In questo blog, che ho chiamato “Dalla parte delle vittime”, racconterò storie e percorsi umani di vittime innocenti della criminalità organizzata e dei loro familiari. Delle iniziative per non dimenticare, del loro coraggio e di come hanno saputo trasformare la loro tragedia in un impegno collettivo per cambiare in meglio la nostra società (raffaele sardo 20.7.2011).
martedì 27 settembre 2011
DON CIOTTI A CASTEL VOLTURNO IL 1° OTTOBRE PER LA MOZZARELLA DELLA LEGALITA'
lunedì 26 settembre 2011
MADDALENA ROSTAGNO: " CHIEDO LA VERITA' SUL DELITTO DI MIO PADRE"
E' stato presentato a 'Casa Natura', nel parco della Favorita di Palermo, il libro 'Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno', scritto da Maddalena Rostagno e Andrea Gentile (edizioni Il Saggiatore). All'iniziativa, introdotta da Bice Agnello e organizzata in collaborazione con la libreria 'Modus Vivendi', erano presenti gli autori. Durante la manifestazione sono stati letti alcuni brani del volume ed eseguita una colonna sonora scelta dalla figlia del giornalista ucciso il 26 settembre di ventitre' anni fa. ''Nella nostra vita la musica e' sempre stata importante - spiega Maddalena Rostagno - non a caso il nome di Saman, (la comunita' di recupero dei tossicodipendenti fondata nel Trapanese) in sanscrito significa canzone''. ''La lotta alla mafia e' gioia di vivere'', sosteneva Rostagno, ''soprattutto per questo il sociologo venne ucciso - scrive Michele Serra nella prefazione del libro - perche' la mafia odia chi e' cosi sfacciatamente migliore di lei''. Il volume racconta con una ricostruzione minuziosa gli anni della militanza, le denunce, i depistaggi, fino all'infamante accusa di attribuire l'omicidio alla compagna Chicca Roveri, finita in carcere a san Vittore il 22 luglio del 1996. ''La pista mafiosa viene frettolosamente abbandonata per farlo apparire un 'delitto di corna''', ricorda la figlia. ''Perche' la gente dovrebbe ribellarsi alla mafia ?'' - chiede in un'intervista del 29 settembre 1988 il procuratore della Repubblica Antonino Coci - ''la mafia qui ha portato soldi, benessere, lavoro e tranquillita' ''.
Di colpo svaniscono le coraggiose denunce fatte da Mauro Rostagno dai microfoni dell'emittente trapanese Rtc sugli affari sommersi di una provincia che in quegli anni contera' 120 finanziarie, 150 istituti di credito e 89 sportelli bancari, con una percentuale superiore a tutta Italia. ''Per anni ho cercato di dimenticare, non ho letto le carte giudiziarie e ho chiuso gli occhi - racconta Maddalena - L'unica cosa che volevo non potevo riaverla''. Poi, pero', la voglia di verita' prevale, Maddalena incontra don Ciotti e il gruppo Abele. ''Di notte studiavo le carte giudiziarie. Come da giovani si imparano a memoria le poesie di Leopardi o Ungaretti, per me si aprivano citazioni ben piu' aspre; imparavo le parole pronunciate dai mafiosi, assorbivo il linguaggio giudiziario, freddo e respingente''. Per ottenere giustizia promuove insieme all'associazione 'Ciao Mauro' una raccolta di firme: in meno di un anno ne arrivano 10mila. A 23 anni dalla morte il processo viene aperto, Maddalena ricorda l'emozione alla vista della piazza di Trapani invasa da persone e associazioni che si sono costituite parte civile (9 richieste verranno accolte, 13 respinte).
Fonte: ANSA
IL SENATO RICORDA I MAGISTRATI SAETTA E TERRANOVA E IL MARESCIALLO MANCUSO
MOTORADUNO IN MEMORIA DI VINCENZO LIGUORI
Si è svolto ieri a Pollena Trocchia il “Memorial Vincenzo Liguori”, un motoraduno per ricordare il meccanico ucciso il 13 gennaio di quest’anno nella sua officina a san Giorgio a Cremano. L’evento è stato promosso dall'associazione Onlus ''Liberi Pensieri”. Vincenzo Liguori stava cambiando l’olio ad un motorino quando arrivarono dei killer per ammazzare un’altra persona che in quel momento si trovava nella sua officina. Aveva 57 anni e una passione in particolare: la moto. Anche per questo i suoi amici hanno voluto ricordarlo proprio con un raduno di moto d’epoca nella città dove abitava: Pollena Trocchia. La figlia, Mary, che fa la giornalista per il quotidiano “Il Mattino” e si occupa proprio della cronaca, quella fredda sera di gennaio scoprì per caso che “il morto” che la redazione aveva segnalato e del quale doveva occuparsi per un articolo, era proprio suo padre. Una choc di cui diede testimonianza con un articolo pubblicato dopo alcuni giorni proprio sul MATTINO. «… sto vivendo un incubo, il peggiore degli incubi» E aggiungeva «Mi chiedo se vale ancora la pena lottare. Ma un secondo dopo mi rispondo che sì, vale la pena. Devo farlo per mio padre, per mio marito che il suo papà l’ha perso appena un anno fa, per i miei fratelli. E per mia madre che, tramite me, vi dice: “Chi ha visto, parli”».
venerdì 23 settembre 2011
NANNI (PD): "UNA STRADA PER SIANI ANCHE A ROMA"
giovedì 22 settembre 2011
I VINCITORI DEL PREMIO GIANCARLO SIANI
Il primo premio "GIANCARLO SIANI 2011", è stato assegnato al libro «Insegnare al re di Danimarca» edizioni Sellerio, di Carla Melazzini, recentemente scomparsa. Il libro racconta le storie dei ragazzi che hanno partecipato al progetto Chance. A ritirare il premio, il marito Cesare Moreno.
