martedì 27 settembre 2011

DON CIOTTI A CASTEL VOLTURNO IL 1° OTTOBRE PER LA MOZZARELLA DELLA LEGALITA'

Ci sarà anche don Luigi Ciotti sabato primo ottobre ad inaugurare il caeificio che produrrà le mozzarelle della legalità. Il caseificio è  nato a Castel Volturno, nei beni confiscati al boss camorrista Michele Zaza. La produzione della mozzarella è affidata alla cooperativa "Le Terre di Don Peppe Diana", intitolata al parroco assassinato  dalla camorra il 19 marzo del 1994 nella sua chiesa a casal di Principe. I soci  della cooperativa, tutti ragazzi del territorio, sono stati selezionati con bando pubblico. Per la produzione della saranno utilizzate tecnologie produttive innovative e fonti di energia rinnovabili. La presentazione  avverrà, appunto, il primo ottobre, a chiusura di un progetto lungo due anni, finanziato dalla Fondazione con il Sud e realizzato da Libera, presso il bene confiscato in via Pietro Pagliuca Traversa del Cigno. Alle  ore 11  è prevista l'inaugurazione  del caseificio alla presenza di  don Luigi Ciotti, presidente di Libera, i familiari di don Giuseppe Diana, Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione con il Sud e rappresentanti delle istituzioni, delle scuole, delle associazioni di categorie, di volontariato e dei sindacati, con la collaborazione del Comitato Don Peppe Diana, Legacoop Campania, Erfes Campania, l'agenzia Cooperare con Libera Terra, Legambiente, la Confederazione italiana agricoltori e i comuni di Castel Volturno e Cancello Arnone.

lunedì 26 settembre 2011

MADDALENA ROSTAGNO: " CHIEDO LA VERITA' SUL DELITTO DI MIO PADRE"

E' stato presentato a 'Casa Natura', nel parco della Favorita di Palermo, il libro 'Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno', scritto da Maddalena Rostagno e Andrea Gentile (edizioni Il Saggiatore). All'iniziativa, introdotta da Bice Agnello e organizzata in collaborazione con la libreria 'Modus Vivendi', erano presenti gli autori. Durante la manifestazione sono stati letti alcuni brani del volume ed eseguita una colonna sonora scelta dalla figlia del giornalista ucciso il 26 settembre di ventitre' anni fa. ''Nella nostra vita la musica e' sempre stata importante - spiega Maddalena Rostagno - non a caso il nome di Saman, (la comunita' di recupero dei tossicodipendenti fondata nel Trapanese) in sanscrito significa canzone''. ''La lotta alla mafia e' gioia di vivere'', sosteneva Rostagno, ''soprattutto per questo il sociologo venne ucciso - scrive Michele Serra nella prefazione del libro - perche' la mafia odia chi e' cosi sfacciatamente migliore di lei''. Il volume racconta con una ricostruzione minuziosa gli anni della militanza, le denunce, i depistaggi, fino all'infamante accusa di attribuire l'omicidio alla compagna Chicca Roveri, finita in carcere a san Vittore il 22 luglio del 1996. ''La pista mafiosa viene frettolosamente abbandonata per farlo apparire un 'delitto di corna''', ricorda la figlia. ''Perche' la gente dovrebbe ribellarsi alla mafia ?'' - chiede in un'intervista del 29 settembre 1988 il procuratore della Repubblica Antonino Coci - ''la mafia qui ha portato soldi, benessere, lavoro e tranquillita' ''.
Di colpo svaniscono le coraggiose denunce fatte da Mauro Rostagno dai microfoni dell'emittente trapanese Rtc sugli affari sommersi di una provincia che in quegli anni contera' 120 finanziarie, 150 istituti di credito e 89 sportelli bancari, con una percentuale superiore a tutta Italia. ''Per anni ho cercato di dimenticare, non ho letto le carte giudiziarie e ho chiuso gli occhi - racconta Maddalena - L'unica cosa che volevo non potevo riaverla''. Poi, pero', la voglia di verita' prevale, Maddalena incontra don Ciotti e il gruppo Abele. ''Di notte studiavo le carte giudiziarie. Come da giovani si imparano a memoria le poesie di Leopardi o Ungaretti, per me si aprivano citazioni ben piu' aspre; imparavo le parole pronunciate dai mafiosi, assorbivo il linguaggio giudiziario, freddo e respingente''. Per ottenere giustizia promuove insieme all'associazione 'Ciao Mauro' una raccolta di firme: in meno di un anno ne arrivano 10mila. A 23 anni dalla morte il processo viene aperto, Maddalena ricorda l'emozione alla vista della piazza di Trapani invasa da persone e associazioni che si sono costituite parte civile (9 richieste verranno accolte, 13 respinte).
Fonte: ANSA

IL SENATO RICORDA I MAGISTRATI SAETTA E TERRANOVA E IL MARESCIALLO MANCUSO

Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha ricordato oggi, nel 23mo anniversario della sua uccisione, il magistrato   Antonino Saetta,  ammazzato insieme al figlio Stefano il 25 settembre del 1988, e il magistrato Cesare Terranova, ucciso con il maresciallo Lenin Mancuso, 32 anni fa. 

 «Antonino Saetta era un grande magistrato che ha pagato con la vita l'amore per la verità, il rispetto per l'etica professionale, il rifiuto della corruzione e delle forti pressioni mafiose. La sua vita - afferma il Presidente del Senato - è stata, per chiunque l'abbia conosciuto, esempio di rettitudine e integrità morale. Il suo assassinio voleva essere un avvertimento per quei magistrati che, come Saetta, non si sarebbero tuttavia lasciati intimidire dalla prepotenza e dalla sopraffazione di una minoranza. Al contrario il suo esempio e quello di tante altre vittime della violenza mafiosa ci sprona ad andare avanti per affermare la forza del diritto alla libertà e alla serenità delle coscienze contro ogni prevaricazione».

Di Cesare Terranova il Presidente del senato ricorda il «ruolo fondamentale nella storia della magistratura impegnata sul fronte del contrasto alla criminalità mafiosa» e la tenacia con cui operò «in un'epoca in cui non esistevano ancora adeguati strumenti legislativi per svolgere una simile, aspra lotta». «Era un giudice inflessibile e mite, coraggioso ma non temerario, capace di portare anche in Parlamento, come deputato eletto nel 1972, il contributo profondo delle sue esperienze professionali di giudice istruttore e di magistrato inquirente con entusiasmo, con grande onestà intellettuale, con impegno e scrupolo». «Con gratitudine e ostinata convinzione - conclude il Presidente del Senato - teniamo vivo il ricordo di questi servitori dello Stato, affinchè non venga meno l'impegno nella lotta contro la criminalità organizzata e per la difesa dei valori della democrazia e della libertà, ideali per cui hanno sacrificato la propria vita».

MOTORADUNO IN MEMORIA DI VINCENZO LIGUORI

Si è svolto ieri a Pollena Trocchia il “Memorial Vincenzo Liguori”, un motoraduno per ricordare il meccanico ucciso il 13 gennaio di quest’anno nella sua officina a san Giorgio a Cremano. L’evento è stato promosso dall'associazione Onlus ''Liberi Pensieri”.  Vincenzo Liguori stava cambiando l’olio ad un motorino quando arrivarono dei killer per ammazzare un’altra persona che in quel momento si trovava nella sua officina. Aveva 57 anni e una passione in particolare: la moto. Anche per questo i suoi amici hanno voluto ricordarlo proprio  con un raduno di moto d’epoca nella città dove abitava: Pollena Trocchia. La figlia, Mary, che fa la giornalista per il quotidiano “Il Mattino” e si occupa proprio della cronaca, quella fredda sera di gennaio scoprì  per caso che “il morto” che la redazione aveva segnalato e del quale doveva occuparsi per un articolo, era proprio suo padre.  Una choc di cui diede testimonianza con un articolo pubblicato dopo alcuni giorni proprio sul MATTINO. «… sto vivendo un incubo, il peggiore degli incubi» E aggiungeva «Mi chiedo se vale ancora la pena lottare. Ma un secondo dopo mi rispondo che sì, vale la pena. Devo farlo per mio padre, per mio marito che il suo papà l’ha perso appena un anno fa, per i miei fratelli. E per mia madre che, tramite me, vi dice: “Chi ha visto, parli”».

venerdì 23 settembre 2011

NANNI (PD): "UNA STRADA PER SIANI ANCHE A ROMA"

 «Sollecito il sindaco e la giunta a procedere nell'intitolazione di una via a Giancarlo Siani. Dopo che da molti mesi è stato acquisito il parere favorevole del Consiglio Comunale, non resta che l'individuazione di idoneo toponimo della capitale da dedicare al valoroso giornalista napoletano». Scrive in una nota il consigliere comunale di Rom,  Dario Nanni membro della commissione cultura del Comune capitolino. «Giancarlo Siani era un giovane giornalista pubblicista napoletano - continua - Fu ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre. La sua colpa era quella di credere in un'informazione libera dai ricatti e dai condizionamenti di tutte le mafie. Oggi a 26 anni anni da quel tragico giorno Siani oltre ad essere un giornalista vittima della lotta per la libertà d'opinione è anche un chiaro punto di riferimento della lotta alla criminalità organizzata che controlla vaste aree del territorio italiano e tra queste, purtroppo anche zone di Roma. Siani è stato vittima della camorra come Peppino Impastato lo fu della mafia. Giornalisti ma anche simbolo di un'Italia che non vuole rimanere indifferente di fronte al dilagare dell'antistato e che lo combatte anche a rischio della vita. Ho proposto da oltre un anno di dedicare a Giancarlo Siani una via di Roma e il Consiglio Comunale ha votato questa proposta all'unanimità. Sarebbe un bel segnale delle istituzioni verso chi si ribella alla legge del bronx. A Roma viviamo giorni tragici segnati dall'incessante ripetersi di episodi criminali ricordare la tragica morte di Giancarlo Siani dedicandogli una via rafforza la memoria comune e offre ai giovani romani un simbolo positivo di cui sapranno apprezzare l'indiscusso eroismo».

