lunedì 28 maggio 2012

UNA FARFALLA DI MAGGIO. SIMONETTA LAMBERTI, UCCISA 30 ANNI FA

Esattamente trent'anni fa, la piccola Simonetta Lamberti fu uccisa in un agguato camorristico. L'obiettivo era il padre, il magistrato Alfonso Lamberti. Gli assassini ancora non si conoscono, anche se c'è un collaboratore di giustizia che sta rivelando nuove notizie su questa vicenda. Inutile dire quanto è mancata e quanto manca ai suoi cari la piccola Simonetta. Ma manca anche a tutti coloro che l'hanno conosciuta nel tempo attraverso gli scritti della sorella Serena; della mamma Angela e del padre, Alfonso. Stamani si intitola una strada a Simonetta nel Comune di Marano, con una manifestazione pubblica dove, tra gli altri, interviene anche don Luigi Ciotti, presidente di Libera.

Noi la vogliamo ricordare raccontando la sua storia, tratta dal mio libro: "Al di là della notte" (ed. Tullio Pironti)

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Faceva caldo. Faceva davvero caldo quel 29 maggio del 1982. Il sole cocente annunciava che l’estate era vicina. La natura completava il suo ciclo e portava bellezza e vigore ai fiori della Costiera. Simonetta aveva chiesto tante volte a suo padre di portarla al mare. Ma era sempre indaffarato con il suo lavoro di magistrato. Alfonso Lamberti all’epoca era procuratore capo a Sala Consilina e aveva sempre poco tempo per lei. Quel giorno, invece, tornò prima dal lavoro. E al mare il papà ce la portò per davvero. Simonetta aveva ancora i compiti da fare. Guardò la mamma con uno sguardo interrogativo. Come per dire: «Posso andarci anche senza aver fatto i compiti?».

La mamma, Angela, capì e annuì. «I compiti puoi farli anche al ritorno», le rispose. La bambina lasciò i quaderni ancora aperti sul suo banchetto e indossò il costumino giallo dell’anno precedente, mentre la mamma preparava la borsa per il mare. Poco dopo Simonetta era già nella Bmw col padre, alla volta di Vietri sul mare. Da Cava de’ Tirreni a Vietri sono solo cinque chilometri. Con l’auto al massimo ci si mette quindici minuti. A quell’ora, poi, subito dopo pranzo, non c’era proprio nessuno per strada. Simonetta Lamberti aveva dieci anni. Non sapeva che quel giorno sarebbe stato anche l’ultimo della sua vita. Sulla spiaggia c’era poca gente. L’ideale per divertirsi insieme al suo papà come da tempo non faceva. Giocava a fare i tuffi in acqua e si rincorrevano proprio come due bambini. Poi, distesi sugli asciugamani sotto il sole di fine maggio, come a rinfrancarsi del tempo spensierato passato insieme. E quando il sole cominciò ad allontanarsi, ripartirono verso casa. Sarebbero arrivati davvero in pochi minuti. Simonetta si era stancata. Col braccino fuori dal finestrino, provò a chiudere gli occhi, come per dormire nonostante il tragitto da fare fosse breve.

