L’articolo che segue
è tratto dal mio libro “COME NUVOLE NERE” (Melampo editore)
“Qui Brigate rosse.
Un nucleo armato dell’organizzazione ha giustiziato l’assessore regionale Dc al
Bilancio e alla Programmazione, Giuseppe Amato”. È il 19 maggio del 1980, la
rivendicazione arriva puntuale con una telefonata all’agenzia Ansa poco dopo l’agguato
a Pino Amato, esponente di punta della Democrazia cristiana campana. Amato, 49
anni, vicino alla corrente andreottiana, viene crivellato di proiettili all’interno
di una Fiat 131 alle 9,40, in vico Alabardieri. L’autista dell’assessore regionale,
Ciro Esposito, reagisce ai terroristi e spara ferendone uno. Dopo un conflitto
a fuoco per le strade della città, vengono catturati quattro esponenti della
colonna napoletana delle Br: Bruno Seghetti, Maria Teresa Romeo, Salvatore
Colonna e Luca Nicolotti (…)
(...) Pino Amato esce
dall’edificio in cui abita con la famiglia, in via Chiaia 145, un palazzo
nobiliare dove ci sono anche gli appartamenti dello stilista Mario Valentino,
del gallerista Lucio Amelio e di un giovane regista, Mario Martone. Poco dopo
l’auto con a bordo l’assessore regionale comincia il solito tragitto per
raggiungere il palazzo della Regione, a Santa Lucia. Quella mattina all’altezza
di vico Alabardieri, nei pressi del ristorante “Umberto”, una Fiat 500 blu
blocca il traffico. Alla guida una donna che cerca di fare manovra per
parcheggiare, ma non vi riesce. Anche la Fiat 131 interrompe la sua marcia
verso la Regione. All’improvviso, la ragazza scende dall’auto e si avvicina a
quella dove viaggia Pino Amato. Con lei anche un giovane sui trent’anni che
indossa impermeabile e occhiali neri. La donna, invece, indossa un giubbotto scuro
e porta con sé una enorme borsa. Si avvicina e scruta dentro la Fiat 131,
guardando dritto negli occhi Pino Amato: “È lui, è proprio lui”, dice con
decisione. L’uomo con l’impermeabile estrae una grossa pistola con un
caricatore bifilare e preme il grilletto. Spara ma non si odono rumori perché
l’arma, una Beretta da guerra, è stata modificata, ha un silenziatore ricavato
da un gonfiatore di bicicletta imbottito di lana di vetro. Colpisce da vicino l’assessore.
Più di dieci colpi, in fronte, sulla tempia, sullo sterno, nell’emitorace sinistro.
Pino Amato muore subito (…)
(…) “A Napoli i morti
non si seppelliscono mai. Le persone per affetto finiscono per fare peggio. Ma
del dolore della mia famiglia e di quello di gente come me, non importa niente
a nessuno. Mio padre – dice con amarezza il figlio Arnaldo – è stato dimenticato. Il suo
esempio di uomo politico e amministratore locale è stato letteralmente rimosso
dalla memoria collettiva.(…)”
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