lunghi, barba incolta, giubbotto in pelle, pantaloni a zampa di elefante, occhiali da sole Ray-Ban. L’abbigliamento li fa assomigliare più ai ladri che alle guardie. E’ il loro modo di confondersi tra la gente dei vicoli. Andrea ha i capelli lunghi e ricci. Porta spesso un  giubbotto di pelle e una camicia a quadroni sbottonata sul petto, da dove fuoriesce sempre un medaglione  o una catena  bene in vista. Ha uno sguardo severo che incute timore. Per tutti è “il maresciallo Mormile”. I gradi  di maresciallo li ha conquistati sul campo con una pericolosa operazione di servizio. Il 24 aprile del 1980 non esita ad infilarsi  nella filiale del Credito Italiano di Corso Lucci a Napoli, dov’è in corso una rapina con delle persone in ostaggio. Si finge cliente  e ingaggia un conflitto a fuoco con i rapinatori. Sventa la rapina e libera gli ostaggi. Gli vengono conferiti i gradi d maresciallo direttamente dalle mani del capo della Polizia, Giovanni Coronas, insieme al suo collega Antonio Piccirillo.

“Quella sera  del 3 settembre 1982 non la dimenticherò mai – racconta Pina Pellino, la moglie di Andrea che oggi ha cinquantasettenne anni -  Andrea era tornato da lavorare nel pomeriggio. Per lui non c’erano orari. Mangiava quando tornava. L’agguato avvenne verso le otto di sera. “Scendo perché mi devo incontrare in piazza con degli amici a Frattaminore”, mi disse. Nel frattempo io ero rimasta a casa, in attesa di andare più tardi a fare una visita a degli amici che avevano un bambino con problemi di salute. E’ sceso e non è più tornato. Mentre ero a casa è venuta mia sorella attorno alle  20,30. Aveva sentito che era successo qualcosa, ma non sapeva nemmeno lei che era morto. “Vestiti e scendi con  me – urlò -  perché Andrea è stato coinvolto in una sparatoria”. Pensavo fosse una rapina in un negozio in piazza, non un agguato diretto a lui. Nel frattempo ho bussato alla porta di mia cognata, la sorella di Andrea, che abitava sul mio stesso pianerottolo. Quella sera da lei c’era un altro mio cognato, Stefano, uno dei fratelli di Andrea, anche lui poliziotto. “E’ successo qualcosa ad Andrea. C’è stata una sparatoria in piazza a Frattaminore”. Praticamente me lo sono tirato in ascensore e lì gli ho detto quello che sapevo. Dalla mia abitazione la piazza distava un cinque minuti in auto, era vicinissima. La piazza era gremita di gente. Così siamo andati direttamente nel vicino ospedale di Frattamaggiore, per accertarci delle sue condizioni”. Pina abbassa la testa e si mette la faccia tra le mani. Pensare a quei tragici momenti  non è facile.
“In ospedale c’era un suo amico fraterno. “Dove sta mio marito?” ho chiesto. E lui: “Non ti preoccupare lo hanno portato in ospedale a Napoli”. La cosa mi è parsa strana, perché non si separava mai da Andrea.  “Se lui è qui – pensavo tra me e me -  Andrea non può essere da qualche altra parte, perché loro due sono inseparabili”. Ho capito subito che era morto. Mio cognato, invece,  è entrato e l’ha visto.  E ugualmente non mi ha detto niente. Nessuno se l’è sentita di mettermi subito di fronte alla tragicità del fatto”.  Pina non ce la fa ad andare avanti a raccontare. Troppo doloroso ricordare. Ci pensa Paride a continuare il racconto, il primogenito della famiglia che ora fa il poliziotto a Napoli. E’ nei “Falchi”, proprio come il papà.

