La storia che segue è tratta dal mio libro: "Al di là della notte". Ed Tullio Pironti
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È il 1° luglio del 1982. È un giovedì come tanti. Ma non per Giuliano Pennacchio, assessore al personale del Comune di Giugliano per il Partito socialista democratico italiano. Giuliano (Giulio lo chiamavano gli amici), quarantacinque anni, faceva il segretario in una scuola media della sua città. Moglie casalinga e due figli, nella sua vita entra anche la politica. Sono gli anni del dopo terremoto, quello che ha colpito la Campania e la Basilicata il 23 novembre del 1980 e ha fatto più di tremila morti. Un terremoto che non ha risparmiato la cintura dei comuni a nord di Napoli. Città nelle città, senza soluzione di continuità, che stanno per diventare i quartieri dormitorio di Napoli. Città caotiche con palazzoni che si disperdono all’orizzonte. Anche Giugliano, tra i comuni più popolosi, è alle prese con la ricostruzione. Molte case sono state danneggiate.
La ricostruzione si presenta anche come un’opportunità. Ma è la sua gestione che risulterà più difficile del previsto. Giuliano Pennacchio si candida alle elezioni amministrative del 30 maggio 1981. Vuole dare il suo contributo nella gestione della cosa pubblica. È il secondo eletto nel suo partito. Prima di lui, arriverà un medico, Giovanni Avitabile. Sindaco fu eletto il democristiano Mario Maisto. Giuliano Pennacchio diventò uno degli assessori di quella giunta formata da tre partiti: Dc, Psdi e Pri. È un esecutivo che avrà non pochi problemi al suo interno. Il 3 dicembre, il sindaco Maisto si dimette. Primo cittadino al suo posto viene eletto nuovamente Giuliano Granata, democristiano. Il sindaco del “caso Cirillo”. Lo stesso che incontrerà i servizi segreti nel carcere di Ascoli Piceno per la liberazione dell’assessore regionale democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse.
Giuliano Pennacchio viene confermato assessore anche con il nuovo sindaco. Ogni giorno è in Comune per assolvere alla sua funzione. Sta cercando di rendere più efficienti i servizi comunali. Quasi tutta la mattinata di quel primo luglio era passata in lunghe discussioni per cercare di trovare la soluzione giusta per diverse assunzioni che erano state programmate. C’era la possibilità di assumere diverse persone come spazzini; altri nella protezione civile, medici per gli ambulatori scolastici. Tra una discussione e l’altra, si fa ora di pranzo. Gli uffici alle quattordici chiudono. Giuliano Pennacchio scende dalla sede comunale per tornare a casa. Ed è allora che entrano in azione i killer per ammazzarlo. L’assessore del Psdi sta parcheggiando la macchina fuori casa sua, in via Quattro Giornate, 2. Arrivano due killer a piedi, altri complici sono in auto. Si avvicinano a Pennacchio e sparano tre colpi di pistola calibro 38. Lo colpiscono alla testa, al torace e al fianco. Giuliano Pennacchio muore sul colpo. Stramazza a terra senza un grido.
Sarà una donna, con una telefonata anonima, ad avvisare i carabinieri di Giugliano dell’omicidio. L’allarme è immediato. Giugliano è uno dei comuni “sensibili”, tra quelli a nord di Napoli. Era entrato nelle cronache nazionali per via del suo sindaco, Giuliano Granata, uomo di Antonio Gava e intermediario scelto dalla Dc per trattare la liberazione di Ciro Cirillo. Ma qui avevano fatto capolino anche le Brigate Rosse. Scattano subito i posti di blocco. Ed è proprio una pattuglia dei carabinieri ad imbattersi in due dei killer. Forse quelli che facevano da palo per il delitto. Viaggiano su una Renault Turbo. Alla vista dei militari tentano di accelerare la marcia, ma vanno a sbattere contro un muro. I due tentano la fuga a piedi. I pochi testimoni oculari vedranno anche delle armi impugnate dai due fuggitivi.
La cronaca del quotidiano «l’Unità»: «Il contrassegno dell’assicurazione parlava chiaro. Era intestato a Rosa Orlando, moglie di Enrico Maisto, figlio di Alfredo, boss dei boss del giuglianese, ora deceduto. Acasa della donna, che ha dichiarato di aver prestato l’auto a uno sconosciuto, i CC hanno trovato, occultati in alcune “nicchie” ricavate dai battiscopa, due fucili a canne mozze, due revolver e munizioni. Enrico Maisto, invece, non c’era. Adesso è ricercato, anche se, ufficialmente, soltanto per detenzione abusiva di armi».
Sul posto arrivano i vertici di polizia e carabinieri, il capo della Digos napoletana, il dottor Filippo Ciccimarra, insieme al questore di Napoli, Walter Scott Locchi. Viene scartata subito la matrice politica dell’agguato, nonostante la vittima sia un consigliere comunale del Psdi. Le indagini sono affidate ad un giovane sostituto procuratore, Franco Roberti, che diventerà capo della Dda in Campania. La pista del delitto sembra essere quella della camorra che ha forti appetiti sui fondi del dopo terremoto. Ormai è una mattanza senza fine in tutta la Regione. I fondi previsti dalla legge 219 del 14 maggio 1981 scatenano appetiti incredibili. La violenza è all’ordine del giorno. Le bande della camorra in prima fila a tentare di condizionare la politica per cercare di ricavarne una buona fetta. Dall’inizio del 1982, in Campania, gli omicidi sono già 199. Sono 148 quelli nella sola città di Napoli.
Per l’omicidio di Pennacchio gli inquirenti prendono anche in considerazione una «vendetta personale». Ma la pista più consistente è quella che porta alla costruzione degli alloggi in località Casacelle. Dopo l’assassinio di Pennacchio, si sbloccano le licenze che erano in attesa di rilascio. Passano alcuni giorni e il primo degli eletti nel Partito socialdemocratico italiano, il medico Giovanni Avitabile, si dimette e si ritira dalla politica. L’omicidio di Pennacchio porta il terrore tra gli amministratori che per la prima volta sentono tutto il peso della carica che ricoprono.
A ricordare Giuliano Pennacchio a tanti anni di distanza è proprio l’ex sindaco, Giuliano Granata. «Giulio era un uomo mite. Una bravissima persona. Uno del popolo che il popolo amava. Era sempre disponibile con tutti. Ancora oggi che ne parlo, mi commuovo. Non me lo sono mai spiegato quell’omicidio. E, d’altronde», dice Granata, «nemmeno gli inquirenti sono mai arrivati alla verità. Ricordo che ero in vacanza ad Ischia quel primo luglio. Appena seppi della notizia, me ne tornai. Disdissi l’albergo per stare in Municipio. Quella giunta, peraltro, si reggeva su un solo voto di maggioranza, 21 a 20.
Furono momenti abbastanza difficili. Ad un certo punto tememmo che l’omicidio di Giulio fosse un avvertimento per tutti noi amministratori. Cercai di attivare tutte le mie conoscenze per capire. Ma è rimasto sempre un mistero. Giuliano era per me più che un amico. Mi feci in quattro per aiutare la sua famiglia, che conoscevo bene. Tra l’altro il mio autista era il cognato di Pennacchio. Per fortuna riuscii ad assumere la prima figlia, Anna, come dipendente comunale». Di Giuliano Pennacchio in tanti si dimenticheranno in fretta. Quello che resta è il dolore della famiglia. Della moglie e dei due figli, che oggi lavorano entrambi al Comune di Giugliano. Giuliano Pennacchio è stato riconosciuto vittima della criminalità.
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