Me lo ricordo bene quel 21 luglio del 1991,
quando fu ucciso “per caso” Angelo Riccardo. Quando per le strade di Casal di
Principe e San Cipriano di Aversa si sparava senza guardare in faccia a nessuno
e senza andare tanto per il sottile. Fu
quella morte a scatenare la reazione di un piccolo gruppo di “resistenti” e ad
osare, per la prima volta, di contrastare apertamente e pubblicamente la
camorra del Clan dei Casalesi. Non fu facile.
Mi telefonò Nicola, un amico di San Cipriano di
Aversa: “Hanno ucciso un’altra persona. Ma stavolta la vittima non c’entra
nulla. Ci dobbiamo vedere. La gente non ne può più. Anche don Peppe Diana è d’accordo”.
Era in atto la guerra di
camorra per il primato all’interno del clan dei casalesi dopo che Mario Iovine aveva
fatto fuori Antonio Bardellino, in Brasile. Da una parte il gruppo Schiavone –
Bidognetti, dall’altro il gruppo Caterino-De Falco. A Casal di Principe e San
Cipriano di Aversa si sparava e si moriva quasi ogni giorno. Tanti ragazzi
uccisi da altri ragazzi. Ogni giorno c’era la caccia all’uomo. E quel giorno il
21 luglio del 1991, Angelo Riccardo venne ucciso senza un perché. Ecco lo
scarno comunicato dell’ANSA: “Un giovane di 21 anni, Angelo Riccardo, è stato colpito
mortalmente questo pomeriggio a San Cipriano di Aversa (Caserta) da tre
proiettili sparati da tre killer che hanno aperto il fuoco nella centrale via
Roma nel tentativo di colpire il conducente di un’altra auto riuscita a
sfuggire all'agguato. La vittima insieme
a quattro amici (Massimiliano e Bruno Cirillo, quest'ultimo rimasto ferito di
striscio al capo, Ciro Tettone e Giovanni Alfiero) stava recandosi ad una
funzione religiosa di Testimoni di Geova quando è rimasto coinvolto nella
sparatoria. La ''Renault 9'' condotta dal Riccardo è stata raggiunta da decine
di colpi d'arma da fuoco che erano invece diretti ad un' altra auto che proprio
in quel momento stava effettuando un sorpasso. I proiettili vaganti hanno ferito
altri due automobilisti di passaggio, Antonio Quadrano di 21 anni che era alla
guida di una Opel e Pasquale Corvino di 21 anni, quest'ultimo con precedenti
penali per renitenza alla leva, che era fermo in una Fiat Uno a circa duecento
metri dal luogo della sparatoria. I carabinieri di Aversa stanno indagando per
scoprire quale fosse il vero obiettivo dell' agguato. A tal fine stanno controllando
negli ospedali e nelle case di cura private della zona la eventuale presenza di
pregiudicati rimasti feriti nelle ultime ore”.
Più tardi la precisazione l’ANSA
dava per certo che la vittima dell’agguato
doveva essere un’altra persona: “Angelo Riccardo é stato colpito per errore nel
corso dell'agguato di San Cipriano di Aversa. Lo hanno appurato i carabinieri i
quali hanno reso noto che obiettivo dell'agguato era invece un'altra auto con a
bordo tre o quattro persone che è riuscita con ogni probabilità a sottrarsi
alle decine di proiettili sparati dai tre killer. Angelo Riccardo, incensurato, testimone di
Geova stava recandosi insieme con altri
quattro seguaci della stessa comunità (i fratelli Bruno e Massimiliano Cirillo, di 23 e 21
anni, Ciro Tettone di 24 e Giovanni
Alfiero di 26, questi ultimi tre rimasti illesi) ad una funzione religiosa quando sono rimasti
coinvolti nella sparatoria avvenuta in
via Roma…”
Il Prefetto di Caserta, Corrado
Catenacci, portò personalmente ai parroci di Casal di Principe un messaggio di
solidarietà del Ministro dell'Interno, Vincenzo Scotti. E il 29 settembre del
1991, furono sciolti “perché condizionati dalla camorra” i consigli comunali di
Casal di Principe e Casapesenna.
La causa scatenante della lunga guerra di camorra, fu l’interruzione di
un summit dei vertici del clan dei casalesi da
parte dei carabinieri. Era il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre del 1990. A quella riunione,
che si svolgeva nella casa di un assessore del Comune di Casal di Principe,
Gaetano Corvino, mancava uno dei pezzi da novanta del clan, Vincenzo De Falco.
I sospetti di una soffiata caddero subito su di lui. Vi fu un conflitto a fuoco
e furono catturati Francesco Schiavone (Sandokan), Raffaele Diana, Francesco
Schiavone di Luigi, Giuseppe Russo, Salvatore Cantiello e Francesco Bidognetti.
Le armi da fuoco furono utilizzate per
consentire la fuga di Mario
Iovine, uno dei capi storici del clan dei casalesi. Mentre accadeva tutto
questo, l’assessore Corvino era in Municipio per una seduta di Giunta.
Per Vincenzo De Falco fu emessa una sentenza di morte
da parte dei boss della camorra casalese. La sentenza fu eseguita a Casal di
Principe il 2 febbraio del 1991. Ma
quasi un mese dopo, il 6 marzo, Mario
Iovine fu ucciso in Portogallo a Cascais.