giovedì 22 settembre 2011

I VINCITORI DEL PREMIO GIANCARLO SIANI

Il primo premio "GIANCARLO SIANI 2011", è stato assegnato al libro «Insegnare al re di Danimarca»  edizioni Sellerio, di Carla Melazzini, recentemente scomparsa.  Il libro racconta le storie dei ragazzi che hanno partecipato al progetto Chance. A ritirare il premio, il marito Cesare Moreno.
Il secondo premio è stato assegnato  al libro di Marco De Biase «Come si diventa camorristi»
Una menzione speciale della giuria, composta  Assostampa della Campania, Associazione Siani, Ordine dei giornalisti, Università Suor Orsola Benincasa e Il Mattino, è andata al fumetto «Il Mistero del pescatore« di Giulio Gargia, Tommaso Vitiello, Paco Desiato e Nico Piro. Una pubblicazione che racconta la cronaca dell'omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo., ammazzato il 5 di settembre di un anno fa.

Per la categoria fumetto, il Premio Siani è andato a «Giancarlo Siani, è lui che mi sorride».  di Alesssandro Di Virgilio ed Emilio Lecce. 
Per  la categoria premio tesi di laurea, il riconoscimento è andato a  Eleonora Bertolino con il lavoro «Il racconto della camorra dei giornali di Napoli dal 1861 al 1920». Un lavoro  meticoloso di studio e di approfondimento del tema  che l'Associazione Siani pubblicherà sotto forma di libro. 
Per la Fotografia vincitori sono risultati un gruppo di fotogiornalisti partenopei che utilizzeranno il premio premio  a favore di attività per i giovani fotoreporter. Le borse di studio dell'Università Suor Orsola sono state assegnate  a Jessica Mariano Masucci ed Enrico Parolisi.

MESSAGGIO DI FINI PER GIANCARLO SIANI: "GRAZIE A LUI ITALIANI PIÙ LIBERI"

 Il presidente della camera dei Deputati, Gianfranco Fini, ha voluto esprimere con un messaggio i «Sentimenti di affetto e di amicizia» al presidente dell'associazione Siani, Geppino Fiorenza, e ai partecipanti alla cerimonia per l'VIII edizione del Premio Siani che si è svolta oggi a Napoli. «Ricordare la figura del giovane giornalista assassinato dalla camorra nel 1985 - si legge nella nota - significa trasmettere alle nuove generazioni l'importanza dell'impegno civile legato alla libertà di espressione». Nel messaggio, il presidente Fini si dice «convinto che grazie al sacrificio di Siani gli italiani oggi siano un pò più liberi». Secondo il presidente Fini, Siani fu «lucido e coraggioso avversario» del potere pervasivo della malavita organizzata, «un potere - prosegue la nota - che riusciva ad annidarsi nella società, compromettendo il futuro delle giovani generazioni». «Ritegno lodevole - conclude Fini - l'azione di memoria esercitata dall'Associazione intitolata al nome di Giancarlo Siani che - aggiunge - attraverso il premio giornalistico conferito a giovani autori, educa alla partecipazione e all'attivo impegno alla legalità». Un impegno che, si legge nel messaggio di Fini, «nel 150/mo anniversario dell'Unità d'Italia assume un peculiare rilievo riconnettendosi al sacrificio delle generazioni che liberarono il Paese dal dominio straniero, respingendo ogni particolarismo».

mercoledì 21 settembre 2011

DOMANI SI ASSEGNA IL "PREMIO GIANCARLO SIANI"

Domani alle ore 12 nella sede del quotidiano 'Il Mattino'  in via Chiatamone a Napoli cerimonia di consegna delle targhe ai vincitori dell'ottava edizione del premio 'Giancarlo Sianì organizzato dall'Ordine dei giornalisti della Campania, dall'associazione napoletana della stampa, dal quotidiano 'Il Mattino', dall'associazione Siani e dall'università Suor orsola Benincasa e con l'adesione del Presidente della Repubblica. Alla manifestazione saranno presenti il fratello di Giancarlo, Paolo Siani, i presidenti dell'Ordine Ottavio Lucarelli e dell'Assostampa Enzo Colimoro, il rettore del Suor Orsola Lucio D'Alessandro, Silvio Perrella del premio Napoli, e Geppino Fiorenza dell'associazione Siani. Farà gli onori di casa il direttore de 'Il Mattino' Virman Cusenza. Venerdì alle 10.30, 26esimo anniversario dell'omicidio di Giancarlo, verranno deposti dei fiori alle rampe Siani, situate tra via Conte della Cerra e via Suarez. Parteciperanno alla cerimonia il presidente della Regione Stefano Caldoro, il sindaco Luigi de Magistris. Alle ore 18.30 presso la chiesa dei Salesiani in via Morghen don Tonino Palmese celebrerà la messa in suffragio del cronista ucciso dalla camorra.

STRAGE DI USTICA. I GIUDICI: "LA CAUSA FU MISSILE O COLLISIONE"

 Rese pubbliche le motivazioni dei giudici di Palermo per la strage di Ustica. A far precipitare il DC 9 dell'Itavia che volava sopra i cieli di Ustica, secondo i magistrati, fu un missile o «una quasi collisione tra velivoli militari non identificati che volavano attorno all'aeroplano al momento del disastro». Questa è una delle conclusioni a cui sono giunti i giudici civili di Palermo che hanno condannato i ministeri a risarcire i familiari delle vittime del disastro. Le motivazioni della sentenza sono state depositate oggi. Nel provvedimento i magistrati escludono che a causare l'incidente fu una bomba.

«Tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato che l'incidente occorso al Dc9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del Dc9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell'esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l'aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l'aereo nascosto ed il Dc9». Questa la conclusione del Tribunale di Palermo nelle motivazione della sentenza con cui ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento dei familiari delle vittime di Ustica. Le motivazioni della sentenza, rese pubbliche oggi dagli avvocati Alfredo Galasso e Daniele Osnato, escludono quindi che ci fosse una bomba a bordo del Dc9 Itavia.

«Dopo questa sentenza è finalmente certa la dinamica del disastro (che esclude la bomba interna) ed è definitivamente appurata la corresponsabilità degli enti controllori, che consentirono lo svolgimento di attività aeree pericolose nel basso Tirreno, nell'uccisione di 81 cittadini Italiani. È anche appurata la gravissima colpa di alcuni soggetti deviati, appartenenti all'Aeronautica Militare italiana». Lo ha dichiarato all'Adnkronos l'avvocato Daniele Osnato, che ha condotto la discussione nel procedimento sulla strage di Ustica al Tribunale di Palermo. «Chi, in questi giorni, ha ritenuto di assumere le difese dell'Aeronautica Militare italiana - continua Osnato - ha dato informazioni errate tentando di indurre ancora una volta, e nonostante un giudicato di un Tribunale Italiano, in confusione ed incertezze. Il fatto che in Italia vi siano sottosegretari come Giovanardi e Misiti che mentono pubblicamente, che mostrano i fatti per altri, che sfruttano le sentenze per accaparrarsi consensi, distorcendo la verità, è gravissimo ed inaccettabile. Chi prosegue l'azione di disinformazione si rende complice degli altri, ed è colpevole come loro».

«Mi auguro vivamente che la Corte dei Conti richieda gli atti processuali al Tribunale di Palermo ed avvii, con estrema sollecitudine, un procedimento di responsabilità per danni erariali in capo a quei Militari che depistarono e che, adesso, si nascondono dietro il dito di una prescrizione penale», sottolinea Osnato. «Ed annuncio ufficialmente che adiremo il Parlamento Europeo per l'istituzione di una Commissione di inchiesta temporanea - conclude Osnato - che scardini i segreti di Stato italiani, francesi e Nato, facendo definitivamente luce sulla tragica vicenda».

martedì 20 settembre 2011

VIA A CANONIZZAZIONE GIUDICE LIVATINO ASSASSINATO DALLA MAFIA 21 ANNI FA

 Dopo 21 anni  dalla sua uccisione per mano della mafia, si avvia il processo di canonizzazione per il giudice Rosario Livatino, "il giudice ragazzino". Domani alle 18 a Canicattì (Ag), nella la chiesa di San Domenico, l'arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro, terrà la concelebrazione religiosa che comprenderà la sessione introduttiva della causa di canonizzazione di Rosario Livatino, il magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Le iniziative per commemorare Livatino e le altre vittime di mafia Antonio e Stefano Saetta, inserite nella «Settimana della legalità», inizieranno stasera alle 19.30 con la veglia di preghiera nella chiesa di San Domenico organizzata dall'Azione cattolica di Agrigento e dai movimenti giovanili. Domani alle 11, in contrada Gasena, lungo la statale 640, luogo in cui fu ucciso il magistrato, le autorità e i colleghi deporranno corone di fiori ai piedi della stele fatta erigere dai genitori del giudice. Giovedì si terrà il secondo appuntamento con gli studenti, al liceo classico «Ugo Foscolo».

