mercoledì 2 luglio 2014

IL VESCOVO NOGARO: "LA GENTE HA GIA' PROCLAMATO SAN PEPPINO DIANA DI TERRA DI LAVORO"

“Se la chiesa non lo canonizza, lo canonizziamo noi don Peppino Diana, perché lui è di una santità autentica, genuina: la santità del popolo”. Raffaele Nogaro, il vescovo emerito di Caserta, ritorna su una vicenda che per la chiesa casertana è una questione ancora aperta: la beatificazione del sacerdote ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994. Lo fa nella sua Caserta, in un bene confiscato assegnato al centro Nausica, nel corso di una tappa del festival dell’Impegno civile, l’iniziativa promossa dal Comitato don Peppe Diana e Libera. “Mi interessa relativamente la santità canonica da parte della chiesa – continua a dire Nogaro, che da qualche mese è ritornato a parlare in pubblico dopo una lunga degenza - A me piace di più il Don Diana santo del popolo, perché lui si è incarnato nel popolo. Mi piacerebbe tanto che la gente del sud lo ricordasse come “San Peppino Diana di Terra di Lavoro”. 

Nogaro racconta la sua amicizia con don Diana, che il 4 luglio avrebbe compiuto 56 anni. “Alla fine degli anni ’80 me ne parlò il vescovo di Aversa, Giovanni Gazza, uomo del nord come me. Don Peppino era suo segretario particolare già da qualche anno. Alla conferenza episcopale Campana Gazza mi è venuto incontro per confidarsi un po’, perché si sentiva a disagio nell’ambiente meridionale, dove invece io mi sono trovato bene sin dall’inizio nonostante fossi friulano. “Ho paura per lui perché fa affermazioni che non sono permesse. Troppo pesanti”. Anche per Gazza le prese di posizione di don Diana erano fuori dal coro. Ma don Diana era già lanciato lungo la strada che aveva scelto di percorrere.  Naturalmente questa franchezza, questa limpidità di un uomo di chiesa – ricorda con particolare fervore Nogaro -  mi ha entusiasmato subito. E quando Gazza me lo ha presentato, mi ha detto, scherzando, “qui c’è un pazzo come te, solo tu puoi aiutarlo a  comportarsi bene”, subito siamo diventati amici. Abbiamo avuto una frequentazione molto intensa. Eravamo sintonizzati perché il suo pensiero coincideva col mio. Entrambi pensavamo che la Chiesa era collusa con la camorra. La camorra che si è sviluppata in modo così brutale, a livello fisico, e che è diventata un costume. Ha corrotto le coscienze, avviene dappertutto questo, ma una mentalità camorrista specifica purtroppo è stata possibile perché è stata quasi confortata nelle sue azioni più malvage da una Chiesa che forse non capiva la situazione in quel momento. 

Tutto questo a me pareva che fosse una vergogna. Quando don Diana mi ha fatto vedere il documento che aveva scritto  “Per amore del mio popolo” ne sono stato felice. Nella parte in cui parla della camorra, la descrive come il nichilismo dell’umanità perché - e si rivolge agli uomini di chiesa – il principio che dovrebbe governare e dirigere il nostro rapporto con le persone è quello dell’amore per il fratello. Mentre la camorra è il principio opposto: l’odio per il fratello. Il principio della supremazia dell’egoismo, dell’individualismo. Il nichilismo che naviga nel nostro pensiero contemporaneo, è stato messo in atto, rivissuto da queste forme camorristiche che troviamo nelle nostre terre. Don Diana, lo so bene, non era un prete disciplinato – si accalda Nogaro -  ma credeva, pregava, annunciava Cristo, aveva la religione dell’amore del prossimo. Che è quella genuina, è quella del Vangelo, quella di Papa Francesco che dice che la Chiesa è un ospedale da campo e deve provvedere a sostenere  nell’emergenza  tutti quelli che hanno bisogno, amici o nemici non importa. Ecco Don Diana faceva le cose che oggi sostiene Papa Francesco. Perciò dico che la sua è autentica, è quella vicina al popolo. E se la chiesa non lo canonizza, poco male, perché per la gente don Diana è già santo.


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