Arrivarono a Cava che erano circa le sedici e trenta. Fu allora che si materializzò la morte. Qualcuno li stava seguendo. Qualcuno che teneva d’occhio il papà magistrato a Sala Consilina. Qualcuno che probabilmente li aveva spiati anche sulla spiaggia di Vietri. Ma né il papà, né Simonetta si erano accorti di niente. All’incrocio tra via Libertà e via della Repubblica un’Audi affianca la Bmw del magistrato. È un attimo. Dalla macchina sparano otto colpi con una pistola P38. Due arrivano a segno. Colpiscono Alfonso Lamberti alla spalla destra e alla testa. Ma uno dei proiettili rimbalza e colpisce Simonetta proprio alla testa. La bambina è ancora appisolata e non s’accorge di cosa accade in quei momenti attorno alla Bmw. L’Audi sgomma e sparisce a tutta velocità. La Bmw è ferma. Accorre gente. La macchina è piena di sangue. È il sangue di Simonetta e del suo papà. Alfonso urla: «Simonetta, Simonetta, svegliati! Piccina mia... Cosa ti hanno fatto!?». Impreca, chiama tante volte per nome la figlia come per svegliarla. Il dramma si consuma sotto i suoi occhi. È incredulo. Poco dopo vengono soccorsi e portati in ospedale a Cava. I medici si renderanno subito conto che la bambina è grave. È stata colpita al cervello. Viene trasferita al Cardarelli a Napoli. Verrà operata d’urgenza. Un tentativo disperato che faranno i medici per cercare di recuperarla alla vita. Ma risulterà vano. Dopo alcune ore trascorse in sala operatoria, Simonetta muore.

Alla mamma, che nel frattempo era arrivata a Napoli per starle vicino, lo faranno capire a poco a poco che la bambina non ce l’ha fatta. Angela Procaccini è disperata. Piange. Soffoca dentro di sé la sua rabbia. Il dolore non ce la fa ad uscire. Resta dentro, come a divorare tutta la sua anima. Un pezzo di sé è andato via. Rischia di portarsi anche lei dietro. I familiari che sono con Angela in ospedale le si stringono intorno. La mamma non vuole crederci. Non può crederci che la sua Simonetta non tornerà più a casa. Che non vedrà più il mare. Che quello è stato il suo ultimo giorno di vita. Aveva tanto tempo davanti a sé per spiccare il volo. Aveva ancora tanti giorni per andare al mare col papà e giocare a fare i tuffi. Ma come una farfalla nel mese di maggio, il destino ha voluto che vivesse solo un giorno di gioia e spensieratezza in quell’estate che si annunciava col sole cocente. Ora non si divertirà più. Non correrà più. Non danzerà più, non riderà più, non ci sarà più. Simonetta sarà solo un ricordo che vivrà attraverso le cose che ha posseduto.
La notizia dell’agguato al giudice Alfonso Lamberti e della morte della sua bambina si diffonde in un baleno. Si parla di un attentato della camorra per uccidere il magistrato. Quella è la pista che seguono gli inquirenti anche se sanno che il giudice era già finito nel mirino delle Brigate Rosse. C’è un testimone che si fa avanti. Era sul luogo dell’attentato e collaborerà con gli inquirenti. Dice di aver riconosciuto l’autista del commando. Ma le indagini non sono semplici. Saranno tre gli indagati rinviati a giudizio. Il quotidiano «la Repubblica» del 17 gennaio 1986 scrive: «Tre presunti camorristi – Francesco Apicella, di 30 anni, di Tramonti (Salerno), Carmine Di Girolamo, di 32, di Aversa (Caserta) e Salvatore Di Maio, di 28, di Nocera Inferiore (Salerno) – sono stati rinviati a giudizio dall’ufficio istruzione del tribunale di Salerno, con l’accusa di essere i responsabili dell’agguato al sostituto procuratore della Repubblica di Sala Consilina, Alfonso Lamberti, nel quale fu uccisa la figlioletta del magistrato, Simonetta, di 10 anni. [...]. Dall’udienza di rinvio a giudizio è emerso che subito dopo il delitto, mentre gli assassini fuggivano, l’Audi a bordo della quale viaggiavano fu “incrociata” da una automobile sulla quale si trovavano tre persone, una delle quali riconobbe Apicella. La responsabilità dei tre sarebbe provata anche dalle dichiarazioni di alcuni camorristi».