 Nel ventunesimo anniversario del suo assassinio i magistrati del distretto di Palermo ricordano, «con immutata emozione, Rosario Livatino. Giudice che, con il suo rigore professionale, l'umiltà e la riservatezza del suo agire, l'alto senso etico del suo ruolo, incarnò le doti più autentiche del magistrato autonomo ed indipendente». L'Anm in una nota scrive: «Il suo sacrificio continuerà a costituire preciso punto di riferimento del nostro impegno di magistrati. Con l'auspicio che anche chi, con pervicace ostinazione, si adopera per la delegittimazione della magistratura, colga finalmente, nel sacrificio di Rosario Livatino, il monito a non isolare pericolosamente i tanti 'giudici ragazzinì che ogni giorno, tra difficoltà e rischi sempre crescenti, lavorano in silenzio per l'affermazione della legalità in territori tuttora profondamente permeati dalla mafia e dalla mentalità mafiosa». 

PREMIO "CAMILLO CAVOUR" ALLA MEMORIA DI ANGELO VASSALLO. NAPOLITANO: "UOMO INTEGRO E ONESTO"

E' stato assegnato oggi alla memoria di Angelo vassallo, il sindaco di Pollica ucciso il 5 settembre del 2011, il premio 'Camillo Cavour' 2011'. Nell'occasione il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,  ha inviato al Presidente dell'Associazione «Amici della Fondazione Cavour», Nerio Nesi, un messaggio in cui rileva che «con questo prestigioso riconoscimento si rinnova l'impegno a custodire la memoria di un uomo 'integro e onestò che, come ho già avuto modo di ricordare, ha saputo interpretare con altissimo senso di responsabilità il suo ruolo di rappresentante della istituzione più vicina ai cittadini». «Nella certezza che questa iniziativa potrà offrire, soprattutto alle giovani generazioni, l'occasione per meglio comprendere le ragioni della generosa testimonianza civile e morale di Angelo Vassallo - conclude Napolitano - invio a lei, ai famigliari, ai promotori e a tutti i presenti le espressioni della mia ideale vicinanza».

«Il sacrificio di Angelo Vassallo non deve essere dimenticato. La lotta per affermare il rispetto della legalità è una priorità e le istituzioni hanno il dovere morale e politico di condurla con rigore ogni giorno». Lo ha detto il Sindaco Piero Fassino, incontrando i figli del sindaco di Pollica ucciso dalla camorra e l'attuale primo cittadino del comune salernitano. Con i familiari di Vassallo e l'attuale sindaco di Pollica c'era Nerio Nesi, presidente della Fondazione Cavour, che oggi pomeriggio, a Santena (Torino), ha conferito il premio Camillo Cavour, riconoscimento alla memoria di Angelo Vassallo.

RICORDATA A NAPOLI TERESA BUONOCORE UCCISA UN ANNO FA

La Fondazione Polis della Regione Campania, in collaborazione con l'associazione Libera e il coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità, ha ricordato oggi Teresa Buonocore, uccisa la mattina del 20 settembre 2010. La donna, 51 anni di Portici, si era costituita parte civile nel processo a carico di Enrico Perillo, un geometra di 53 anni di Portici, condannato in primo grado a 15 anni di reclusione per violenza sessuale ai danni di tre minorenni, tra cui anche una delle due figlie di Teresa. Dalle indagini degli inquirenti sembra che ad armare la mano dei sicari sia stata proprio la sete di vendetta contro la donna. Gli esecutori materiali dell’omicidio delitto furono, secondo i PM, Alberto Amendola e Giovanni Avolio, che avrebbero agito su mandato di Perillo con la promessa di un compenso di 15mila euro. La sentenza contro i due processati tramite rito abbreviato, dovrebbe arrivare il prossimo 14 ottobre. Presso il Ponte dei Francesi a Napoli, teatro dell'omicidio, è stata posta una corona di fiori. Dopo la preghiera si è svolto un incontro di riflessione presso la sede della Fondazione Polis, con l'intervento dell'assessore per i rapporti con le autonomie locali della Regione Campania, Pasquale Sommese, il sindaco di Portici e presidente dell'Anci Campania, Vincenzo Cuomo, il vicepresidente del Consiglio comunale di Napoli, Elena Coccia, già legale di Teresa Buonocore nel processo che ha registrato la condanna di Perillo in primo grado a 15 anni di reclusione, e il presidente nazionale di Libera, don Luigi Ciotti. Presenti anche i familiari di Teresa Buonocore e una delegazione dei familiari delle vittime innocenti della criminalità.

«Nell'anniversario del barbaro omicidio di Teresa Buonocore ha inizio anche il processo d'appello per pedofilia nei confronti del mandante del delitto di questa donna coraggiosa. La Buonocore aveva denunciato l'uomo accusato di aver abusato di una delle sue figlie ed è stata uccisa proprio per questo motivo». Così il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro. «Mi aspetto oggi - aggiunge Cesaro - che la giustizia faccia il suo corso con celerità ed estremo rigore e che presto si arrivi alle condanne nei confronti del mandante così come degli esecutori materiali. Nella nostra Città c'è bisogno di segnali chiari e inoppugnabili: certi crimini non meritano pietà».

FAMILIARI VITTIME: GOVERNO CONTRO VITTIME TERRORISMO

 Sulla  sentenza relativa alla strage di Ustica, che prevede il risarcimento da parte del Governo ai familiari delle vittime della strage, c'è la presa di posizione di Paolo Bolognesi, presidente dell'Unione Vittime per stragi  (che raggruppa le Associazioni delle stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Treno Italicus, Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980, Rapido 904, Firenze Via dei Georgofili). «Vogliamo sottolineare il grande valore della sentenza del tribunale civile di Palermo, che ha condannato lo Stato a risarcire per danni un gruppo di parenti delle vittime della strage di Ustica». Scrive Paolo Bolognesi,  «Una sentenza estremamente importante - scrive ancora l'Unione - perchè non si limita a condannare i ministeri della Difesa e dei Trasporti, ma lo fa evidenziando le responsabilità dovute alla sicurezza e mette in luce i comportamenti negativi e non collaborativi con l'autorità giudiziaria tenuti da parte di appartenenti ad organi dello Stato che, pur nelle diversità di personaggi e situazioni, sono state comuni alle indagini sulle altre stragi che hanno colpito il nostro Paese». «A fronte di ciò appare ancora più colpevole l'atteggiamento assunto dal sottosegretario Carlo Giovanardi - evidentemente d'intesa con il Governo, sostiene l'Unione - che ha preannunciato ricorso contro di essa.

L'unione stigmatizza il comportamento Governo, che anzichè farsi carico del buon esito delle rogatorie internazionali riguardanti la strage di Ustica, impegnarsi nel rendere operativa la nuova legge sul segreto di Stato, promulgata all'inizio del 2007 e tutt'ora priva dei decreti applicativi, sembra cercare in tutti i modi di fiaccare la volontà dei familiari delle vittime nella loro legittima ricerca della verità.

Ne è prova la mancata partecipazione alla manifestazione per il 31/o anniversario della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, la denuncia per vilipendio inviata dal coordinatore del PdL di Bologna Fabio Garagnani al presidente dell'Unione familiari vittime per stragi Paolo Bolognesi, per la sua insistente richiesta di giustizia, chiedendo che con il segreto di Stato non si coprano i mandanti delle stragi, la mancata applicazione della legge 206/04 'Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matricè, che costringe i familiari a defatiganti iter per farla applicare completamente. I morti delle stragi terroristiche e l'impunità delle stesse, reclamano ben altra attenzione da parte degli organi governativi. Inoltre, e nel caso specifico di Ustica, non vi sia il necessario impegno governativo nell'azione diplomatica che pretenda risposte alle rogatorie internazionali ancora inevase».

lunedì 19 settembre 2011

VIDEO: RICORDATO L'ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CASTEL VOLTURNO

PAOLO SIANI, IL RICORDO DI GIANCARLO HA IL SENSO DEL RISCATTO

Oggi, 19 settembre 2011, Giancarlo Siani avrebbe compiuto 52 anni.  Avrebbe festeggiato questa giornata sicuramente con i suoi amici, Con suo fratello Paolo e, forse, con la moglie e i suoi figli. La sua vita, invece, è stata spezzata il 23 settembre del 1985, 26 anni fa, assassinato dalla camorra sotto la sua casa, nel quartiere del Vomero. Gli ultimi due  anni Giancarlo li aveva trascorsi come corrispondente per il quotidiano “Il Mattino”, quale corrispondente da Torre Annunziata, dove in quegli anni c’era in atto una guerra tra clan di camorra. «Giancarlo era proprio così come è ritratto nel film, “Fortapàsc”, allegro, spensierato, divertente ma anche serio e impegnato, e gli piaceva fare il giornalista, il 'giornalista-giornalista», racconta all'Adnkronos Paolo Siani, fratello di Giancarlo e presidente della Fondazione Polis, citando un'espressione usata in 'Fortapàsc'. «La nostra famiglia - aggiunge - era molto unita. Avevamo molti interessi in comune, le stesse scuole frequentate, anche le stesse sezioni, la sezione B del Liceo 'Gianbattista Vico’ di Napoli, la stessa passione per lo sport e per il calcio, le domeniche allo stadio, la pallavolo, divenne anche allenatore di una squadra femminile. Poi lui sviluppò una forte passione per il giornalismo, in modo inaspettato per noi in famiglia, ma la sua passione, la sua caparbietà la spuntarono e iniziò a scrivere. Anzi prima di scrivere iniziò a leggere. Leggeva per radio la rassegna stampa cittadina. Si alzava la mattina prestissimo, comprava i giornali e andava in radio per la sua rassegna stampa».

