giovedì 27 febbraio 2014

LA LAUREA "HONORIS CAUSA" PER DON GIUSEPPE DIANA CONSEGNATA AI FRATELLI EMILIO E MARISA

Fu ucciso prima di poter conseguire la laurea in Teologia Biblica a cui teneva tanto. Stamattina il riconoscimento “post mortem” per don Giuseppe Diana con la consegna della “Licenza” da parte della commissione d’esami nelle mani dei fratelli, Emilio e Marisa. La cerimonia, sobria ma molto partecipata, si è tenuta presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Napoli, nella prestigiosa sede di Via Petrarca, alla presenza dei familiari di  don Diana, di tanti amici e sacerdoti arrivati da Casal di Principe, e di numerosi studenti dell’istituto.

Al tavolo dei  relatori il  preside decano,  don Sergio Bastianel,  uno dei suoi professori dell’epoca, don Ettore Franco;  don Giovanni di Napoli, suo compagno di seminario  e il vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Angelo Spinillo.

“Questa giornata ha luogo perché nel 2011 – ha spiegato don Ettore Franco – il professor Sergio Tanzarella  prese l’iniziativa di richiedere la ricomposizione  del curriculum accademico di don Peppino Diana. Il consiglio accademico ha discusso e valutato la richiesta e ha deciso che c’erano le condizioni per concedere la laurea “post mortem”.

A don Diana, già laureato in lettere e filosofia, mancavano pochi  esami per la laurea in Teologia Biblica. “Aveva raggiunto 29 crediti doveva arrivare a 36 compresa la tesi finale. Don Diana – ha ricordato don Ettore – citava spesso i profeti. Insieme agli altri parroci, aveva prodotto il documento: “Una religione della responsabilità”, in vista delle elezioni del 1993: “Stavolta il coraggio della ipocrisia e la coscienza di essere lievito nella pasta, ci impongono di non tacere”.  Intervistato da Repubblica il 24 ottobre ’93, don diana esplicitò meglio il suo pensiero: “Non sono un politico, ma un uomo di chiesa che si limita a lottare accanto alla gente che abita in questi luoghi nel tentativo di affermare quei diritti che il malgoverno e la camorra hanno sempre negato”.
“Gli avevo affidato una tesi dal titolo: “L’affidabilità del profeta” – ha ricordato don  Ettore -  Quella tesi non è mai stata consegnata in segreteria, ma è stata scritta con l’amore più grande, quella che dona la vita ed è stata firmata col sangue”.

Don Giovanni di Napoli ha tratteggiato il profilo di Don Diana, ragazzo di paese, compagno di seminario,  ragazzo di provincia e uomo coraggioso. “Si stabilì tra noi  un’amicizia  sincera. In lui cresceva a vista d’occhio anche la dimensione spirituale. Spesso mi capitava di sorprenderlo in preghiera. Due esperienze lo avevano segnato in modo particolare:  il contato con gli ammalati e il rapporto con gli scout dell’Agesci. Mi confidava che la sua spontaneità lo faceva apparire  agli altri come un superficiale. Ma non era così. Era attaccato alla terra. Alla sua terra, Nell’estate del 1969 tre di noi vivemmo con lui anche un’esperienza di lavoro nel suo terreno raccogliendo pesche per almeno  quindici giorni.  Fu l’occasione per conoscere la sua solidità di legami familiari e parrocchiali. Tutta la sua esuberanza la incarnava al servizio della chiesa e della sua missione. Parafrasando il profeta, diceva: “Impara da me che sono mite e umile di cuore”.

A consegnare la laurea nelle mani di Marisa ed  Emilio, i fratelli di don Diana,  nella commozione generale, è stato il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. “La pergamena di laurea, interamente scritta in latino – ha spiegato  il preside Don Bastianel -  porta scritto in alto “in memoria”, ricordando così che si tratta appunto di un titolo rilasciato ad “Honorem”.


Monsignor Spinillo nel suo saluto finale,  ha voluto  ringraziare la Pontificia Facoltà  per questo riconoscimento. “Noi lo accogliamo non solo come commemorazione – ha detto -  ma come un gesto che ci richiama ad un percorso da continuare nella nostra storia personale. La citazione di scritti di don Diana e il racconto di episodi di vita vissuta, dimostrano la ricchezza del suo cammino, un percorso a volte anche faticoso con cui ha risposto alla vocazione. Mi piace pensare che le citazioni bibliche fatte, tutte prese nell’ambito della profezia, annuncino che non c’è compimento nella nostra vista se non si è partecipi nell’annunzio del nuovo. Mai come nel caso di don Diana il chicco di grano che è morto, ha  generato vita nuova”.