Sul quotidiano «la Repubblica» del 4 febbraio ’87 c’è anche la cronaca del processo: «Il pubblico ministero, Leonida Martusciello, aveva chiesto la condanna all’ergastolo di De Maio, indicandolo quale mandante dell’assassinio, di Apicella e di Di Girolamo, ritenuti gli esecutori materiali. Il pm aveva indicato il movente nella vendetta da parte di Raffaele Catapano nei confronti del dottor Lamberti, che nel corso delle indagini sul sequestro del banchiere Mario Amabile, avvenuto a Vietri sul Mare il 2 novembre del 1977, indusse uno dei sequestratori, Biagio Garzione, alla confessione». Ma la sentenza sarà di condanna solo per uno di essi. La corte emette il verdetto dopo quasi dieci ore di camera di consiglio. Condannerà all’ergastolo Francesco Apicella, riconosciuto da un testimone alla guida dell’auto che attentò al magistrato e a sua figlia Simonetta. Mentre sono assolti per insufficienza di prove Salvatore Di Maio e Carmine Di Girolamo, ritenuti due esponenti della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. In Cassazione non ci sarà più nessun colpevole.

Il papà di Simonetta, Alfonso Lamberti, non sa darsi pace. I sensi di colpa lo assalgono. Si sente responsabile della morte della figlia. Alfonso Lamberti negli anni successivi verrà coinvolto in un blitz anticamorra. Viene arrestato il 18 maggio del 1993, in seguito alle rivelazioni di alcuni pentiti. È accusato di aver favorito i camorristi quando dirigeva la sezione misure di prevenzione della Corte di Appello di Napoli. In carcere tentò anche il suicidio. Voleva portarsi dentro la tomba tutto il suo dolore. Finanche quel senso di colpa per la morte della figlia che non l’ha mai abbandonato. Ora scrive libri su quel tragico evento, come per darsi pace. Forse per elaborare un lutto che non ha mai superato. Nei suoi libri Alfonso Lamberti continua a parlare con Simonetta come se fosse ancora viva. Le racconta di tutto attraverso «prosa e poesia, sogno e memoria», come scrive Gore Vidal nella prefazione del suo ultimo libro. Ma traspare in tutti i suoi scritti il senso di angoscia che si porta dentro e che gli fa chiedere continuamente perdono per quella vita spezzata da altri, e di cui si sente il solo responsabile, fino ad autodefinirsi «il boia» della figlia. Il papà di Simonetta è come se avesse avuto una condanna a vivere senza la sua bambina. Una condanna che probabilmente lo accompagnerà fin dentro la tomba.
E non c’è condanna peggiore di quella di sentirsi responsabile della morte dei propri figli. «[...] raccogli nelle tue mani il mio perdono per essermi comportato da padre negletto!», scrive Alfonso Lamberti nel libro Camorra, mafia, brigate rosse? L’omicidio di Simonetta Lamberti, edizioni Graus. «Dovevo nasconderti agli occhi degli assassini, dovevo sapere che, anche tu, eri vittima predestinata all’olocausto. Non avrei dovuto ignorare che vicino a me, con me, andavi contro la fatalità, nel momento stesso in cui ti avevo invitato a “scendere” al mare, a salire sulla mia auto non blindata, quando ti avevo lasciata sola sul lido deserto della marina, quando… quando… quando…». Il papà le chiede anche di più: «Non cercare di rialzarmi dalla polvere in cui mi prostro, non sollevare la mia pesante croce; ascolta, senza lacrime, le mie urla, si perdono nelle notti angoscianti; raccogli, con un benevolo sorriso, con uno sguardo ammiccante, a piene mani, senza respingerlo, il mio strazio, le mie turbolenze psichiche. Ti chiedo, ancora una volta: “perdono”, perdona un padre sciagurato, perdona il tuo boia; andrò più sereno incontro alla morte, mi farò accompagnare dal prete, mio confessore, il quale ripeterà l’ultimo mio desiderio: “Abbi pietà, Signore, di questo carnefice”».

ASimonetta hanno intitolato lo stadio comunale di Cava de’ Tirreni, un’aula della Pretura, strade, scuole, premi scolastici. La ricordano in tanti quella «farfalla di maggio» che non volerà più.

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