Il secondo premio è stato assegnato al libro di Marco De Biase «Come si diventa camorristi»
Una menzione speciale della giuria, composta Assostampa della Campania, Associazione Siani, Ordine dei giornalisti, Università Suor Orsola Benincasa e Il Mattino, è andata al fumetto «Il Mistero del pescatore« di Giulio Gargia, Tommaso Vitiello, Paco Desiato e Nico Piro. Una pubblicazione che racconta la cronaca dell'omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo., ammazzato il 5 di settembre di un anno fa.
Per la categoria fumetto, il Premio Siani è andato a «Giancarlo Siani, è lui che mi sorride». di Alesssandro Di Virgilio ed Emilio Lecce.
Per la categoria premio tesi di laurea, il riconoscimento è andato a Eleonora Bertolino con il lavoro «Il racconto della camorra dei giornali di Napoli dal 1861 al 1920». Un lavoro meticoloso di studio e di approfondimento del tema che l'Associazione Siani pubblicherà sotto forma di libro.
Per la Fotografia vincitori sono risultati un gruppo di fotogiornalisti partenopei che utilizzeranno il premio premio a favore di attività per i giovani fotoreporter. Le borse di studio dell'Università Suor Orsola sono state assegnate a Jessica Mariano Masucci ed Enrico Parolisi.
MESSAGGIO DI FINI PER GIANCARLO SIANI: "GRAZIE A LUI ITALIANI PIÙ LIBERI"
mercoledì 21 settembre 2011
DOMANI SI ASSEGNA IL "PREMIO GIANCARLO SIANI"
STRAGE DI USTICA. I GIUDICI: "LA CAUSA FU MISSILE O COLLISIONE"
martedì 20 settembre 2011
VIA A CANONIZZAZIONE GIUDICE LIVATINO ASSASSINATO DALLA MAFIA 21 ANNI FA
PREMIO "CAMILLO CAVOUR" ALLA MEMORIA DI ANGELO VASSALLO. NAPOLITANO: "UOMO INTEGRO E ONESTO"
RICORDATA A NAPOLI TERESA BUONOCORE UCCISA UN ANNO FA
La Fondazione Polis della Regione Campania, in collaborazione con l'associazione Libera e il coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità, ha ricordato oggi Teresa Buonocore, uccisa la mattina del 20 settembre 2010. La donna, 51 anni di Portici, si era costituita parte civile nel processo a carico di Enrico Perillo, un geometra di 53 anni di Portici, condannato in primo grado a 15 anni di reclusione per violenza sessuale ai danni di tre minorenni, tra cui anche una delle due figlie di Teresa. Dalle indagini degli inquirenti sembra che ad armare la mano dei sicari sia stata proprio la sete di vendetta contro la donna. Gli esecutori materiali dell’omicidio delitto furono, secondo i PM, Alberto Amendola e Giovanni Avolio, che avrebbero agito su mandato di Perillo con la promessa di un compenso di 15mila euro. La sentenza contro i due processati tramite rito abbreviato, dovrebbe arrivare il prossimo 14 ottobre. Presso il Ponte dei Francesi a Napoli, teatro dell'omicidio, è stata posta una corona di fiori. Dopo la preghiera si è svolto un incontro di riflessione presso la sede della Fondazione Polis, con l'intervento dell'assessore per i rapporti con le autonomie locali della Regione Campania, Pasquale Sommese, il sindaco di Portici e presidente dell'Anci Campania, Vincenzo Cuomo, il vicepresidente del Consiglio comunale di Napoli, Elena Coccia, già legale di Teresa Buonocore nel processo che ha registrato la condanna di Perillo in primo grado a 15 anni di reclusione, e il presidente nazionale di Libera, don Luigi Ciotti. Presenti anche i familiari di Teresa Buonocore e una delegazione dei familiari delle vittime innocenti della criminalità.
«Nell'anniversario del barbaro omicidio di Teresa Buonocore ha inizio anche il processo d'appello per pedofilia nei confronti del mandante del delitto di questa donna coraggiosa. La Buonocore aveva denunciato l'uomo accusato di aver abusato di una delle sue figlie ed è stata uccisa proprio per questo motivo». Così il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro. «Mi aspetto oggi - aggiunge Cesaro - che la giustizia faccia il suo corso con celerità ed estremo rigore e che presto si arrivi alle condanne nei confronti del mandante così come degli esecutori materiali. Nella nostra Città c'è bisogno di segnali chiari e inoppugnabili: certi crimini non meritano pietà».