Grazie ai suoi articoli da Torre Annunziata, Siani aveva guadagnato la possibilità di fare una sostituzione nell'estate 1985 nella redazione centrale del Mattino, a Napoli, preambolo di una possibile assunzione come praticante. Ma il 23 settembre due sicari, Ciro Cappuccio e Armando Del Core, eseguirono la 'condanna a mortè ordinata dai mandanti Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta e Luigi Baccante, tutti condannati all'ergastolo nel processo che si è concluso nel 1997, 12 anni dopo l'omicidio. Per Gionta è arrivato poi il giudizio della Cassazione che lo ha scagionato per non aver commesso il fatto. In tutti questi anni, Siani è diventato un simbolo dell'impegno giornalistico contro la criminalità organizzata: a lui sono state intitolate vie, a Napoli come in altre località, oltre a licei e teatri, ed è stato istituito nel 2004 il Premio Giancarlo Siani per i giornalisti impegnati sul fronte della cronaca. «Giancarlo - spiega Paolo Siani - viene percepito dai ragazzi oggi come un eroe, la sua storia, la sua faccia pulita fa breccia nel cuore di tutti ma soprattutto in quello dei ragazzi. Questa è la sua grande rivincita». «Questa è la rivincita di tutti i familiari di vittime innocenti - continua Siani - che hanno trasformato il loro dolore in impegno e che si spendono nella nostra città e nella nostra regione per la legalità. Sono uomini e donne che con umiltà, ma con fierezza vanno nelle scuole, nelle associazioni, nel carcere minorile a parlare dei loro cari che non ci sono più, a parlare di legalità e di giustizia. Sono persone duramente colpite, sofferenti, provate, ma preziose per la comunità».

Il ricordo di Giancarlo Siani e di tutte le vittime innocenti, racconta il fratello, «ha il senso del riscatto, del non rassegnarsi alla violenza subita, del 'ce la possiamo farè». Parlando con i ragazzi nelle scuole, dopo aver visto insieme il film 'Fortapàsc', si ha la sensazione chiara che si sta rafforzando sempre più un sentimento di legalità. Messi davanti a una storia, a un tragico omicidio i ragazzi, tutti i ragazzi, scelgono di stare dalla parte di Giancarlo. Certo c'è ancora tanto da fare specie a Napoli e al sud d'Italia, ma i giovani fanno ben sperare«. Paolo Siani ricorda un dato: »La Campania detiene il triste primato di morti innocenti ammazzati per mano criminale, con 150 casi già accertati e oltre 100 in fase di studio, ed è la seconda regione per numero di beni confiscati alla criminalità organizzata dietro alla Sicilia, con 1.722 beni tra immobili e aziende«. Numeri che hanno portato la Regione Campania a dotarsi di una struttura appositamente dedicata a questi temi, la Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza), di cui Paolo Siani è il presidente: »È lo strumento operativo della Regione Campania per l'aiuto ai familiari delle vittime innocenti della criminalità e a tutti i soggetti variamente coinvolti nell'attività di gestione e riqualificazione sociale dei beni confiscati alla camorra«, spiega.

La Fondazione sostiene i familiari delle vittime attraverso un aiuto legale, psicologico e fiscale: «Abbiamo già siglato a fine 2010 un importante protocollo di intesa con il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli per garantire un servizio di orientamento legale ai familiari delle vittime. Questo accordo rappresenta un modello che estenderemo anche all'Ordine degli Psicologi e all'Ordine dei Commercialisti. Ci stiamo inoltre concretamente muovendo in sinergia con le Commissioni consiliari regionali preposte alla stesura di una proposta normativa per la tutela giuridica delle vittime della criminalità comune, alle quali allo stato attuale la legge non riconosce alcun beneficio. Stiamo altresì lavorando insieme all'Anci per far sì che venga rispettata la normativa che garantisce il collocamento obbligatorio al lavoro dei familiari delle vittime». Gli interlocutori privilegiati della Fondazione Polis, spiega Siani, «sono le scuole e i giovani. Lo scorso 28 marzo tutte le scuole della Campania hanno visto in contemporanea il docufilm 'Storia criminale’, dando vita alla prima edizione del progetto di condivisione della memoria e dell'impegno 'Lo stesso giorno alla stessa ora’, che nel 2012 riproporremo estendendolo a tutte le regioni meridionali coinvolte dal Pon Sicurezza 2007-2013». L'obiettivo, spiega, è «lanciare un messaggio di speranza ai nostri giovani, soprattutto a quelli dei quartieri più difficili. Un messaggio di speranza, la speranza di un futuro diverso per la nostra terra, dove i beni confiscati siano una concreta occasione di sviluppo di un'economia legale e solidale, dove l'esempio lasciato delle tante vittime innocenti e dai loro familiari rappresenti la base per l'affermazione della cultura della legalità. Noi ce la stiamo mettendo tutta per noi stessi, per i nostri figli, per i nostri cari che non ci sono più», conclude Siani.

sabato 17 settembre 2011

LUMIA, SALVARE DAL DEGRADO LUOGO UCCISIONE IMPASTATO

Abbandonato nella noncuranza il luogo dove fu ammazzato Peppino Impastato. La denuncia vieve dal Fratello Giovanni che ha detto anche che il COmune di Cinisi si era impegnato a farne "un luogo della memoria". Intanto sulla vienda ha preso posaizione anche il parlamentare Giuseppe Lumia (PD), membro della Commissione parlamentare Antimafia. 

 «Si parla tanto di antimafia e poi un luogo con una valenza significativa come quello in cui perse la vita Peppino Impastato viene abbandonato all'incuria. Il nostro Paese ha più che mai bisogno di luoghi in cui coltivare la memoria per rinnovare l'impegno antimafia, per la legalità e la giustizia». Ha detto Lumia, commentando le dichiarazioni del fratello di Peppino Impastato, Giovanni, circa lo stato di abbandono in cui versa il luogo dove avvenne l'uccisione del congiunto. «Per questo - conclude Lumia - sostengo l'appello del fratello di Peppino, Giovanni, di trasformare quel casolare e quel pezzo di terra in un posto dove i giovani possano scoprire la figura di Peppino. Egli rappresenta un punto di riferimento per molti giovani, un esempio a cui guardare per intraprendere un percorso di consapevolezza e ribellione al fenomeno mafioso».

venerdì 16 settembre 2011

A FORMELLO NASCE PRIMO QUARTIERE ITALIANO DEDICATO A VITTIME

Nasce a Formello, in provincia di Roma, il primo quartiere in Italia interamente dedicato alle vittime delle mafie. Le vie della zona dell'Albereto porteranno i nomi di Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Impastato, don Diana, La Torre e Rizzotto. L'intitolazione avverrà venerdì 23 settembre dalle ore 9.30 nel corso di una manifestazione pubblica alla presenza, tra gli altri, di don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di 'Liberà. «A luglio, il sequestro a Formello di una villa di 29 stanze risultata proprietà della 'Ndrangheta ha ricordato a istituzioni e opinione pubblica che la criminalità organizzata non risparmia nessuna area geografica - osserva l'assessore all'Urbanistica, Sergio Celestino - Consapevole che anche l'area metropolitana romana è ormai una terra di frontiera per le nuove infiltrazioni mafiose, il Comune di Formello ha voluto coinvolgere la cittadinanza in un percorso di riflessione che culminerà con l'evento del 23 settembre, ma che proseguirà con i progetti scolastici di educazione alla legalità». La scelta dei nomi delle vittime delle mafie è giunta attraverso una consultazione popolare, partita circa due anni fa su Facebook e poi estesasi a mezzi più tradizionali come assemblee e schede consegnate a mano, con la partecipazione di moltissimi cittadini. Alla cerimonia del 23 settembre interverranno le scuole, le associazioni di volontariato del territorio e le istituzioni pubbliche coinvolte durante il percorso. A seguire, in piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa, cuore del nuovo quartiere, il sindaco Giacomo Sandri presiederà un Consiglio comunale straordinario sul tema della legalità.