OMICIDIO DI ATTILIO ROMANO'. CONDANNA ALL'ERGASTOLO PER MARCO DI LAURO, IL MANDANTE

Attilio Romanò

Nonostante gli sforzi del suo avvocato difensore, lo hanno condannato all'ergastolo. Questa è la pena comminata in appello Marco Di Lauro, elemento di vertice dell'omonima cosca di Secondigliano, accusato di essere il mandante dell'omicidio costato la vita ad Attilio Romanò, commesso in un negozio di telefoni cellulari, durante la faida di Scampia tra il clan Di Lauro e gli scissionisti degli Amato-Pagano a Napoli.  Attilio non c'entrava nulla con la camorra. I sicari cercavano un'altra persona

La sentenza conferma in pieno quella emessa in Corte d'Assise in primo grado. Carcere a vita anche per Mario Buono, considerato invece l'esecutore materiale del delitto. In aula ad ascoltare il verdetto anche la mamma di Attilio, Rita e la sorella Maria, insieme ad altri familiari delle vittime innocenti che hanno voluto far sentire la loro vicinanza alla famiglia Romanò presenziando al dibattimento finale nell'aula 320 del tribunale di Napoli.

L'omicidio avvenne il 24 gennaio del 2005 alla periferia di Napoli, a Miano, poco distante dal quartiere di Scampia. L'obiettivo dei killer era Salvatore Luise, nipote del boss degli scissionisti Rosario Pariante, ma nel negozio c'era solo Romanò.

L'inchiesta è nata grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno ricostruito tutte le fasi del delitto.



Buono è detenuto mentre Di Lauro è ricercato da dieci anni ed è inserito nella lista dei trenta latitante più pericolosi d'Italia.

martedì 18 febbraio 2014

UNA PIAZZA PER FEDERICO DEL PRETE A CASAL DI PRINCIPE LA CHIEDE IL "COMITATO DON PEPPE DIANA"

Una piazza da intitolare a Federico del Prete, il sindacalista degli ambulanti ucciso a Casal di principe il 18 febbraio del 2002. E’ la richiesta fatta dal “Comitato don Peppe Diana” alla commissione straordinaria del Comune, nel dodicesimo anniversario del suo omicidio. Del Prete, sindacalista dello Snaa, aveva ingaggiato una vera e propria battaglia contro il business del racket e dell’abusivismo nei mercati casertani e napoletani. Aveva fatto diverse denunce, tutte firmate di suo pugno. Il giorno dopo sarebbe cominciato il processo contro il vigile urbano di Mondragone, Mattia Sorrentino, arrestato perché accusato di riscuotere il pizzo nella fiera settimanale per conto del clan La Torre. L’aveva denunciato proprio Federico Del Prete. Il 18 febbraio di dodici anni fa, Federico del Prete stava parlando al telefono nella sede del sindacato in via Baracca. Una stanza a piano terra con una porta a vetri.  Erano da poco passate le 19,30. Poco prima alcuni commercianti ambulanti avevano lasciato il piccolo ufficio di Federico. Li voleva convincere a denunciare. La porta dell’ufficio non era chiusa. Nessuna serratura di sicurezza, nessun filtro per le presenze indesiderate. A un certo punto entrò di botto una persona dando una spinta violenta alla porta. Gli si parò davanti. Aveva in mano una pistola calibro 7,65. Federico lo guardò impietrito. Cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo a terra senza vita. Accadde tutto in pochi istanti.

L’obiettivo della camorra era stato raggiunto. Il segnale, per tutti quelli che avevano deciso di seguire Federico, era chiaro: fatevi i fatti vostri. Al processo al Vigile di Mondragone gli effetti furono immediati: tutti i testimoni dissero di non ricordare. Lo lasciarono solo anche dopo morto.

“Vogliamo fargli intitolare la piazza davanti all’ufficio dove fu ucciso, in via Baracca – spiega Valerio Taglione, portavoce del Comitato don Peppe Diana - L’obiettivo della nostra richiesta è quello di non disperdere la memoria di chi ha scritto la storia delle Terre di don Diana. Un obiettivo continueremo  a perseguire anche nei prossimi giorni, come passi di avvicinamento verso il 19 marzo, ventennale dell’omicidio di don Giuseppe Diana, prevedendo la lettura della storia di Del Prete nella sede associativa di Assovoce, in corso Umberto I a Casal di Principe, già a lui intitolata.”

Sempre per ricordare Federico del Prete, Venerdì 21 febbraio, nella sede del Teatro per la legalità, verrà presentato il libro sulla figura del sindacalista ucciso, “A testa Alta” di Paolo Miggiano.