FAMILIARI VITTIME: GOVERNO CONTRO VITTIME TERRORISMO
lunedì 19 settembre 2011
PAOLO SIANI, IL RICORDO DI GIANCARLO HA IL SENSO DEL RISCATTO
Oggi, 19 settembre 2011, Giancarlo Siani avrebbe compiuto 52 anni. Avrebbe festeggiato questa giornata sicuramente con i suoi amici, Con suo fratello Paolo e, forse, con la moglie e i suoi figli. La sua vita, invece, è stata spezzata il 23 settembre del 1985, 26 anni fa, assassinato dalla camorra sotto la sua casa, nel quartiere del Vomero. Gli ultimi due anni Giancarlo li aveva trascorsi come corrispondente per il quotidiano “Il Mattino”, quale corrispondente da Torre Annunziata, dove in quegli anni c’era in atto una guerra tra clan di camorra. «Giancarlo era proprio così come è ritratto nel film, “Fortapàsc”, allegro, spensierato, divertente ma anche serio e impegnato, e gli piaceva fare il giornalista, il 'giornalista-giornalista», racconta all'Adnkronos Paolo Siani, fratello di Giancarlo e presidente della Fondazione Polis, citando un'espressione usata in 'Fortapàsc'. «La nostra famiglia - aggiunge - era molto unita. Avevamo molti interessi in comune, le stesse scuole frequentate, anche le stesse sezioni, la sezione B del Liceo 'Gianbattista Vico’ di Napoli, la stessa passione per lo sport e per il calcio, le domeniche allo stadio, la pallavolo, divenne anche allenatore di una squadra femminile. Poi lui sviluppò una forte passione per il giornalismo, in modo inaspettato per noi in famiglia, ma la sua passione, la sua caparbietà la spuntarono e iniziò a scrivere. Anzi prima di scrivere iniziò a leggere. Leggeva per radio la rassegna stampa cittadina. Si alzava la mattina prestissimo, comprava i giornali e andava in radio per la sua rassegna stampa».
Grazie ai suoi articoli da Torre Annunziata, Siani aveva guadagnato la possibilità di fare una sostituzione nell'estate 1985 nella redazione centrale del Mattino, a Napoli, preambolo di una possibile assunzione come praticante. Ma il 23 settembre due sicari, Ciro Cappuccio e Armando Del Core, eseguirono la 'condanna a mortè ordinata dai mandanti Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta e Luigi Baccante, tutti condannati all'ergastolo nel processo che si è concluso nel 1997, 12 anni dopo l'omicidio. Per Gionta è arrivato poi il giudizio della Cassazione che lo ha scagionato per non aver commesso il fatto. In tutti questi anni, Siani è diventato un simbolo dell'impegno giornalistico contro la criminalità organizzata: a lui sono state intitolate vie, a Napoli come in altre località, oltre a licei e teatri, ed è stato istituito nel 2004 il Premio Giancarlo Siani per i giornalisti impegnati sul fronte della cronaca. «Giancarlo - spiega Paolo Siani - viene percepito dai ragazzi oggi come un eroe, la sua storia, la sua faccia pulita fa breccia nel cuore di tutti ma soprattutto in quello dei ragazzi. Questa è la sua grande rivincita». «Questa è la rivincita di tutti i familiari di vittime innocenti - continua Siani - che hanno trasformato il loro dolore in impegno e che si spendono nella nostra città e nella nostra regione per la legalità. Sono uomini e donne che con umiltà, ma con fierezza vanno nelle scuole, nelle associazioni, nel carcere minorile a parlare dei loro cari che non ci sono più, a parlare di legalità e di giustizia. Sono persone duramente colpite, sofferenti, provate, ma preziose per la comunità».
Il ricordo di Giancarlo Siani e di tutte le vittime innocenti, racconta il fratello, «ha il senso del riscatto, del non rassegnarsi alla violenza subita, del 'ce la possiamo farè». Parlando con i ragazzi nelle scuole, dopo aver visto insieme il film 'Fortapàsc', si ha la sensazione chiara che si sta rafforzando sempre più un sentimento di legalità. Messi davanti a una storia, a un tragico omicidio i ragazzi, tutti i ragazzi, scelgono di stare dalla parte di Giancarlo. Certo c'è ancora tanto da fare specie a Napoli e al sud d'Italia, ma i giovani fanno ben sperare«. Paolo Siani ricorda un dato: »La Campania detiene il triste primato di morti innocenti ammazzati per mano criminale, con 150 casi già accertati e oltre 100 in fase di studio, ed è la seconda regione per numero di beni confiscati alla criminalità organizzata dietro alla Sicilia, con 1.722 beni tra immobili e aziende«. Numeri che hanno portato la Regione Campania a dotarsi di una struttura appositamente dedicata a questi temi, la Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza), di cui Paolo Siani è il presidente: »È lo strumento operativo della Regione Campania per l'aiuto ai familiari delle vittime innocenti della criminalità e a tutti i soggetti variamente coinvolti nell'attività di gestione e riqualificazione sociale dei beni confiscati alla camorra«, spiega.