 (Fonte:Adnkronos)

VIDEO: SENTENZA PRIMO GRADO PER LA STRAGE DI CASTEL VOLTURNO. QUATTRO ERGASTOLI

18 SETTEMBRE 2008, STRAGE DI CASTEL VOLTURNO: RAZZISMO DI CAMORRA. DOMENICA IL RICORDO


"Ora tocca ai neri. Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono, anche le donne".  La strage avvenne per ordine del camorrista Giuseppe Setola, poco dopo le 21 del 18 settembre 2008, dopo aver ucciso un italiano dalle parti di Baia Verde. Setola  aveva chiesto ad alcuni banditi extracomunitari una tangente sui loro traffici. Cercava delle persone di colore da uccidere, preferibilmente i trafficanti con cui c'erano rapporti. Il progetto poi sfuma perché nel posto prescelto dal commando ci sono telecamere che li esporrebbero troppo. Quindi, Setola chiede a Granato, uno dei suoi sodali: "Ma se andiamo là fuori -  intendendo la sartoria - li troviamo i neri?" Granato fa spallucce: ma sì, andiamo a vedere". Fuori la sartoria «Ob Ob exotic fashions», al chilometro 43 della domiziana, le armi spararono all’impazzata. Sei morti ed un ferito. Ecco i loro nomi:

 Kwame Antwi Julius Francis, Nato nel 1977,  ghanese, fuggito nel suo Paese nel 2007,  aveva attraversato il deserto del Niger e aveva lavorato come muratore in Libia. A Castel  Volturno lavorava come piastrellista e si era iscritto a un corso di formazione per  apprendere il mestiere di saldatore. Era attivista del centro sociale "ex canapificio" di  Caserta, impegnandosi come interprete volontario

 Affun Yeboa Eric: la più giovane delle tre vittime, Si trovava nel luogo della strage  solo perché era passato a prendere il suo amico Francis. Eric era in Italia dal 2004,  proveniente dal Ghana. Lavorava come carrozziere a Castel Volturno.
El Hadji Ababa: Veniva dal Togo e viveva in Italia da 5 anni. Gestiva la sartoria "Ob  exotic Fashions". Era molto apprezzato come sarto: realizzava abiti tradizionali su  misura, ma era anche un punto di riferimento per gli africani della zona, soprattutto di  quelli che erano più disorientati.

 Jeemes Alex: Cittadino del Togo, aveva un permesso di soggiorno per "protezione  umanitaria" ottenuto a Siracusa. aveva iniziato a lavorare da poco tempo nella sartoria.

Christopher Adams: aveva 28 anni ed era ghanese. Era in Italia dal 2002 e aveva  ottenuto il permesso per "protezione umanitaria". Adams faceva il barbiere a Napoli, a  piazza Garibaldi. La sera della strage era andato min sartoria per salutare gli amici.

Samule Kwabo: veniva dal Togo, faceva il muratore ma lavorava anche come bracciante  nelle campagne. Come tanti africani, la mattina presto, all'alba, si faceva trovare nelle  rotonde di Giugliano e Villa Literno, in attesa di un "caporale" che gli offrisse il  lavoro.

 Joseph Ayimbora: anche lui ghanese, è l'unico sopravvissuto alla strage. Nonostante le  gravi ferite alle gambe e all'addome, ha finto di essere morto. Ha un permesso di  soggiorno dal 1998. La sua collaborazione con le forze dell'ordine è stata decisiva per  la ricostruzione dei fatti e l'individuazione degli assassini.
Il 14 aprile del 2011, finalmente arriva la sentenza di primo grado contro gli assassini dei ghanesi. Quattro ergastoli e una condanna a 23 anni. Massimo della pena per Giuseppe Setola, capo dell'ala stragista del clan di Gomorra, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. A 23 anni di reclusione è stato condannato il quinto imputato, Antonio Alluce. Il solo Cirillo è stato assolto dalla partecipazione alla strage incompiuta.
Domenica 18 settembre, alle ore 17, si terrà la commemorazione delle vittime ghanesi  al km 43 della Domiziana, nei pressi della Sartoria "Ob ob Exotic Fashions", dove è avvenuta la strage. Sarà presente padre Alex Zanotelli, e rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dell'antirazzismo campano, insieme a tantissime associazioni di volontariato.


DOMATTINA IL BUSTO IN ONORE DI MARCELLO TORRE. SENZA L'AMMINISTRAZIONE COMUNALE

Domattina si inaugura un busto in memoria di Marcello Torre al Cimitero di Pagani. La cerimonia è prevista alle ore 9, all'interno della cappella gentilizia Contaldi-Torre. Il busto doveva essere apposto all’ingresso del Cimitero ma, ancora una volta, l’amministrazione comunale ha dato forfait, come un anno fa, quando prima intitolò la piazza principale di Pagani a Marcello Torre, la piazza “Corpo di Cristo” e poi fece marcia indietro. Evidentemente, ilsindaco che disse no al patto della politica con la camorra, continua a far paura anche da morto. Ricordiamo che Marcello Torre, quarantotto anni, avvocato, eletto il 7 agosto del 1980 sindaco della città di Pagani per la Democrazia Cristiana, fu ammazzato alle 7 del mattino, da due killer con una calzamaglia in testa, che lo attendevano fuori la sua abitazione a bordo di una fiat 127. I suoi killer non sonostati mai condannati.  La famiglia Torre, da parte sua, non ha voluto alimentare nuove polemiche e ha deciso di inaugurare il busto  realizzato dall’artista Stefano Rossi, con una cerimonia sobria dove saranno presenti oltre alla signora Lucia e ad Annamaria Torre, rispettivamente moglie e figlia di Marcello, delegazioni del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, di Libera e della Fondazione Pol.i.s.

VERSO LA REVISIONE DEL PROCESSO PER LA STRAGE DI VIA D'AMELIO. ANCHE SUL DEPISTAGGIO

 Si annuncia un uovo processo per la strage di via D'Amelio. Dopo le ultime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Carmine Spatuzza e Fabio Tranchina, il Procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari e i pm, dopo avere chiuso l'indagine hanno trasmesso gli atti alla Procura generale per chiedere, appunto, la revisione del processo. Le carte sono state depositate ieri. Secondo i magistrati nisseni, che per mesi hanno ascoltato i neo pentiti Tranchina e Spatuzza, sette degli imputati condannati all'ergastolo in Cassazione sarebbero estranei alla strage di via D'Amelio. Si tratta di Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Gaetano Murana, Natale Gambino e Gaetano Scotto. Nello stesso filone d'inchiesta sono anche indagati per calunnia aggravata tre funzionari di Polizia che all'epoca ascoltarono il pentito Vincenzo Scarantino. La Procura ha depositato circa mille pagine di memoria in cui viene spiegato il motivo della richiesta di revisione.Spetta adesso al Procuratore generale Roberto Scarpinato, ex pm del processo Andreotti, decidere sulla revisione del processo.

 «Decisione attesa e scontata dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza - ha dichiarato  il senatore Luigi Li Gotti, capogruppo dell'Italia dei Valori in commissione Antimafia -  Si apre ora l'enorme scenario delle indagini depistate, delle confessioni false, del ruolo degli inquirenti».  «Rammento - aggiunge - che da difensore di Scarantino (ossia l'uomo che si autoaccusò della strage, ora messo radicalmente in discussione da Spatuzza) rinunziai, dopo due mesi, al mandato difensivo (era l'ottobre del 1994) proprio perchè colsi nettamente l'inverosimiglianza del racconto». «Ora quelle perplessità sono diventate certezza. Vedremo - conclude Li Gotti - la verità che si riuscirà a fare affiorare».

 Nasce un nuovo filone di indagine sulla strage Borsellino. Riguarderà il «colossale depistaggio», come lo ha definito il procuratore Sergio Lari, che venne organizzato dagli apparati investigativi e dai servizi segreti attraverso la manipolazione delle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino. Oltre a chiedere la revisione del processo per sette dei condannati all'ergastolo con sentenza definitiva, la Procura di Caltanissetta ha deciso di stralciare la posizione di tre poliziotti, che facevano parte della squadra guidata dal questore Arnaldo La Barbera, ora indagati per calunnia.

Il gruppo avrebbe costruito una falsa verità sugli organizzatori e sugli esecutori dell'attentato che non ha retto alle diverse indicazioni date dagli ultimi due collaboratori Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, a quel tempo uomini di fiducia del boss Giuseppe Graviano. Scarantino sarebbe stato indotto ad accusarsi di essere l'autore del furto della Fiat 126 imbottita di tritolo esplosa in via D'Amelio. Le sue dichiarazioni depistanti sarebbero state «suggerite» dagli stessi investigatori che avrebbero anche «taroccato» un verbale del 1994. Agli atti dell'inchiesta sono finiti alcuni fogli con le annotazioni di un poliziotto che avrebbe imboccato Scarantino alla vigilia dei suoi convulsi e contraddittori interrogatori in aula nei sette processi celebrati sulla strage. Degli investigatori sotto inchiesta sono finora trapelati i nomi di Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera. Facevano parte del pool coordinato da Arnaldo La Barbera, morto nel 2002. Nella stessa squadra lavorava Gioacchino Genchi che, non condividendo tecniche e modalità investigative, ne uscì dopo una polemica interna.

