La
vernice rossa spruzzata sul marciapiede, con accanto due mazzi di fiori. E le
corone di Comune e Regione appoggiate al muro. È stato ricordato così anche
quest'anno l'imprenditore palermitano Libero Grassi, ucciso il 29 agosto di 21
anni fa in via Alfieri da Cosa nostra per essersi opposto al pizzo. La figlia
Alice ha incollato, come fa da vent'anni, un manifesto scritto a mano su cui si
legge: «Qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso,
ucciso dalla mafia, dall'omertà dell'associazione degli industriali,
dall'indifferenza dei partiti, dall'assenza dello Stato». Presente la vedova
dell'imprenditore, Pina Maisano Grassi, i figli Davide e Alice, il Procuratore
nazionale antimafia Pietro Grasso, il Prefetto Umberto Postiglione, il sindaco
di Palermo, Leoluca Orlando, gli assessori regionali Andrea Vecchio e Marco
Venturi, l'ex assessore Giosuè Marino e altri rappresentanti delle istituzioni.
Una cerimonia sobria, alla presenza anche dei giovani di Addiopizzo che
indossavano la maglietta dell'associazione.
Libero
Grassi ebbe il coraggio di pubblicare una lettera “al Caro estortore” sul
Giornale di Sicilia il 10 gennaio del 1991.
Si espose ulteriormente con la sua partecipazione a trasmissioni
televisive come “Samarcanda” dove amplificò ulteriormente le sue denunce,
invitando anche altri imprenditori a ribellarsi alla mafia. Ecco il testo della
lettera apparsa sul Giornale di Sicilia.
“Caro
estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“
Il giorno dopo la sua morte, sulle pagine Corriere della Sera apparve una nuova
lettere di Libero Grassi:
“La “Sigma”
è un’azienda sana, a conduzione familiare. Da anni produciamo biancheria da
uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in
tutta Europa. Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro giro
d’affari è pari a 7 miliardi annui. Evidentemente è stato proprio l’ottimo
stato di salute dell’impresa ad attirare la loro attenzione. La prima volta mi
chiesero i soldi per i “poveri amici carcerati”, i “picciotti chiusi
all’Ucciardone”. Quello fu il primissimo contatto. Dissi subito di no. Mi
rifiutai di pagare. Così iniziarono le telefonate minatorie: “Attento al
magazzino”, “guardati tuo figlio”, “attento a te”. Il mio interlocutore si
presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. Gli risposi di non
disturbarsi a telefonare. Minacciava di incendiare il laboratorio. Non avendo
intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al “Giornale di Sicilia” che iniziava così: “Caro estortore…”.
La mattina successiva qui in fabbrica c’erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell’azienda chiedendo loro protezione. Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere “ispettori di sanità”. Fuori però c’era l’auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del “pizzo”, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice. Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell’Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una “tamurriata” come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al “Giornale di Sicilia” che iniziava così: “Caro estortore…”.
La mattina successiva qui in fabbrica c’erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell’azienda chiedendo loro protezione. Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere “ispettori di sanità”. Fuori però c’era l’auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del “pizzo”, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice. Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell’Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una “tamurriata” come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche.
Ma anche a queste mie proposte il
direttore dell’Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto no,
sostenendo che costerebbe troppo. Non credo però si tratti di un problema
finanziario, è necessaria una volontà politica. L’unico sostegno alla mia
azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana.
Devo dire di aver molto apprezzato l’iniziativa SoS Commercio che va nella
stessa direzione della mia denuncia. Spero solo che la mia denuncia abbia
dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare. Non ho mai
avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho fatto. La decisione
scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991)
che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la “protezione” ai
boss mafiosi, è sconvolgente. In questo modo infatti è stato legittimato con il
verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. Così come la resa delle
istituzioni e le collusioni. Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il
verso giusto. Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più
scandaloso delle scarcerazioni dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di
niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un
vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi. E quelli che
come me hanno invece cercato di ribellarsi? Ora più che mai le Associazioni
imprenditoriali che non si impegnano sinceramente su questo fronte vanno messe con
le spalle al muro. La risposta infatti deve essere collettiva per
spersonalizzare al massimo la vicenda.
Nessun commento:
Posta un commento