La Fondazione sostiene i familiari delle vittime attraverso un aiuto legale, psicologico e fiscale: «Abbiamo già siglato a fine 2010 un importante protocollo di intesa con il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli per garantire un servizio di orientamento legale ai familiari delle vittime. Questo accordo rappresenta un modello che estenderemo anche all'Ordine degli Psicologi e all'Ordine dei Commercialisti. Ci stiamo inoltre concretamente muovendo in sinergia con le Commissioni consiliari regionali preposte alla stesura di una proposta normativa per la tutela giuridica delle vittime della criminalità comune, alle quali allo stato attuale la legge non riconosce alcun beneficio. Stiamo altresì lavorando insieme all'Anci per far sì che venga rispettata la normativa che garantisce il collocamento obbligatorio al lavoro dei familiari delle vittime». Gli interlocutori privilegiati della Fondazione Polis, spiega Siani, «sono le scuole e i giovani. Lo scorso 28 marzo tutte le scuole della Campania hanno visto in contemporanea il docufilm 'Storia criminale’, dando vita alla prima edizione del progetto di condivisione della memoria e dell'impegno 'Lo stesso giorno alla stessa ora’, che nel 2012 riproporremo estendendolo a tutte le regioni meridionali coinvolte dal Pon Sicurezza 2007-2013». L'obiettivo, spiega, è «lanciare un messaggio di speranza ai nostri giovani, soprattutto a quelli dei quartieri più difficili. Un messaggio di speranza, la speranza di un futuro diverso per la nostra terra, dove i beni confiscati siano una concreta occasione di sviluppo di un'economia legale e solidale, dove l'esempio lasciato delle tante vittime innocenti e dai loro familiari rappresenti la base per l'affermazione della cultura della legalità. Noi ce la stiamo mettendo tutta per noi stessi, per i nostri figli, per i nostri cari che non ci sono più», conclude Siani.
sabato 17 settembre 2011
LUMIA, SALVARE DAL DEGRADO LUOGO UCCISIONE IMPASTATO
venerdì 16 settembre 2011
A FORMELLO NASCE PRIMO QUARTIERE ITALIANO DEDICATO A VITTIME
18 SETTEMBRE 2008, STRAGE DI CASTEL VOLTURNO: RAZZISMO DI CAMORRA. DOMENICA IL RICORDO
"Ora tocca ai neri. Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono, anche le donne". La strage avvenne per ordine del camorrista Giuseppe Setola, poco dopo le 21 del 18 settembre 2008, dopo aver ucciso un italiano dalle parti di Baia Verde. Setola aveva chiesto ad alcuni banditi extracomunitari una tangente sui loro traffici. Cercava delle persone di colore da uccidere, preferibilmente i trafficanti con cui c'erano rapporti. Il progetto poi sfuma perché nel posto prescelto dal commando ci sono telecamere che li esporrebbero troppo. Quindi, Setola chiede a Granato, uno dei suoi sodali: "Ma se andiamo là fuori - intendendo la sartoria - li troviamo i neri?" Granato fa spallucce: ma sì, andiamo a vedere". Fuori la sartoria «Ob Ob exotic fashions», al chilometro 43 della domiziana, le armi spararono all’impazzata. Sei morti ed un ferito. Ecco i loro nomi:
Kwame Antwi Julius Francis, Nato nel 1977, ghanese, fuggito nel suo Paese nel 2007, aveva attraversato il deserto del Niger e aveva lavorato come muratore in Libia. A Castel Volturno lavorava come piastrellista e si era iscritto a un corso di formazione per apprendere il mestiere di saldatore. Era attivista del centro sociale "ex canapificio" di Caserta, impegnandosi come interprete volontario
Affun Yeboa Eric: la più giovane delle tre vittime, Si trovava nel luogo della strage solo perché era passato a prendere il suo amico Francis. Eric era in Italia dal 2004, proveniente dal Ghana. Lavorava come carrozziere a Castel Volturno.
El Hadji Ababa: Veniva dal Togo e viveva in Italia da 5 anni. Gestiva la sartoria "Ob exotic Fashions". Era molto apprezzato come sarto: realizzava abiti tradizionali su misura, ma era anche un punto di riferimento per gli africani della zona, soprattutto di quelli che erano più disorientati.
Jeemes Alex: Cittadino del Togo, aveva un permesso di soggiorno per "protezione umanitaria" ottenuto a Siracusa. aveva iniziato a lavorare da poco tempo nella sartoria.
Christopher Adams: aveva 28 anni ed era ghanese. Era in Italia dal 2002 e aveva ottenuto il permesso per "protezione umanitaria". Adams faceva il barbiere a Napoli, a piazza Garibaldi. La sera della strage era andato min sartoria per salutare gli amici.
Samule Kwabo: veniva dal Togo, faceva il muratore ma lavorava anche come bracciante nelle campagne. Come tanti africani, la mattina presto, all'alba, si faceva trovare nelle rotonde di Giugliano e Villa Literno, in attesa di un "caporale" che gli offrisse il lavoro.
Joseph Ayimbora: anche lui ghanese, è l'unico sopravvissuto alla strage. Nonostante le gravi ferite alle gambe e all'addome, ha finto di essere morto. Ha un permesso di soggiorno dal 1998. La sua collaborazione con le forze dell'ordine è stata decisiva per la ricostruzione dei fatti e l'individuazione degli assassini.
Jeemes Alex: Cittadino del Togo, aveva un permesso di soggiorno per "protezione umanitaria" ottenuto a Siracusa. aveva iniziato a lavorare da poco tempo nella sartoria.
Christopher Adams: aveva 28 anni ed era ghanese. Era in Italia dal 2002 e aveva ottenuto il permesso per "protezione umanitaria". Adams faceva il barbiere a Napoli, a piazza Garibaldi. La sera della strage era andato min sartoria per salutare gli amici.