«Il clima è quello del 1992. Si respira la stessa aria con la politica in cerca di nuovi equilibri come allora e temo anche per la vita dei magistrati». È uno stralcio delle dichiarazioni con cui Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, commenta al mensile il Sud la conclusione delle indagini sulla strage di via D'Amelio da parte della Procura di Caltanissetta. Secondo i pm, il processo per l'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta si sarebbe concluso con la condanna di sette innocenti, attualmente in carcere, con diciannove anni di depistaggi e misteri irrisolti. «Siamo ancora all'inizio - dice Salvatore Borsellino, leader del movimento delle Agende Rosse -. Ancora, ad esempio, non si sa nulla del capitolo riguardante la trattativa Stato-Cosa Nostra. E temo che, adesso che si riapre uno spiraglio per la revisione del processo, tutti quelli che in questi anni hanno mentito e depistato le indagini faranno di tutto per fermare i magistrati. La mia speranza è che si limitino al tentativo di delegittimazione già ampiamente in corso nei confronti di magistrati come Ingroia, Di Matteo e Lari che stanno cercando la verità. Ma si respira la stessa aria del '92 con la politica in cerca di nuovi equilibri come allora e temo anche per la loro vita»

UN CONCERTO PER RICORDARE I DUE GIORNALISTI TONI-DE PALO

Roma - Concerto per ricordare i due giornalisti scomparsi in libano il 2 settembre 1980, Italo Toni e Graziella De Palo. Si terrà stasera all'Auditorium Parco della Musica a cura   dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta dal Maestro Antonio Pappano. Al pianoforte il Maestro Denis Matsuev, che eseguirà musiche di Giacomo Puccini (Preludio Sinfonico), Sergei Vasilievich Rachmaninoff (Concerto n° 2 per pianoforte) e Petr Il'ič Ciajkovskij (Sinfonia n° 6 «Patetica»).

L'iniziativa, curata dal delegato del Sindaco alla Memoria, Aldo Giovanni Ricci, e dall'Accademia di Santa Cecilia, presieduta da Bruno Cagli, rientra tra le attività che Roma Capitale ha promosso negli ultimi tre anni per ricordare la figura di Graziella e Italo. In particolare, quello di domani è l'ultimo degli appuntamenti che il sindaco Gianni Alemanno ha voluto dedicare quest'anno ai due giornalisti nel 31° anniversario della loro scomparsa, dopo quelli che si sono svolti il 2 settembre scorso con la funzione religiosa nella Basilica dell'Ara Coeli e la piantumazione di un olivo, in segno di pace e riconciliazione, in prossimità dei viali a loro intitolati nel parco di Villa Gordiani.

 In quella occasione il sindaco ha chiesto con forza alla Croce Rossa Internazionale e all'Autorità palestinese affinchè aiutino i familiari e le nostre autorità ad individuare dove sono stati sepolti Graziella e Italo. «Dobbiamo continuare a ricercare la verità sulla scomparsa di questi due giornalisti - ha detto il sindaco - e tentare di recuperare le loro salme». Al concerto partecipano i familiari e gli amici di Graziella e Italo. Sarà presente il delegato del Sindaco alle Politiche per la Sicurezza, Giorgio Ciardi.

TERRORISMO: VITTIME ITALIANE RIFIUTANO INVITO CITTÀ PARIGI

A Parigi non ci veniamo.  I familiari delle vittime del terrorismo che si riuniscono nell'assocazione Aiviter, hanno ha deciso di rifiutare l'invito a una cena ufficiale nel municipio di Parigi, per protesta contro le dichiarazioni di sostegno all'ex brigatista rosso Cesare Battisti più volte rilasciate dal sindaco socialista Bertrand Delanoe.

I rappresentanti italiani, a Parigi in occasione del 7/o Congresso internazionale delle vittime del terrorismo, avevano ricevuto nei giorni scorsi, come le altre delegazioni presenti, l'invito per una cena offerta dalla città di Parigi, in programma stasera. Ma per loro, spiegano in una lettera aperta indirizzata a Dealone, sarebbe stato impossibile accettare. «La nostra associazione rappresenta centinaia di vittime di terrorismo - scrive l'Aiviter - tra queste ci sono le famiglie di (Pierluigi) Torregiani, (Lino) Sabbadin, (Antonio) Santoro,(Andrea) Campagna. Che sono stati uccisi da Cesare Battisti. Per questi crimini, Battisti è stato condannato all'ergastolo.

Nel 2004, sebbene ricercato dalla giustizia italiana, Battisti è diventato cittadino onorario della città di Parigi e ha ottenuto, secondo le vostre dichiarazioni dell'epoca, la protezione della municipalità di Parigi». Per questo, conclude il messaggio, pur non volendo «perturbare i lavori del congresso, di cui condividiamo le finalità», l'associazione si vede costretta a declinare l'invito, anche se esprime il desiderio di incontrare Delanoe, «per ritornare sull'argomento, e affinchè la vostra opinione e le decisioni della municipalità di Parigi siano oggetto di un riesame in favore e nel rispetto delle vittime del terrorismo».

DON PUGLISI: ARCIVESCOVO ROMEO, FU EDUCATORE DI GIOVANI

 «Come non vedere che in padre Pino Puglisi, a diciotto anni dal suo barbaro assassinio per mano mafiosa, dolore e fecondità continuano ad 'intrecciarsi? È quella immagine evangelica da lui più volte ricordata: 'Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto fruttò». È questo il ricordo del parroco di Brancaccio, tracciato dall'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, nell'omelia celebrata in Cattedrale. «Tre coordinate hanno caratterizzato il ministero di padre Pino - ha aggiunto l'arcivescovo Romeo -: educatore dei giovani, accompagnatore e formatore di coscienze, sacerdote in ascolto delle loro esigenze e dei loro interrogativi». «A Brancaccio trovò un tessuto ferito dalla mancanza - ha continuato - di un sereno contesto familiare per i giovani. I giovani avevano le spalle 'scopertè, erano esposti a figure di una 'paternita» falsa e meschina che faceva rima più con 'illegalita« che con 'dignità». «Puglisi entrò in questo tessuto - ha ricordato il cardinale Romeo -, e realizzò il 'Centro Padre Nostrò, ravvisando il bisogno del quartiere». Nel corso dell'omelia l'arcivescovo ha ricordato il legame di padre Puglisi con il territorio. «E questo a Godrano - ha precisato - come a Brancaccio, dove, in particolare, erano altri che cercavano il controllo del territorio». «Da Padre Pino Puglisi impariamo a lasciarci interpellare - ha concluso - per un futuro della nostra comunità diocesana che sia fecondo nella trasmissione della fede alle nuove generazioni».

Fonte ANSA

mercoledì 14 settembre 2011

USTICA: LEGALI FAMILIARI VITTIME, CONTRO GIOVANARDI E IL GOVERNO

Non si placano le polemiche dopo che il ministro Carlo Giovanardi ha dichiarato, a nome del governo, di voler ricorrere in appello alla sentenza che riconosce colpevole lo Stato per quella strage e lo condanna a pagare 100 milioni di euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica.  La sentenza è arrivata quattro anni dopo i primi risarcimenti per 980 mila euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica. La sentenza del giudice Paola Protopisani dà ragione al collegio difensivo che aveva puntato sulla responsabilità dello Stato, indipendentemente dall'accertamento della causa che provocò la strage e che in questi anni non è mai venuta a galla.
«Le dichiarazioni di certi esponenti del governo in relazione al giudizio su Ustica appaiono come lo squallido tentativo di rubare la scena a chi, dopo 31 anni di angoscia e dolore, ha finalmente il diritto di vivere con serenità il risultato ottenuto». Lo dicono gli avvocati Vanessa e Fabrizio Fallica, legali dei familiari di due delle vittime della strage di Ustica. Nei giorni scorsi il tribunale di Palermo ha condannato lo Stato a risarcire con oltre 100 milioni di euro i parenti di una quarantina dei passeggeri che persero la vita sull'aereo Itavia in servizio da Bologna a Palermo: una sentenza definita ‘inaccettabile’ dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa e dal sottosegretario Carlo Giovanardi, che hanno annunciato che il governo presenterà ricorso. «Dal momento che una parte del risarcimento è stato riconosciuto perché lo Stato ha ostacolato la ricerca della verità - aggiungono gli avvocati Fallica - oggi il governo piuttosto che alimentare polemiche dovrebbe concentrarsi sulla necessità di raccogliere ulteriori informazioni utili a chiarire le troppe zone d'ombra che ancora resistono. In questo senso, con la caduta del regime di Gheddafi gli archivi libici potrebbero essere finalmente messi a disposizione dello Stato italiano: ci aspettiamo che il governo si muova immediatamente in questa direzione».
- «Le parole di Carlo Giovanardi, pronunciate a nome del governo, salvo smentite, offendono non solo la memoria delle vittime della strage di Ustica, ma anche la memoria civile del Paese. Dopo oltre trent'anni di inchieste, molti aspetti di questo disastro, tra i quali le cause stesse, non appaiono ancora chiariti». Lo dice il deputato nazionale del Pd e componente della commissione cultura alla Camera Tonino Russo. «Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, invece di chiedere scusa - prosegue - continua a mettere sale su una ferita, che non si è rimarginata, umiliando il dolore dei familiari delle vittime». «Ci sono molte ombre e opacità di comportamenti su quanto avvenne la notte del 27 giugno 1980, nel cielo sopra Ustica - conclude Russo - Ogni sforzo deve essere compiuto per arrivare alla verità e fare piena luce, anche sul piano internazionale, su una strage, che è ancora rimasta impunita».