Ad ordinarne l’uccisione fu Nunzio De Falco, per vendicare la morte del
fratello Vincenzo.
E in piena guerra tra i clan di
Schiavone-Bidognetti contro i Caterino-De Falco, ad ottobre del 1991 un corteo
di auto sfilò per le strade del paese.
L’insolita folla di persone si mosse lentamente per le strade di San Cipriano,
Casapesenna e Casal di Principe. Budelli stretti dove è già difficile passare
quando si incrociano due auto. A fianco e dietro le macchine c’erano uomini
armati di tutto punto. Alcuni erano seduti sui cofani delle auto. Erano circa le 18,00. I negozi, i bar, i circoli e tutti i locali
pubblici abbassavano le saracinesche. La gente scappava. Le tapparelle delle
finestre affacciate sulla via, si chiudevano. Le strade erano ben presto
deserte. C'era il coprifuoco. Sembrava di stare nel far west. Come quando
arrivavano all’improvviso i banditi sui cavalli per scorazzare nei saloon,
indisturbati, per rapinare banche o ammazzare persone. Qui al posto dei cavalli
c’erano le auto. Ma il clima era lo stesso. Paesi interi erano nelle mani del
clan dei casalesi. La violenza, la prepotenza avanzava indisturbata. Nemmeno un
poliziotto, né un carabiniere passò in quel momento, né intervenne dopo. Come
quando lo sceriffo nel far west si nascondeva. Fu una dimostrazione di forza
che il clan Schiavone-Bidognetti diede davanti a tutti i cittadini. Il
controllo del territorio, se ancora ce ne fosse stato bisogno dimostrarlo, era
pienamente nelle mani della camorra. Il corteo passò sotto le case degli
esponenti del clan perdente Li
provocavano, li invitavano ad uscire di casa per ammazzarli. Il tutto durò
all’incirca un'ora. Per due giorni di seguito alla stessa ora ci fu il
coprifuoco senza che nessuno lo avesse proclamato. Per le strade non si trovava anima viva. La Chiesa , ancora una volta,
scelse di non stare in silenzio.
A Natale del 1991 i parroci della Foranìa di Casal di
Principe (di cui fanno parte le parrocchie dei comuni di Casal di Principe, San
Cipriano di Aversa, Casapesenna, Villa Literno, Frignano, Villa di Briano e San
Marcellino) stilarono un documento con
il quale invitavano il popolo a
ribellarsi. Il titolo, che riprendeva un documento dei vescovi meridionali di
alcuni anni prima, era simbolicamente forte: "Per amore del mio
popolo". Cominciava con queste parole:
Siamo
preoccupati
Come battezzati in Cristo, come
pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della
nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione.
Coscienti che come chiesa
“dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima
beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del
superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio
sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
Esprimeva
un giudizio di condanna senza appello per la camorra e i suoi affiliati.
La Camorra
I camorristi impongono con la
violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre
zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma
capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che
scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto
e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani
emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali;
scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori
sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia
adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del
crimine organizzato.
Individuava nella politica
le responsabilità di una corruzione e di
una inefficienza che devastava tutte le istituzioni democratiche.
Precise
responsabilità politiche
E’ oramai chiaro che il
disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere
camorristico a tutti i livelli. La
Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle
amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e
favoritismi.
Forse le nostre comunità avranno
bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di
testimonianze, di esempi, per essere
credibili (…)
E concludeva con un appello alla mobilitazione per
ridare speranza ai cittadini:
NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO
Appello
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di
indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla
nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano
culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora
troppo assenti da queste piaghe”
Ai preti nostri pastori e
confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle
occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo
ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si
concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della
giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire
con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace... abbiamo dimenticato il
benessere... La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in
basso,... dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e
fare... sono come essenzio e veleno”.
Per la prima
volta la Chiesa
parlava un linguaggio chiaro, netto, immediato, capace di arrivare subito al
cuore del problema. Il documento fu distribuito nelle chiese. Furono
soprattutto i giovani dell'azione cattolica ad impegnarsi per la sua
diffusione. Il consenso riscontrato tra cittadini di Casal di Principe e dei
comuni limitrofi fu straordinario. La
voce della protesta varcò i confini dei paesi dov’era nata. Don Peppino Diana
cominciò a girare per le scuole della provincia e della regione. Cominciò a
portare la voce del suo popolo alle marce anticamorra. Diventò un simbolo
riconosciuto da quanti volevano combattere la camorra.
Di Angelo Riccardo e dei suoi familiari si erano “perse
le tracce”. Nel senso che anche lui, come tanti altri, era caduto nel dimenticatoio.
E quando dopo tanti anni la famiglia è stata contattata dal “Comitato don Peppe
Diana” per dare la giusta dignità anche a quella morte, la prima reazione, come
avviene sempre in questi casi, è stata di fastidio e di incredulità. Poi, anche la
famiglia di Angelo ha deciso che è giusto fare memoria del proprio congiunto e
di ricordarlo ai ragazzi delle scuole perché queste cose non accadano mai più.
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