Samule Kwabo: veniva dal Togo, faceva il muratore ma lavorava anche come bracciante nelle campagne. Come tanti africani, la mattina presto, all'alba, si faceva trovare nelle rotonde di Giugliano e Villa Literno, in attesa di un "caporale" che gli offrisse il lavoro.
Joseph Ayimbora: anche lui ghanese, è l'unico sopravvissuto alla strage. Nonostante le gravi ferite alle gambe e all'addome, ha finto di essere morto. Ha un permesso di soggiorno dal 1998. La sua collaborazione con le forze dell'ordine è stata decisiva per la ricostruzione dei fatti e l'individuazione degli assassini.
Il 14 aprile del 2011, finalmente arriva la sentenza di primo grado contro gli assassini dei ghanesi. Quattro ergastoli e una condanna a 23 anni. Massimo della pena per Giuseppe Setola, capo dell'ala stragista del clan di Gomorra, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. A 23 anni di reclusione è stato condannato il quinto imputato, Antonio Alluce. Il solo Cirillo è stato assolto dalla partecipazione alla strage incompiuta.
Domenica 18 settembre, alle ore 17, si terrà la commemorazione delle vittime ghanesi al km 43 della Domiziana, nei pressi della Sartoria "Ob ob Exotic Fashions", dove è avvenuta la strage. Sarà presente padre Alex Zanotelli, e rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dell'antirazzismo campano, insieme a tantissime associazioni di volontariato.
DOMATTINA IL BUSTO IN ONORE DI MARCELLO TORRE. SENZA L'AMMINISTRAZIONE COMUNALE
Domattina si inaugura un busto in memoria di Marcello Torre al Cimitero di Pagani. La cerimonia è prevista alle ore 9, all'interno della cappella gentilizia Contaldi-Torre. Il busto doveva essere apposto all’ingresso del Cimitero ma, ancora una volta, l’amministrazione comunale ha dato forfait, come un anno fa, quando prima intitolò la piazza principale di Pagani a Marcello Torre, la piazza “Corpo di Cristo” e poi fece marcia indietro. Evidentemente, ilsindaco che disse no al patto della politica con la camorra, continua a far paura anche da morto. Ricordiamo che Marcello Torre, quarantotto anni, avvocato, eletto il 7 agosto del 1980 sindaco della città di Pagani per la Democrazia Cristiana, fu ammazzato alle 7 del mattino, da due killer con una calzamaglia in testa, che lo attendevano fuori la sua abitazione a bordo di una fiat 127. I suoi killer non sonostati mai condannati. La famiglia Torre, da parte sua, non ha voluto alimentare nuove polemiche e ha deciso di inaugurare il busto realizzato dall’artista Stefano Rossi, con una cerimonia sobria dove saranno presenti oltre alla signora Lucia e ad Annamaria Torre, rispettivamente moglie e figlia di Marcello, delegazioni del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, di Libera e della Fondazione Pol.i.s.
VERSO LA REVISIONE DEL PROCESSO PER LA STRAGE DI VIA D'AMELIO. ANCHE SUL DEPISTAGGIO
UN CONCERTO PER RICORDARE I DUE GIORNALISTI TONI-DE PALO
TERRORISMO: VITTIME ITALIANE RIFIUTANO INVITO CITTÀ PARIGI
DON PUGLISI: ARCIVESCOVO ROMEO, FU EDUCATORE DI GIOVANI
mercoledì 14 settembre 2011
USTICA: LEGALI FAMILIARI VITTIME, CONTRO GIOVANARDI E IL GOVERNO
Non si placano le polemiche dopo che il ministro Carlo Giovanardi ha dichiarato, a nome del governo, di voler ricorrere in appello alla sentenza che riconosce colpevole lo Stato per quella strage e lo condanna a pagare 100 milioni di euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica. La sentenza è arrivata quattro anni dopo i primi risarcimenti per 980 mila euro ai familiari delle vittime della strage di Ustica. La sentenza del giudice Paola Protopisani dà ragione al collegio difensivo che aveva puntato sulla responsabilità dello Stato, indipendentemente dall'accertamento della causa che provocò la strage e che in questi anni non è mai venuta a galla.
«Le dichiarazioni di certi esponenti del governo in relazione al giudizio su Ustica appaiono come lo squallido tentativo di rubare la scena a chi, dopo 31 anni di angoscia e dolore, ha finalmente il diritto di vivere con serenità il risultato ottenuto». Lo dicono gli avvocati Vanessa e Fabrizio Fallica, legali dei familiari di due delle vittime della strage di Ustica. Nei giorni scorsi il tribunale di Palermo ha condannato lo Stato a risarcire con oltre 100 milioni di euro i parenti di una quarantina dei passeggeri che persero la vita sull'aereo Itavia in servizio da Bologna a Palermo: una sentenza definita ‘inaccettabile’ dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa e dal sottosegretario Carlo Giovanardi, che hanno annunciato che il governo presenterà ricorso. «Dal momento che una parte del risarcimento è stato riconosciuto perché lo Stato ha ostacolato la ricerca della verità - aggiungono gli avvocati Fallica - oggi il governo piuttosto che alimentare polemiche dovrebbe concentrarsi sulla necessità di raccogliere ulteriori informazioni utili a chiarire le troppe zone d'ombra che ancora resistono. In questo senso, con la caduta del regime di Gheddafi gli archivi libici potrebbero essere finalmente messi a disposizione dello Stato italiano: ci aspettiamo che il governo si muova immediatamente in questa direzione».