PALERMO RICORDA DON PINO PUGLISI A 18 ANNI DELL'ASSASSINIO

Diciotto anni fa l’assassinio di don Pino Puglisi ad opera della mafia. Palermo lo ricorda con una serie di manifestazioni. Stasera a Brancaccio, promossa dalla parrocchia San Gaetano, si snoderà una fiaccolata. Domani pomeriggio alle 18 in cattedrale il cardinale Salvatore De Giorgi presiederà una solenne celebrazione eucaristica. In mattinata sarà proiettato il film «Alla luce del Sole» nella casa circondariale «Pagliarelli» alla presenza del regista Roberto Faenza e alle 21 andrà in scena un concerto dell'orchestra sinfonica siciliana che eseguirà un brano teatrale su padre Puglisi di Salvo Piparo. «Me l'aspettavo». Furono le ultime parole pronunciate dal parrocco di Brancaccio davanti alla pistola impugnata da Giuseppe Grigoli. Era la sera del 15 settembre 1993. Fu ucciso nel giorno in cui compiva 56 anni.
 I killer erano attesi dal sacerdote che era consapevole del pericolo al quale si era esposto con la sua azione di recupero dei giovani del quartiere sottratti al dominio del clan dei Graviano. Nel 1999 il cardinale Salvatore De Giorgi ha aperto la causa di beatificazione proclamando padre Puglisi «servo di Dio». La prima fase del processo si è conclusa nel 2001; da allora il fascicolo è all'esame della Congregazione per le cause dei santi in Vaticano. Padre Puglisi era stato nominato parroco della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro «Padre Nostro», diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La sua attività pastorale - come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio. Gli esecutori e i mandanti mafiosi, legati alla cosca mafiosa di Filippo e Giuseppe Graviano, sono stati condannati con sentenze definitive: ergastolo per i Graviano, Gaspare Spatuzza (che spalleggiava il killer e poi ha raccontato i retroscena del delitto), Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Oltre a Spatuzza anche Grigoli è diventato collaboratore giustizia: la sua scelta, che ha preceduto quella di Spatuzza, gli è valsa una condanna a 16 anni.
 «La storia di don Pino Puglisi è quella della Chiesa migliore, quella fatta di parroci che svolgono un ruolo fondamentale in un contesto sociale come quello di Brancaccio e di tanti altri luoghi in cui la criminalità ha sempre avuto una fortissima influenza, e dimostra che la mafia ha paura di chi diffonde la cultura antimafia». È quanto sottolinea Sonia Alfano, presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, nell'anniversario dell'uccisione del 'prete scomodò il 15 settembre 1993. «Don Pino - ricorda la Alfano - si assunse la responsabilità di proteggere i bambini e i ragazzi di Brancaccio e non si tirò indietro mai, nemmeno di fronte alla certezza che sarebbe stato eliminato. La sua dedizione verso la gente e la sua strenua difesa dei principi di legalità e di solidarietà, rimarranno sempre impresse nella memoria di tutti i cittadini onesti».
«Padre Pino Puglisi è stato un punto di riferimento per tanti giovani e per la società civile. Con il suo instancabile e prezioso lavoro a Brancaccio, uno dei quartieri più a rischio della città, ha dato una speranza a molti ragazzi, strappandoli dalle grinfie di Cosa nostra». Lo ha dichiarato il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione Antimafia, ricordando il parroco ucciso a Palermo dalla mafia il 15 settembre del 1993. Inoltre ha fornito ai volontari impegnati nel sociale un'importante bussola che indica nell'educazione civile, nella promozione sociale e nella crescita culturale della persona la direzione verso cui orientare il proprio impegno. In questo modo, infatti, don Pino aveva innescato un processo di emancipazione dalla subcultura mafiosa in cui i giovani di Brancaccio erano nati e cresciuti. Un rischio che Cosa nostra non poteva correre, -conclude Lumia- perchè minacciava l'egemonia e il dominio della cosca locale«.

STRAGE DI USTICA. BONFIETTI: "VERITÀ SU STRAGE VA CHIESTA ALLA FRANCIA"

In un'intervista al "Riformista", la senatrice PD, Daria Bonfietti, sorella di una delle vittime della strage di Ustica, chiede alla Francia di fare luce sulla vicenda..«Oggi c'è una sentenza che dice che la verità è stata negata per 31 anni. E che ribadisce la correttezza della sentenza-ordinanza del giudice Priore del 1999, che diceva che il Dc-9 era stato abbattuto in una battaglia aerea». L'esponente democratico ritiene che la verità su quei fatti non possa arrivare dagli archivi libici: »La Libia? Ma andiamo a chiedere alla Francia«, dice la presidente dell'Associazione Parenti delle Vittime della strage di Ustica. E spiega: »Gheddafi l'ha sempre detto: quella notte era la vittima designata, Santovitolo aveva avvisato. Sono coinvolti gli aerei che erano in volo. Voglio sentirmi dire da loro cosa volevano fare. Gheddafi ha detto la sua, Cossiga ha detto la sua. Ora voglio sentire la versione dei responsabili«. »Vogliamo sapere -insiste la senatrice del Pd- cosa stavano facendo quella sera gli aerei di Francia, Germania e Belgio, la cui presenza è accertata da dichiarazioni della Nato. Attendiamo il riscontro delle rogatorie inoltrate da due anni a quei Paesi. Spero che la sentenza (del tribunale di Palermo, ndr), possa indurre comportamenti virtuosi e concreti da parte del nostro governo per chiedere risposte. Ma non ho visto grandi sommovimenti finora. Di questo -conclude Bonfietti- dovremmo scandalizzarci: è un problema di dignità nazionale«

"CERCASI PROFETA IN PATRIA" - IL PRESIDENTE DEL CENTRO PADRENOSTRO RICORDA DON PUGLISI NEL 18° ANNIVERSARIO DELL'UCCISIONE

Basta seppellire i nostri morti con le dovute e religiose esequie per differirci dagli animali che ne mangiano le carcasse?
Don Pino Puglisi Padre Puglisi è stato ucciso dalla mafia 18 anni fa, quest'anno abbiamo celebrato anche il ventennale della fondazione del Centro Padre Nostro, avvenuta il 16 luglio 1991 ad opera di Padre Pino Puglisi, e qualche mese fa abbiamo realizzato uno dei suoi sogni: un campo di calcetto per i bambini di Brancaccio a Brancaccio.
In verità quanto realizzato è più di un campetto di calcetto: è un Centro Polivalente Sportivo con annesso parco giochi per bambini.
A due mesi dalla sua inaugurazione non ho visto nessun abitante di Brancaccio, nessun collaboratore, men che meno qualche amico del fu Parroco di Brancaccio, Pino Puglisi, che abbia dato la sua disponibilità per far giocare i figli dei figli dei "bambini di Puglisi".
Sono certo che loro, collaboratori ed amici, sono impegnati in altre opere altrettanto meritorie e impegnative, magari avranno fondato associazioni, gruppi parrocchiali, oratori o fondazioni in suo nome, ma di fatto i bambini di Brancaccio a Brancaccio sono rimasti ancora una volta orfani, con loro a Brancaccio giocano i volontari del Centro Padre Nostro che non hanno conosciuto personalmente la santità di quel piccolo prete di borgata: questi volontari sono "gente di fuori", così ci chiamano a Brancaccio per identificarci.
So quanto è difficile fare il profeta in patria e questo lo sapeva anche Padre Puglisi, ma questo non ci esime dal cercare noi, "gente di fuori", quel profeta: un giorno ce ne andremo e guai a voi se per qualche giorno non ci saranno "profeti in patria".
Aver seppellito Padre Puglisi, ricordarne ogni anno il suo eccidio, titolare strade, scuole, palestre, biblioteche in suo nome non serve a nulla se lì, proprio lì, a Brancaccio, nessuno vuole impegnarsi.
Questo significa che la mafia ha vinto: essa si è liberata di una persona scomoda per quel territorio.
Questo significa "mangiare il corpo", e non solo nel senso liturgico con cui noi mangiamo il Corpo di Cristo bensì come avviene tra gli animali quando si nutrono gli uni delle carni degli altri.
Non ci sono più scusanti per non testimoniare il vero amore che avete avuto per Padre Puglisi.
Possa lui dal cielo seguire i nostri e i vostri passi nella speranza che un giorno possa scrivere "I Nostri Passi".
Il Presidente
Maurizio Artale

PADRE PUGLISI, L'ASS VITTIME VIA DEI GEORGOFILI SCRIVE AL CENTRO "PADRENOSTRO" PER RICORDARNE LA FIGURA

Nel ricordo di Padre Pino Puglisi vogliamo essere presenti simbolicamente a tutte le manifestazioni indette dal Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus.
   
