sabato 29 ottobre 2011

A ROMA SI LAVORA PER CONSULTA FAMILIARI VITTIME TERRORISMO

 Una consulta cittadina sugli anni di piombo composta dai familiari di tutte le vittime romane.  La proposta è del consigliere capitolino del Pd, Paolo Masini, che aveva già presentato una delibera per una iniziativa istituzionale trasversale. Dopo l'intitolazione di un giardino, in VI Municipio, a Mario Zicchieri, militante del Fronte della Gioventù ucciso durante gli anni di piombo, si torna a parlare di un organo bipartisan che funga da supporto alle famiglie delle vittime, di destra e di sinistra. «È con grande rispetto - ha spiegato Masini - che ricordiamo Mario Zicchieri. Intitolargli un giardino pubblico è un messaggio importante per la città e soprattutto rappresenta un'occasione per creare una riflessione condivisa su una stagione che ha segnato Roma in maniera indelebile». D'accordo con la proposta il presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone (Pdl) che ha spiegato di ritenere «maturi i tempi, al di là delle appartenenze politiche, per dare nobiltà alle intitolazioni di strade e piazze per le vittime degli anni di piombo e costruire insieme un percorso di pacificazione». In questo modo è stato accolto l'appello lanciato da Masini a tutti i consiglieri, «per un impegno comune affinchè un sentiero già ben avviato possa condurre a quel passo decisivo e necessario a voltare definitivamente pagina» 

PIERO GRASSO: DIETRO LE STRAGI DI MAFIA SI INTRAVEDE DELL'ALTRO

Il procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, in un convegno su mafia e giustizia tenuto in serata a Palermo, è ritornato nuovamente sul tema delle stragi mafiose e sui possibili mandanti occulti. Grasso ha detto che dietro le stragi mafiose del '92 in cui furono uccisi i giudici Falcone e Borsellino «si intravede dell'altro. È un dato di fatto, lo dicono anche i magistati di Caltanissetta che hanno da poco completato questa parte di indagine». «Il problema è come proseguire adesso per potere andare oltre -ha aggiunto Grasso- bisogna che ci siano nuovi spunti e approfondimenti, ecco perchè oggi ho ribadito che chi sa deve parlare. Non so se devono parlare soltanto uomini della criminalità organizzata o chi fa parte di altre istituzioni, ma non si puo continuare nell'indifferenza e nella rassegnazione, perchè non si possono dimenticare quei brandelli di carne che si intravedevano sui balconi dei palazzi in via D'Amelio oppure l'autostrada di Capaci sventrata con i corpi innocenti». Secondo il procuratore nazionale antimafia «qualche memoria è tornata e questo ci ha consentito di fare degli approndimenti, ma c'è ancora tanta strada da fare per andare più a fondo. Io continuerò a credere nella ricerca della verità e non lascerò nulla di intentato. Così come sono riuscito a prendere per i capelli Gaspare Spatuzza posso ascoltare chiunque altro abbia qualcosa da dirmi».

«Cercare la verità sulle stragi mafiose deve essere un imperativo categorico che tutto lo stato, nel suo complesso, deve perseguire, anche adesso, dopo tanti anni». È il monito del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso in riferimento alla sospensione delle otto condanne per la strage di via D'Amelio decisa dal giudice di Catania nell'ambito della richiesta di revisione. «La sospensione segue una giurisprudenza della Corte di Cassazione che prevede che non si possa fare il giudizio di revisione se prima non diventa definitivo l'accertamento dei fatti che portano alla revisione -ha spiegato Grasso- è una posizione estremamente garantista ma è anche corretta. Sono state scarcerate persone che hanno scontato parecchi anni di carcere e alcune di queste, secondo l'attuale prospettazione, ingiustamente». Alla domanda se, a suo avviso, nelle indagini per la strage di via D'Amelio sia stato un errore fatto per la fretta o un depistaggio, come sono convinti i pm di Caltanissetta, il procuratore nazionale antimafia risponde: «È un pericolo che noi paventiamo sempre, cioè di un pubblico ministero e di una polizia giudiziaria che cerca di trovare un colpevole a qualsiasi costo. Il controllo della magistratura, quando è possibile, dovrebbe cercare di limitare questi guai e questi danni quando ci sono situazioni che destano perplessità. L'importante, per me è che ci sia il principio di tendere all'accertamento della verità anche dopo anni e a qualsiasi costo».