- «Le parole di Carlo Giovanardi, pronunciate a nome del governo, salvo smentite, offendono non solo la memoria delle vittime della strage di Ustica, ma anche la memoria civile del Paese. Dopo oltre trent'anni di inchieste, molti aspetti di questo disastro, tra i quali le cause stesse, non appaiono ancora chiariti». Lo dice il deputato nazionale del Pd e componente della commissione cultura alla Camera Tonino Russo. «Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, invece di chiedere scusa - prosegue - continua a mettere sale su una ferita, che non si è rimarginata, umiliando il dolore dei familiari delle vittime». «Ci sono molte ombre e opacità di comportamenti su quanto avvenne la notte del 27 giugno 1980, nel cielo sopra Ustica - conclude Russo - Ogni sforzo deve essere compiuto per arrivare alla verità e fare piena luce, anche sul piano internazionale, su una strage, che è ancora rimasta impunita».
PALERMO RICORDA DON PINO PUGLISI A 18 ANNI DELL'ASSASSINIO
Diciotto anni fa l’assassinio di don Pino Puglisi ad opera della mafia. Palermo lo ricorda con una serie di manifestazioni. Stasera a Brancaccio, promossa dalla parrocchia San Gaetano, si snoderà una fiaccolata. Domani pomeriggio alle 18 in cattedrale il cardinale Salvatore De Giorgi presiederà una solenne celebrazione eucaristica. In mattinata sarà proiettato il film «Alla luce del Sole» nella casa circondariale «Pagliarelli» alla presenza del regista Roberto Faenza e alle 21 andrà in scena un concerto dell'orchestra sinfonica siciliana che eseguirà un brano teatrale su padre Puglisi di Salvo Piparo. «Me l'aspettavo». Furono le ultime parole pronunciate dal parrocco di Brancaccio davanti alla pistola impugnata da Giuseppe Grigoli. Era la sera del 15 settembre 1993. Fu ucciso nel giorno in cui compiva 56 anni.
I killer erano attesi dal sacerdote che era consapevole del pericolo al quale si era esposto con la sua azione di recupero dei giovani del quartiere sottratti al dominio del clan dei Graviano. Nel 1999 il cardinale Salvatore De Giorgi ha aperto la causa di beatificazione proclamando padre Puglisi «servo di Dio». La prima fase del processo si è conclusa nel 2001; da allora il fascicolo è all'esame della Congregazione per le cause dei santi in Vaticano. Padre Puglisi era stato nominato parroco della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro «Padre Nostro», diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La sua attività pastorale - come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio. Gli esecutori e i mandanti mafiosi, legati alla cosca mafiosa di Filippo e Giuseppe Graviano, sono stati condannati con sentenze definitive: ergastolo per i Graviano, Gaspare Spatuzza (che spalleggiava il killer e poi ha raccontato i retroscena del delitto), Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Oltre a Spatuzza anche Grigoli è diventato collaboratore giustizia: la sua scelta, che ha preceduto quella di Spatuzza, gli è valsa una condanna a 16 anni.
«La storia di don Pino Puglisi è quella della Chiesa migliore, quella fatta di parroci che svolgono un ruolo fondamentale in un contesto sociale come quello di Brancaccio e di tanti altri luoghi in cui la criminalità ha sempre avuto una fortissima influenza, e dimostra che la mafia ha paura di chi diffonde la cultura antimafia». È quanto sottolinea Sonia Alfano, presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, nell'anniversario dell'uccisione del 'prete scomodò il 15 settembre 1993. «Don Pino - ricorda la Alfano - si assunse la responsabilità di proteggere i bambini e i ragazzi di Brancaccio e non si tirò indietro mai, nemmeno di fronte alla certezza che sarebbe stato eliminato. La sua dedizione verso la gente e la sua strenua difesa dei principi di legalità e di solidarietà, rimarranno sempre impresse nella memoria di tutti i cittadini onesti».
«Padre Pino Puglisi è stato un punto di riferimento per tanti giovani e per la società civile. Con il suo instancabile e prezioso lavoro a Brancaccio, uno dei quartieri più a rischio della città, ha dato una speranza a molti ragazzi, strappandoli dalle grinfie di Cosa nostra». Lo ha dichiarato il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione Antimafia, ricordando il parroco ucciso a Palermo dalla mafia il 15 settembre del 1993. Inoltre ha fornito ai volontari impegnati nel sociale un'importante bussola che indica nell'educazione civile, nella promozione sociale e nella crescita culturale della persona la direzione verso cui orientare il proprio impegno. In questo modo, infatti, don Pino aveva innescato un processo di emancipazione dalla subcultura mafiosa in cui i giovani di Brancaccio erano nati e cresciuti. Un rischio che Cosa nostra non poteva correre, -conclude Lumia- perchè minacciava l'egemonia e il dominio della cosca locale«.
STRAGE DI USTICA. BONFIETTI: "VERITÀ SU STRAGE VA CHIESTA ALLA FRANCIA"
"CERCASI PROFETA IN PATRIA" - IL PRESIDENTE DEL CENTRO PADRENOSTRO RICORDA DON PUGLISI NEL 18° ANNIVERSARIO DELL'UCCISIONE
Basta seppellire i nostri morti con le dovute e religiose esequie per differirci dagli animali che ne mangiano le carcasse?