L’anniversario del 15 Settembre 2011 ci dà l’opportunità ancora una volta di pensare a Padre Pino Puglisi come colui che la mafia l’ha combattuta davvero.
Padre Puglisi ha combattuto la mafia, prima come prete nella sua missione religiosa cercando di dare aiuto ai ragazzi di Brancaccio che guardavano alla sua Chiesa come difesa dallo strapotere mafioso e poi come cittadino, quando probabilmente compreso ciò che i f.lli Graviano portavano con loro quel settembre del 1993 di ritorno dal “continente” ,decise di  rivolgersi alle istituzioni antimafia per affrontare un problema più grande di lui ,arrivando  purtroppo in ritardo.
E’ per questo che quale omaggio al ricordo di  Don Puglisi e cercando la stessa forza che il religioso ha messo nella ricerca della giustizia verso i giovani attraverso la verità, riportiamo a memoria di quanti oggi lo hanno dimenticato o fanno finta di dimenticarlo, un passaggio della requisitoria del ’98 di Gabriele Chelazzi al processo  sulle bombe del ’93:
- Ma questa sentenza rispecchia davvero la realtà che sta dietro l’ondata stragista del ‘ 93? (….)
Questa sentenza deve servire come base per ulteriori approfondimenti  (……) del complesso, variegato contesto socio politico ed economico in cui sono maturate le stragi”

Cordiali saluti

Giovanna Maggiani Chelli
Presidente
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili

29 ANNI FA VENIVA UCCISO ANTIMO GRAZIANO BRIGADIERE AGENTI DI CUSTODIA

È un martedì, martedì 14 settembre 1982, quando il brigadiere degli agenti di custodia Antimo Graziano viene ucciso sotto casa a Piscinola, un quartiere alla periferia di Napoli nord. Da sei anni dirigeva l’ufficio matricola nel carcere di Poggioreale. Un ufficio importante perché lì vengono decisi i trasferimenti, i permessi e la destinazione di ogni singolo detenuto all’interno dei padiglioni del carcere. Su quell’ufficio ci sono da tempo le attenzioni dei clan della camorra. Antimo Graziano, un omone dall’aria bonacciona, era già stato minacciato. Gli arrivano molti “consigli” interessati, ma lui non ha mai ceduto alle pressioni e alle minacce. Il clima nel carcere è pesante. Aveva deciso di andarsene in pensione. Non voleva rischiare la vita, come già avevano fatto altri suoi colleghi.

Quel giorno il brigadiere Antimo Graziano finisce il turno di lavoro alle quattordici. Il tempo di riordinare l’ufficio e di dare la consegna delle cose da fare al suo collega e via, verso casa. Ma non sa che lì, proprio sotto casa, in via del Salvatore, nel popoloso quartiere di Piscinola, nel posto che lui ritiene più sicuro del carcere, un killer della camorra lo aspetta per ammazzarlo. Graziano arriverà una quarantina di minuti dopo aver finito il turno di lavoro. Il killer lo aspetta in un punto strategico. Deve passare per forza da lì. E si piazza in modo che la visuale sia sempre la migliore. Il quartiere di Piscinola, a nord di Napoli, al confine con Mugnano, circondato dagli altri affollatissimi quartieri di Scampia, Miano, Marianella, è un dedalo di viuzze, una addosso all’altra. Ma quando il brigadiere Graziano smonta il turno al carcere di Poggioreale, alle quattordici, non ci sono molte auto per strada. Il traffico è ridotto.

Le staffette avvisano che l’hanno visto partire dal carcere a bordo della sua Fiat 127. Sono in due su un motorino ad aspettarlo. Antimo Graziano, dopo aver imboccato via del Salvatore, una strada in discesa che conduce alla piazza principale di Piscinola, percorre qualche decina di metri e poi rallenta per svoltare nel portone della propria abitazione. «Eccolo, è lui, sta arrivando». Lo vedono. È quasi vicino casa. Uno scende dal motorino e si materializza all’improvviso. È a viso scoperto. Si avvicina all’automobile, non gli dà nemmeno il tempo di scendere dalla macchina. E spara ripetutamente contro Graziano con una pistola a rotazione. La polizia, infatti, non troverà nessun bossolo a terra. Graziano viene colpito al viso, al collo e al braccio. Si accascia sul volante. L’automobile, ormai senza guida, continua la marcia sulla strada in discesa finendo contro il muro di una chiesa.

L’assassino, dopo aver sparato, si allontana velocemente a piedi per via del Salvatore, raggiunge la piazza, dov’era ad attenderlo il complice a bordo di un motorino. Subito dopo fuggono in direzione del centro di Napoli. Per Antimo Graziano, quarantacinque anni, non c’è niente da fare. In meno di un minuto il brigadiere e capo del delicatissimo ufficio matricola del carcere di Poggioreale, muore davanti casa sua.
Antimo Graziano era nato a Bellona, in provincia di Caserta, il 4 giugno del 1937. Era sposato con Maria Rosaria Marano, di trentanove anni e aveva due figlie, Concetta, di sei anni e Rosanna di due. Si era arruolato venticinque anni prima nel corpo delle guardie di custodia. Da sei era in servizio all’ufficio matricola di Poggioreale. Ma era troppo pericoloso. Aveva deciso di dedicarsi alla famiglia e uscirsene da quell’inferno di Poggioreale. Non gliene hanno dato il tempo.

Tratto dal mio libro "Al di là della notte" - Ed. Tullio Pironti

martedì 13 settembre 2011

IL 13 SETTEMBRE '78 LA CAMORRA UCCIDEVA A OTTAVIANO L'AVVOCATO PASQUALE CAPPUCCIO

La vita dell’avvocato Cappuccio fu spenta da un killer della camorra la sera del 13 settembre del 1978 in una strada di Ottaviano.

«Quel pomeriggio  - racconta la moglie Maria Grazia Iannitti - partimmo dalla nostra casa di Napoli per andare a Ottaviano dove mio marito aveva il suo studio di avvocato. Pasquale ricopriva anche la carica di consigliere comunale di minoranza, perciò era spesso tra i suoi concittadini, per raccogliere suggerimenti, lamentele, per rappresentare le loro istanze nel consiglio comunale. Lui era così, da vecchio militante socialista, la politica la faceva tra la gente. Io avevo lo studio notarile a Poggiomarino, poco distante. Ci lasciammo con l’intesa che in serata, dopo il lavoro, lo avrei raggiunto o a casa della sorella o nel circolo Scudieri dove lui era socio e si tratteneva di tanto in tanto».

L’avvocato Cappuccio era uno dei consiglieri che più contrastava l’assegnazione di appalti a Pasquale Cutolo, fratello del capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele. Anni difficili, quelli. La camorra si ramificava. Estendeva la sua rete di controllo sociale sulla vita pubblica. Erano in pochi quelli che non si piegavano a questo disegno. Chi non cedeva veniva ridotto al silenzio, in un modo o nell’altro. L’avvocato Cappuccio denunciò fortemente le collusioni della politica con la criminalità. Il sindaco di Ottaviano era Salvatore La Marca, ex assessore provinciale, tra i più votati in Italia. Era iscritto al Partito socialdemocratico. Poi ne venne espulso. Difficile fare il consigliere comunale di opposizione in quel periodo. Si rischiava la vita. Ma Pasquale Cappuccio, forse, non se ne era reso ancora conto. Oppure ne era cosciente e aveva deciso di non fare passi indietro rispetto alle sue convinzioni.

«Percorsi alcune centinaia di metri», riprende a raccontare Maria Grazia Iannitti, «sulla nostra destra ci ha affiancato una Fiat 128 blu, con due giovani a bordo. Ci hanno fissato per alcuni istanti e poi ci hanno sorpassato. Erano a viso scoperto. Ricordo che il conducente aveva i capelli un po’ lunghi e arruffati, senza barba e senza baffi. Dopo aver fatto alcune centinaia di metri, ho rivisto la stessa auto che ha messo un segnale luminoso a sinistra e ci ha tagliato la strada. È stato in quel momento che dallo sportello anteriore, a fianco dell’autista, è sceso un giovane con una tuta da meccanico e con stivaletti di colore scuro. Portava degli occhiali bianchi come quelli di un saldatore o di un motociclista. Si è diretto verso il lato di mio marito che aveva il finestrino chiuso, come per chiedergli un’informazione. Ma ha cominciato subito a sparare. Tre o quattro colpi. Il vetro del finestrino è andato in frantumi. Poi ancora altri colpi. Sono stati attimi concitati», torna indietro con la memoria di trent’anni la signora Cappuccio. Uno sforzo che le costa sofferenza. «Io e mio marito non abbiamo avuto nemmeno il tempo di renderci conto di cosa stesse accadendo. Mi ero girata istintivamente e Pasquale, colpito ripetutamente, ha girato la sua guancia sinistra sulla mia spalla sinistra. Non ricordo quanti erano a sparare, ma ho avuto l’impressione che dovevano essere più d’uno. Sono stata con il corpo di mio marito sulle spalle per circa cinque minuti. Fino a quando qualcuno non mi ha tirato fuori dall’auto e mi ha portato in ospedale a Napoli. Erano persone che non conoscevo».

L’avvocato Cappuccio morirà all’istante. La moglie sarà ferita lievemente. Le indagini verranno affidate al pretore Antonio Morgigni. Cercheranno di accoppare anche lui.  «Dopo tanti anni, però, non c’è alcuna condanna», è il giudizio amaro di Maria Grazia Iannitti. «I mandanti sono stati prosciolti in appello. E gli esecutori materiali non si conoscono. Una sola cosa resta certa insieme al fatto che Pasquale non c’è più: il nostro dolore».

Storia tratta dal mio libro: “Al di là della notte” Ed. Tullio Pironti