“E’ arrivata un’auto, una “Jetta” Wlkswagen verde scura, con quattro persone a bordo. Facevano parte di un gruppo camorristico legato al boss Raffaele Cutolo. A bordo c’era Giuseppe Puca di Sant’Antimo, detto “ ‘o Giappone” e altri tre suoi affiliati. Voleva affermare la sua “sovranità” su questo territorio. Papà camminava a passo lento insieme al suo amico. Non si era accorto di essere seguito. Sono scesi dall’auto e  hanno aspettato che arrivasse a tiro. Prima gli hanno sparato alle spalle con una mitraglietta, cogliendolo di sorpresa. Poi, una volta caduto a terra, gli sono andati vicino e gli hanno sparato un colpo in fronte, per avere la sicurezza che morisse. Nell’agguato è stato ferito alle gambe anche la persona con cui  papà stava camminando e una signora di 66 anni,  che era seduta fuori il palazzo.  L’azione dura solo qualche minuto. La gente scappa impaurita. L’auto dei killer parte a grande velocità. Ma  a causa del fondo stradale scivoloso, l’auto perde il controllo e finisce contro un marciapiedi. Una ruota scoppia e l’auto si ferma di colpo. I killer scendono dalla vettura e armi in pugno bloccano una Simca che in quel momento stava transitando nei pressi della piazza di Frattaminore. Aprono lo sportello del guidatore e lo scaraventano sulla strada e scappano velocemente. La Simca verrà ritrovata dalle parti di Scampìa, a Napoli, nel quartiere Marianella. La “Jetta”, invece, risulterà rubata due giorni prima sulla strada che da Afragola  porta a Frattamaggiore ad una persona di Calitri. Poco dopo si sparge la voce dell’uccisione di Andrea Mormile. I suoi compagni dei Falchi arrivano in forze e in pochissimo tempo nella piazza di Frattaminore c’è di nuovo il caos. Cominciano a sparare all’impazzata per la rabbia. Mettono il paese sotto sopra, giurando che gli assassini l’avrebbero pagata.

“L’hanno ucciso perché mio padre si faceva rispettare – dice Paride – Papà si è incrociato in diverse occasioni con questo signore e non ha mai avuto paura. Papà non si teneva niente. Non voleva che in paese ci fossero ladri o che arrivasse gente a fare rapine ai commercianti. Se qualcuno chiedeva aiuto era il primo a dare la disponibilità. Era conosciutissimo in giro. Era il maresciallo Mormile, un punto di riferimento importante. Lui, l’assassino, invece, ha pensato che uccidere un poliziotto era come prendere dei punti nel campo criminale”. 

A Napoli non sarebbe mai morto – aggiunge Pina con un tono di voce rassegnato -  si scontrava con i Giuliano a Forcella, ma era sempre rispettato.  Eppure aveva arrestato molti esponenti della famiglia Giuliano. Quando uscivano da galera avevano ancora più rispetto per mio marito. Solo con quelli di Sant’Antimo poteva accadere una cosa del genere. Il corpo di mio marito – continua il racconto la moglie di Andrea -  l’ho rivisto solo dopo tre o quattro giorni, un po’ prima dei funerali, quando l’hanno ricomposto e ricordo come se fosse adesso il colpo di pistola in fronte. Queste cose ero abituata a vederle in Tv.  Erano gli anni di piombo. “Sono cose che accadono ad altri” pensavo inconsciamente. Mai mi sarei aspettata che una cosa del genere potesse capitare anche a me, alla mia famiglia, a mio marito. Non ci pensavano minimamente. E, invece, quando ti capita, rimani scioccata e  capisci anche la tragedia che ha colpito altre famiglie…”

L’agguato ad Andrea Mormile viene in parte anche oscurato dai mezzi di comunicazione. La notizia dell’uccisione del maresciallo di Polizia passa in secondo piano quando a Palermo, la stessa sera, alle 21,15 un commando mafioso uccide il  Prefetto  Carlo Alberto Dalla Chiesa, la sua giovane moglie, Emmanuela Setti Carraro e l’agente di polizia che gli  faceva da scorta, Domenico Russo, un ragazzo di Santa Maria Capua Vetere.