Padre Puglisi è stato ucciso dalla mafia 18 anni fa, quest'anno abbiamo celebrato anche il ventennale della fondazione del Centro Padre Nostro, avvenuta il 16 luglio 1991 ad opera di Padre Pino Puglisi, e qualche mese fa abbiamo realizzato uno dei suoi sogni: un campo di calcetto per i bambini di Brancaccio a Brancaccio.
In verità quanto realizzato è più di un campetto di calcetto: è un Centro Polivalente Sportivo con annesso parco giochi per bambini.
A due mesi dalla sua inaugurazione non ho visto nessun abitante di Brancaccio, nessun collaboratore, men che meno qualche amico del fu Parroco di Brancaccio, Pino Puglisi, che abbia dato la sua disponibilità per far giocare i figli dei figli dei "bambini di Puglisi".
Sono certo che loro, collaboratori ed amici, sono impegnati in altre opere altrettanto meritorie e impegnative, magari avranno fondato associazioni, gruppi parrocchiali, oratori o fondazioni in suo nome, ma di fatto i bambini di Brancaccio a Brancaccio sono rimasti ancora una volta orfani, con loro a Brancaccio giocano i volontari del Centro Padre Nostro che non hanno conosciuto personalmente la santità di quel piccolo prete di borgata: questi volontari sono "gente di fuori", così ci chiamano a Brancaccio per identificarci.
So quanto è difficile fare il profeta in patria e questo lo sapeva anche Padre Puglisi, ma questo non ci esime dal cercare noi, "gente di fuori", quel profeta: un giorno ce ne andremo e guai a voi se per qualche giorno non ci saranno "profeti in patria".
Aver seppellito Padre Puglisi, ricordarne ogni anno il suo eccidio, titolare strade, scuole, palestre, biblioteche in suo nome non serve a nulla se lì, proprio lì, a Brancaccio, nessuno vuole impegnarsi.
Questo significa che la mafia ha vinto: essa si è liberata di una persona scomoda per quel territorio.
Questo significa "mangiare il corpo", e non solo nel senso liturgico con cui noi mangiamo il Corpo di Cristo bensì come avviene tra gli animali quando si nutrono gli uni delle carni degli altri.
Non ci sono più scusanti per non testimoniare il vero amore che avete avuto per Padre Puglisi.
Possa lui dal cielo seguire i nostri e i vostri passi nella speranza che un giorno possa scrivere "I Nostri Passi".
Padre Puglisi è stato ucciso dalla mafia 18 anni fa, quest'anno abbiamo celebrato anche il ventennale della fondazione del Centro Padre Nostro, avvenuta il 16 luglio 1991 ad opera di Padre Pino Puglisi, e qualche mese fa abbiamo realizzato uno dei suoi sogni: un campo di calcetto per i bambini di Brancaccio a Brancaccio.
In verità quanto realizzato è più di un campetto di calcetto: è un Centro Polivalente Sportivo con annesso parco giochi per bambini.
A due mesi dalla sua inaugurazione non ho visto nessun abitante di Brancaccio, nessun collaboratore, men che meno qualche amico del fu Parroco di Brancaccio, Pino Puglisi, che abbia dato la sua disponibilità per far giocare i figli dei figli dei "bambini di Puglisi".
Sono certo che loro, collaboratori ed amici, sono impegnati in altre opere altrettanto meritorie e impegnative, magari avranno fondato associazioni, gruppi parrocchiali, oratori o fondazioni in suo nome, ma di fatto i bambini di Brancaccio a Brancaccio sono rimasti ancora una volta orfani, con loro a Brancaccio giocano i volontari del Centro Padre Nostro che non hanno conosciuto personalmente la santità di quel piccolo prete di borgata: questi volontari sono "gente di fuori", così ci chiamano a Brancaccio per identificarci.
So quanto è difficile fare il profeta in patria e questo lo sapeva anche Padre Puglisi, ma questo non ci esime dal cercare noi, "gente di fuori", quel profeta: un giorno ce ne andremo e guai a voi se per qualche giorno non ci saranno "profeti in patria".
Aver seppellito Padre Puglisi, ricordarne ogni anno il suo eccidio, titolare strade, scuole, palestre, biblioteche in suo nome non serve a nulla se lì, proprio lì, a Brancaccio, nessuno vuole impegnarsi.
Questo significa che la mafia ha vinto: essa si è liberata di una persona scomoda per quel territorio.
Questo significa "mangiare il corpo", e non solo nel senso liturgico con cui noi mangiamo il Corpo di Cristo bensì come avviene tra gli animali quando si nutrono gli uni delle carni degli altri.
Non ci sono più scusanti per non testimoniare il vero amore che avete avuto per Padre Puglisi.
Possa lui dal cielo seguire i nostri e i vostri passi nella speranza che un giorno possa scrivere "I Nostri Passi".
Il Presidente
Maurizio Artale
Maurizio Artale
PADRE PUGLISI, L'ASS VITTIME VIA DEI GEORGOFILI SCRIVE AL CENTRO "PADRENOSTRO" PER RICORDARNE LA FIGURA
Nel ricordo di Padre Pino Puglisi vogliamo essere presenti simbolicamente a tutte le manifestazioni indette dal Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus.
L’anniversario del 15 Settembre 2011 ci dà l’opportunità ancora una volta di pensare a Padre Pino Puglisi come colui che la mafia l’ha combattuta davvero.
