Joe Petrosino, partì da Padula per trovare fortuna in America, ed è diventato il più famoso dei poliziotti italiani d'oltreoceano. E' ancora oggi ricordato negli USA come un martire nella lotta contro il crimine organizzato.
La storia che segue, è tratta dal mio libro "Al di là della notte", ed. Tullio Pironti
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Quattro piccole stanzette. Si aprono una nell’altra dopo aver salito alcune scale nel centro storico di Padula. Si entra in un mondo che sembra rimasto intatto come qualche secolo fa. Alzando lo sguardo si vedono case incastonate nella roccia. Rifugi di pastori. Piccole finestre con le luci accese che si animano di ombre come nei presepi viventi. È qui che il 30 agosto 1860 nacque Giuseppe Petrosino. Dentro la casa, il letto, la culla, la valigia di cartone, la cucina, le travi di legno del soffitto. Gli arredi e gli ambienti sono rimasti quasi uguali. Il tempo in queste stanze ha le lancette ferme. Appese ai muri le foto sbiadite, gli articoli di giornale, le onorificenze. Sembra di vederlo ancora in questi piccoli ambienti il piccolo Giuseppe, mentre corre da una stanza all’altra.
Ci visse fino a tredici anni, fino a quando, nel 1873, insieme al padre Prospero, ed a tutta la famiglia, partì per l’America su uno di quei bastimenti che imbarcavano migliaia di persone. Carnai galleggianti che facevano viaggiare anche i sogni degli italiani che guardavano all’America come alla terra dove tutto è possibile. Le poche notizie che arrivavano dagli emigranti, passavano di bocca in bocca: «In America si può diventare anche ricchi. Ci sono tante occasioni per fare soldi». Ma, una volta arrivati nel “Nuovo Mondo”, non tutti ce la facevano. Diventare ricchi significava lavorare sodo. Anche per questo, non tutti stavano sempre dalla parte giusta, quella della legalità. Il padre di Petrosino negli Stati Uniti va a fare il sarto. Il mestiere che faceva anche a Padula. E come tutti gli artigiani di Little Italy è taglieggiato dagli altri connazionali.
Qui la malavita ha anche un nome americanizzato, «Black hand», la Mano Nera, perché quando inviava lettere anonime per chiedere il pizzo le firmava con un’immagine di una mano di colore nero. Pur di sopravvivere il papà di Petrosino si adattò e pagò il pizzo. Giuseppe, che qui tutti chiamavano Joe, per aiutare la famiglia si mette a fare lo strillone. Vende giornali per tutta Little Italy. Poi fa anche il lustrascarpe davanti alla centrale di polizia. Conosce molti agenti che passavano da lui per farsi pulire le scarpe. Presenta la domanda di arruolamento. Vuole diventare poliziotto. Fare il poliziotto è stato sempre il suo sogno. Ce l’aveva nel sangue. Conosceva a memoria già tutti i gradi della polizia. Ma la domanda di assunzione viene respinta. Joe, allora, non si dà per vinto. La ripresenta più di una volta, ma è sempre la stessa storia. Il risultato finale non cambia. C’è sempre qualcosa che gli sbarra la strada. Riesce, però, a farsi assumere come spazzino nel dipartimento di polizia. Anche così si rivelerà una pedina importante nella prevenzione del crimine. Per strada si riescono a sapere molte cose. I poliziotti lo utilizzano come informatore.
Joe, però, non demorde dai suoi obiettivi. Vuole diventare poliziotto a tutti gli effetti. «In quegli anni», racconta il pronipote Nino Melito, che a Padula conserva gelosamente la sua memoria, «il Dipartimento è in mano agli irlandesi. E solo immaginare un italiano con la divisa è un sogno». Nel suo quartiere, intanto, la Mano Nera mette radici. Vito Cascio Ferro, piccolo boss di origine siciliana, venuto insieme a Joe in America, controlla tutta la malavita. Nel frattempo Joe si guadagna la fiducia della polizia con un episodio singolare: armato della sola scopa da spazzino, salva il Capo della Polizia da un attentato. Finalmente il sogno di Joe si avvera. Viene assunto come poliziotto nel 1883. Avrà una carriera straordinaria grazie alla sua grinta e alla sua intelligenza nel contrastare il crimine.
Per lui c’è l’appoggio incondizionato di un assessore alla polizia, Theodore Roosevelt, lo stesso che poi diventerà presidente degli Stati Uniti. Roosevelt lo nomina prima sergente, poi detective, infine tenente. Una carriera rapidissima, grazie alle sue doti innate di investigatore. Petrosino nel 1905 riesce ad ottenere anche una squadra formata da poliziotti tutti italiani, l’Italian Branch. L’ideale per capire la malavita italiana e combattere la Mano Nera. Il suo obiettivo è quello di prendere il capo della criminalità italiana, Cascio Ferro. Sarà come una sfida personale. Il duello dura anni. Petrosino viene in Italia per continuare le sue indagini. Passa dai suoi familiari a Padula. Sarà anche l’ultima volta che incontrerà il fratello Michele. La visita doveva avvenire in gran segreto.
I giornali, invece, ne parleranno abbondantemente. Lo tradirà qualcuno a lui molto vicino. Petrosino avrà dei sospetti che confiderà al fratello. Ma non farà in tempo a scoprire il traditore. E così il grande investigatore, il poliziotto di Padula, Joe Petrosino, proprio quello in cui si rivedevano tutti gli italiani onesti, viene ucciso a Palermo il 12 marzo 1909. Accade tutto alla fermata del tram di piazza Marina, alle 20,45, quando arrivano tre uomini armati. Sapevano di trovarlo lì. La soffiata era giusta. Non perdono tempo. Appena lo individuano, lo circondano e da vicino sparano quattro colpi davanti a decine di testimoni. Uno andrà a vuoto. Altri tre lo raggiungono in punti vitali: al volto, alle spalle e alla gola. Per Petrosino non c’è scampo. I killer scappano facendosi largo tra la folla spaventata dagli spari. Joe è a terra. Rantola. Perde sangue dalla bocca. Qualcuno si avvicina. Lo riconosce. Grida: «È Petrosino, è Joe Petrosino, il poliziotto che arresta quelli della Mano Nera». Petrosino muore quasi subito. Finisce così, in una piazza affollata del centro di Palermo, la vita e la carriera del poliziotto italoamericano cacciatore di mafiosi. Ma in quel momento nasce anche un mito: quello del poliziotto che aveva osato sfidare la mafia. Il mandante dell’omicidio, molto probabilmente, fu il capo della Mano Nera, Vito Cascio Ferro. Ma nessuno è stato mai in grado di provarlo.
Con la morte di Joe Petrosino la mafia siciliana diventa più potente. Il governo americano mise una taglia di 10.000 lire, per chi avesse fornito utili informazioni sui mandanti e gli assassini. Ma non ne arriveranno mai. I funerali di Joe Petrosino si svolsero a Palermo il 19 marzo, poi la salma fu reclamata da Theodore Roosevelt, presidente degli Usa, dove il 12 aprile del 1909, si svolsero i secondi solenni funerali con gli onori di un capo di Stato. Dietro il feretro sfileranno circa 250 mila persone. Un numero enorme di cittadini, segno della popolarità e della riconoscenza del popolo americano nei confronti di Joe Petrosino. Il console americano a Palermo, quando seppe della morte di Petrosino, telegrafò al governo degli Stati Uniti questo testo: «Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire».
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