Secondo Grasso «il concetto è cercare di scoprire la verità anche sotto altri profili che non sono l'esecuzione materiale. La percezione che ci sia qualcos'altro, oltre alla mafia, si è sempre avuta e non è una cosa nuova. Il problema è riuscire, dal punto di vista giudiziario, a trovare le prove». E sui pentiti che soltanto adesso hanno parlato delle stragi, Grasso ha detto: «Purtroppo ci sono tempi che non dipendono dalla magistratura ma che dipendono dalla possibilità di accertare questa realtà partendo da elementi che consentano di dimostrare la verità». Infine, alla domanda se ci sono ancora oggi rapporti tra mafia e politica, come sostenuto da diversi collaboratori di giustizia, grasso ha spiegato: «Non mi pare sia una novità. In ogni caso sono solo le indagini che possono fare scoprire i rapporti tra mafia e politica. Ricordo ancora un pizzino trovato nel covo di Bernardo Provenzano in cui gli veniva chiesto chi si doveva votare. Putroppo non abbiamo trovato il pizzino di risposta, altrimenti lo avremmo saputo».

Piero Grasso ha affrontato anche il tema più delicato della politica. Anche se daalla sua angolatura. «Oggi le candidature servono quasi per avere immunità parlamentare. È vero, non è la magistratura che deve fare le liste ma la politica si deve autolimitare a candidare solo persone che possano essere candidate. Se uno è indagato e l'altro no, non si spiega perchè si sceglie quasi sempre l'indagato. Quasi in dispregio della magistratura». «Non si deve aspettare la sentenza definitiva per candidare un politico -ha aggiunto Grasso- semplicemente la politica deve imparere a scegliere i propri candidati. I cittadini possono manifestare con il proprio voto la mancanza di assenso alla persone incriminate». Grasso ha parlato brevemente anche del ddl intercettazioni. «Si deve trovare un equilibrio perchè altrimenti si rischia l'imbarbarimento». Infine, Grasso ha concluso dicendo, non senza una vena polemica: «Nonostante i mezzi che ci sono i risultati che facciamo quotidianamente sono miracolosi, perchè ogni giorno facciamo operazioni di polizia con arresti e sequestri, anche se poi i meriti li prendono gli altri a noi non interessa. Noi continueremo».

STRAGE DI USTICA: LEGALE VITTIME, SI VA VERSO NUOVO PROCESSO

 Per la strage di Ustica si va vero un nuovo processo. Oggi a  Palermo lo ha detto Daniele Osnato, avvocato di parte civile delle vittime della strage intervenuto oggi a Palermo nel corso della presentazione del libro di Carmelo Pecora «Ustica. Confessioni di un angelo caduto».   «Ho ricevuto numerose richieste, ci avviamo verso un processo Ustica-bis» Ha detto l'avvocato. «Non smetteremo mai di ricercare la verità  a cominciare dalla richiesta avanzata a Bruxelles per la costituzione di una commissione d'inchiesta europea che faccia luce su quanto avvenuto quel terribile giorno di 31 anni fa». Alune settmane fa un primo gruppo di familiari ha ottenuto dal tribunale un risarcimento di cento milioni di euro. Altri parenti delle vittime adesso sono pronti a intentare una nuova causa. L'incontro si è tenuto presso l'aula consiliare di Palazzo delle Aquile. Polemica per la mancata partecipazione di alcune classi dell'Istituto Finocchiaro Aprile di Palermo. «La scuola ha disertato l'incontro perchè ritenuto un tema delicato, salvo poi affrontare in classe temi d'attualità come la guerra in Libia. È strano constatare come ancora oggi a Palermo ci sia tanta reticenza nell'affrontare l'argomento», affermano gli organizzatori dell'incontro di stamattina.