Padre Puglisi ha combattuto la mafia, prima come prete nella sua missione religiosa cercando di dare aiuto ai ragazzi di Brancaccio che guardavano alla sua Chiesa come difesa dallo strapotere mafioso e poi come cittadino, quando probabilmente compreso ciò che i f.lli Graviano portavano con loro quel settembre del 1993 di ritorno dal “continente” ,decise di rivolgersi alle istituzioni antimafia per affrontare un problema più grande di lui ,arrivando purtroppo in ritardo.
E’ per questo che quale omaggio al ricordo di Don Puglisi e cercando la stessa forza che il religioso ha messo nella ricerca della giustizia verso i giovani attraverso la verità, riportiamo a memoria di quanti oggi lo hanno dimenticato o fanno finta di dimenticarlo, un passaggio della requisitoria del ’98 di Gabriele Chelazzi al processo sulle bombe del ’93:
- Ma questa sentenza rispecchia davvero la realtà che sta dietro l’ondata stragista del ‘ 93? (….)
Questa sentenza deve servire come base per ulteriori approfondimenti (……) del complesso, variegato contesto socio politico ed economico in cui sono maturate le stragi”
Cordiali saluti
Giovanna Maggiani Chelli
Presidente
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
29 ANNI FA VENIVA UCCISO ANTIMO GRAZIANO BRIGADIERE AGENTI DI CUSTODIA
È un martedì, martedì 14 settembre 1982, quando il brigadiere degli agenti di custodia Antimo Graziano viene ucciso sotto casa a Piscinola, un quartiere alla periferia di Napoli nord. Da sei anni dirigeva l’ufficio matricola nel carcere di Poggioreale. Un ufficio importante perché lì vengono decisi i trasferimenti, i permessi e la destinazione di ogni singolo detenuto all’interno dei padiglioni del carcere. Su quell’ufficio ci sono da tempo le attenzioni dei clan della camorra. Antimo Graziano, un omone dall’aria bonacciona, era già stato minacciato. Gli arrivano molti “consigli” interessati, ma lui non ha mai ceduto alle pressioni e alle minacce. Il clima nel carcere è pesante. Aveva deciso di andarsene in pensione. Non voleva rischiare la vita, come già avevano fatto altri suoi colleghi.
Quel giorno il brigadiere Antimo Graziano finisce il turno di lavoro alle quattordici. Il tempo di riordinare l’ufficio e di dare la consegna delle cose da fare al suo collega e via, verso casa. Ma non sa che lì, proprio sotto casa, in via del Salvatore, nel popoloso quartiere di Piscinola, nel posto che lui ritiene più sicuro del carcere, un killer della camorra lo aspetta per ammazzarlo. Graziano arriverà una quarantina di minuti dopo aver finito il turno di lavoro. Il killer lo aspetta in un punto strategico. Deve passare per forza da lì. E si piazza in modo che la visuale sia sempre la migliore. Il quartiere di Piscinola, a nord di Napoli, al confine con Mugnano, circondato dagli altri affollatissimi quartieri di Scampia, Miano, Marianella, è un dedalo di viuzze, una addosso all’altra. Ma quando il brigadiere Graziano smonta il turno al carcere di Poggioreale, alle quattordici, non ci sono molte auto per strada. Il traffico è ridotto.
Le staffette avvisano che l’hanno visto partire dal carcere a bordo della sua Fiat 127. Sono in due su un motorino ad aspettarlo. Antimo Graziano, dopo aver imboccato via del Salvatore, una strada in discesa che conduce alla piazza principale di Piscinola, percorre qualche decina di metri e poi rallenta per svoltare nel portone della propria abitazione. «Eccolo, è lui, sta arrivando». Lo vedono. È quasi vicino casa. Uno scende dal motorino e si materializza all’improvviso. È a viso scoperto. Si avvicina all’automobile, non gli dà nemmeno il tempo di scendere dalla macchina. E spara ripetutamente contro Graziano con una pistola a rotazione. La polizia, infatti, non troverà nessun bossolo a terra. Graziano viene colpito al viso, al collo e al braccio. Si accascia sul volante. L’automobile, ormai senza guida, continua la marcia sulla strada in discesa finendo contro il muro di una chiesa.
L’assassino, dopo aver sparato, si allontana velocemente a piedi per via del Salvatore, raggiunge la piazza, dov’era ad attenderlo il complice a bordo di un motorino. Subito dopo fuggono in direzione del centro di Napoli. Per Antimo Graziano, quarantacinque anni, non c’è niente da fare. In meno di un minuto il brigadiere e capo del delicatissimo ufficio matricola del carcere di Poggioreale, muore davanti casa sua.
Antimo Graziano era nato a Bellona, in provincia di Caserta, il 4 giugno del 1937. Era sposato con Maria Rosaria Marano, di trentanove anni e aveva due figlie, Concetta, di sei anni e Rosanna di due. Si era arruolato venticinque anni prima nel corpo delle guardie di custodia. Da sei era in servizio all’ufficio matricola di Poggioreale. Ma era troppo pericoloso. Aveva deciso di dedicarsi alla famiglia e uscirsene da quell’inferno di Poggioreale. Non gliene hanno dato il tempo.
Tratto dal mio libro "Al di là della notte" - Ed. Tullio Pironti
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