«Non vogliamo fare alcuna polemica ma ci saremmo aspettati maggiore entusiasmo per un tema di strettissima attualità, per altro affrontato sotto forma di un romanzo» dicono i familiari. Il romanzo narra la vita di un poliziotto palermitano che era a bordo del Dc9 precipitato. L'autore è Carmelo Pecora, ex poliziotto in pensione originario di Enna ma per molti anni residente per lavoro a Forlì, che ha vissuto in prima persona alcuni dei fatti più importanti degli ultimi cinquant'anni: fu lui a trovare il cadavere di Aldo Moro in auto e fu tra i primi a recarsi alla stazione di Bologna il giorno della strage. Pecora racconta la storia di Nino, dall'infanzia in Sicilia alla scelta di entrare in polizia, dalle prime esperienze in divisa al trasferimento a Bologna, fino alla tragica sera di prima estate in cui Nino prese l'aereo che doveva portarlo alla festa di matrimonio di un amico, per fargli da testimone. Il racconto si avvale delle testimonianze dirette dei familiari e degli amici di Antonino Greco e della collaborazione dell'Associazione Familiari Vittime di Ustica.

venerdì 28 ottobre 2011

GIOVANNI POMPONIO VICE BRIGADIERE DELLA POLIZIA DI STATO, VIENE UCCISSO DURANTE UNA RAPINA

Doveva andare in pensione il 2 novembre. Mancano solo quattro giorni per quel traguardo raggiunto dopo 37 anni di servizio. Il  28 ottobre del 1975 è di riposo settimanale, ma Giovanni Pomponio, vice Brigadiere della polizia di Stato, in servizio alla Polfer di Napoli, non si fa pregare più di tanto. Il dovere lo chiama. Servono agenti  all'ufficio cassa presso la stazione centrale di Napoli.  Per i ferrovieri è un giorno di paga. Giovanni obbedisce. In quella cassa ci sono circa 500 milioni di lire. 475 vengono trasferiti in altro ufficio con la scorta di 5 uomini, i rimanenti 25 restano alla cassa con la sorveglianza di Giovanni Pomponio.  Giovanni non sa che quella mattina ci sono anche altre persone che vogliono quei soldi: una banda di criminali che tenta di rapinare gli stipendi dei ferrovieri.  Giovanni Pomponio reagisce. Gli sparano alle spalle. Lo colpiscono alla nuca ferendolo mortalmente. Morirà due giorni dopo, il 30 ottobre del 1975.
 "Fulgido esempio di sacrificio spinto all'estremo". Così è scritto  sulla medaglia d'oro al valor civile consegnata ad Antonietta Vigliotti, vedova di Giovanni Pomponio, rimasta sola con i due figli, Giuseppe e Sergio.

giovedì 27 ottobre 2011

A GENNARO DEL PRETE IL PREMIO BORSELLINO 2011 PER "L'IMPEGNO SOCIALE E CIVILE"

A Gennaro del Prete, figlio di Federico, il sindacalista dei commercianti ambulanti ucciso dalla camorra a Casal di Principe, il 18 febbraio del 2002, è stato assegnato il premio nazionale "Paolo Borsellino 2011", per la categoria "Impegno sociale e civile". La premiazione avverrà sabato 29 ottobre a Pineto, alle ore 10, al Teatro  Polifunzionale.
Ecco anche l'elenco di tutti i premiati della 16^ edizione:
Per la categoria “Impegno culturale”:
Premiato il gruppo musicale de “I Giganti”.
Per la categoria “Impegno sociale e civile”:
la Cooperativa Sociale “I Colori”, Antonello Persico, Egidia Beretta Arrigoni (madre di Vittorio Arrigoni), Gennaro Del Prete, Rodrigo Jaimes Hidalgo.
In ricordo di Enzo Biagi:
 il giornalista Piero Comito.
In ricordo di Giuseppe D’Avanzo:
 il giornalista Giuseppe Baldessarro.
In ricordo di Roberto Morrione:
il giornalista Andrea Pamparana.
Per la categoria “Impegno per la legalità”:
saranno premiati la Guardia di Finanza Regione Abruzzo, Giuseppe Narducci del “Progetto Legalità Comune di Napoli”, i magistrati Giuseppe Lombardo, Anna Canepa, Luca Tescaroli.
La manifestazione sarà conclusa dall'ex senatore Lorenzo Diana, Presidente della “Rete per la Legalità”.

venerdì 21 ottobre 2011

ATTILIO ROMANO': PENTITO CONFERMA CHE FU IL CLAN DI LAURO AD UCCIDERLO

Un articolo pubblicato ieri, 20 ottobre, sul Giornale di Napoli,  conferma che l'assassinio di Attilio Romanò, avvenuto a Miano il 24 gennaio del 2005, fu eseguito da killer del Clan Di Lauro, in guerra con il gruppo degli scissionisti.

Ecco l'articolo pubblicato sul quotidiano napoletano:

 «Ho saputo, quando ero nella villa bunker di Varcaturo che i killer che uccisero Romanò erano di “mezzo all’Arco” e quindi del clan Di Lauro». A parlare è Giovanni Piana, il pentito che sta raccontando i retroscena dell’omicidio di Attilio Romanò, massacrato durante la "guerra" di Scampia, e vittima innocente di una assurda faida. Cosimo Di Lauro, Mario Buono e Marco Di Lauro, latitante, furono rinviati a giudizio in Corte d'Assise, così come aveva chiesto la Dda di Napoli, poco meno di un anno fa. Ieri in aula doveva testimoniare Giuseppe Misso che però non si è presentato, mentre l'altro pentito, Giovanni Piana, in aula ha testimoniato: «Quando ero a Varcaturo, seppi che c’era un villa bunker da dove partirono i killer durante la faida. Lì seppi che erano stati quelli di “mezzo all’Arco”».

Sull'omicidio Romanò, a metà novembre, saranno ascoltati Biagio Esposito e Carmine Cerrato. Attilio Romanò, lo ricordiamo, fu vittima innocente delle sanguinosa faida di camorra tra i Di Lauro e gli scissionisti. Il delitto avvenne il 24 gennaio 2005. Nel corso del lavoro investigativo, coordinato dalla Procura Distrettuale Antimafia partenopea, i militari hanno potuto chiarire che l'omicidio avvenne nell'ambito delle vendette trasversali messe in atto durante lo scontro tra il clan camorristico dei Di Lauro e gli scissionisti, capeggiati dai boss Amato- Pagano. Infatti, la vittima designata avrebbe dovuto essere l'altro titolare del negozio di telefonia, Salvatore Luise, nipote del boss Salvatore Pariante, per anni fedelissimo e personaggio di spicco della cosca di "Ciruzzo 'o milionario", nei cui confronti era stata sentenziata una condanna a morte, colpevole di essere passato con gli "scissionisti". L'uomo si era appena allontanato dal negozio. Il killer, identificato nel ventenne, all'epoca, Mario Buono, che entrò in azione intorno alle 13, sparò contro la prima persona che si era trovato di fronte nell'esercizio commerciale di via Napoli a Capodimonte: appunto Attilio Romanò

mercoledì 19 ottobre 2011

ASS. VITTIME VIA GEORGOFILI: "VOGLIAMO VERITA' SU TRATTATIVA MAFIA E STATO"

Ancora una presa di posizione dell'Assocazione familiari vittime delal strage di via dei Georgofili sulla trattativa tra Stato e mafia. «Non vi sono più dubbi: la trattativa tra Stato e mafia non è più solo una nostra idea peregrina». Dichiara la presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili a Firenze, Giovanna Maggiani Chelli, per la quale «alcuni politici di questo Paese nel 1992 dopo la morte del giudice Falcone, minacciati dalla mafia, hanno cercato con ogni probabilità di salvarsi il collo e hanno così sacrificato la vita dei nostri figli: vogliamo sapere se è vero».  «La mafia, dopo la morte del giudice Borsellino che con ogni probabilità scoprì i maneggi dei politici minacciati - dice la persidente dell'associazione Giovanna Maggiani Chelli - ha alzato il tiro e noi in via dei Georgofili abbiamo perso i figli e ne abbiamo di altri ancora oggi in difficoltà oggettive, anche a causa di leggi non applicate in modo giusto e ancora una volta vittime di un sistema che intende applicare tagli economici anche per quelle persone alle quali non ha garantito nulla. A questo punto, invochiamo a gran voce la verità tutta». Per la presidente dell'associazione familiari delle vittime, «le indagini per strage che ci riguardano dovranno riprendere a pieno ritmo e chiarire una buona volta, attraverso un processo penale, se lo Stato per salvare deputati e senatori inadempienti verso la mafia ha lasciato ammazzare bambini e ragazzi. Vogliamo e pretendiamo verità o davvero dovremmo mettere in discussione il grado di civiltà del Paese nel quale siamo costretti a vivere».