Il brano è tratto dal mio libro "La Bestia" (Melampo Editore)
18 febbraio del 2002. Quella sera faceva freddo a Casal di Principe.
C’era poca gente per strada e Federico Del Prete, giacca e cravatta come sempre, stava parlando al telefono nella sede del sindacato in via Baracca. Per arrivare nel suo ufficio bisognava passare da Corso Umberto, la strada che divide San Cipriano d’Aversa e Casale e che porta a Frignano e poi ad Aversa. Ci si infila passando vicino all’unico cinema della città, il cinema “Faro”, che sino a qualche anno fa proiettava solo film a luci rosse. Pochi negozi lungo questo tratto di via: alcuni bar e circoli ricreativi. A Casal di Principe ce ne sono tanti di circoli ricreativi. Sono i tipici luoghi di aggregazione dei giovanissimi, usi passare il loro tempo tra tavoli da biliardo e videopoker, che qui hanno dimensioni e offerte fantasmagoriche. Dal corso principale, fino all’ufficio dove Federico aveva aperto la sede del sindacato, erano sì e no cinquecento metri in linea d’aria. I vicoli si presentano con portoni grandi e muri spessi e alti, colorati per lo più in giallo ocra. Da sotto i balconi del primo piano ogni tanto spunta l’occhio vigile di una telecamera. È la sicurezza fai-da-te dei camorristi, che temono sorprese dalle forze dell’ordine.
Quando i portoni si aprono, offrono alla vista le caratteristiche strutture a corti con l’aia dove non molti decenni fa si svolgevano tutte le attività agricole delle famiglie casalesi. Oggi al posto dei trattori ci sono le Mercedes. In molti casi i Suv fanno bella mostra al centro del cortile. Anche da queste parti sono simboli da esibire su strade rappezzate alla meglio. Strade che al visitatore distratto sembrano tutte uguali e anonime. Le conosceva bene, una per una, invece, chi quella sera di febbraio di sei anni fa aveva deciso di chiudere i conti con il sindacalista che s’era messo in testa di intralciare gli affari della camorra. Doveva essere uno del posto quello che arrivò fino al suo ufficio per chiudere i conti. Doveva sapere a menadito dove andare, quando colpire e per quali strade fuggire. Mancava qualche minuto alle 19,30. Poco prima alcuni commercianti ambulanti avevano lasciato il piccolo ufficio di Federico. Una stanza a piano terra con una porta a vetri. Ai muri qualche manifesto del sindacato e una piccola bacheca per gli appuntamenti. Alle sue spalle un croficisso. Fuori dall’ufficio una targa con la scritta Snaa, il sindacato dei commercianti ambulanti, i “mercatari”, come si chiamano tra loro. Federico era un ambulante anche lui. E aveva fondato il sindacato qualche anno prima, dopo essersi conquistato la fiducia di molti suoi colleghi denunciando gli abusi subiti da chi frequentava la fiera settimanale di San Giovanni a Teduccio.
La telefonata che stava facendo quella sera non era breve. La voce tesa tradiva la tensione accumulata nei giorni precedenti. La porta dell’ufficio non era chiusa. Nessuna serratura di sicurezza, nessun filtro per le presenze indesiderate. Da questo punto di vista la stanza era davvero un porto di mare. Chiunque avesse voluto entrarci, poteva farlo senza problemi. Federico si era slacciato la cravatta. Non lo faceva mai, evidentemente la telefonata lo stava stancando o innervosendo. A un certo punto entrò di botto una persona dando una spinta violenta alla porta. Gli si parò davanti. Aveva in mano una pistola calibro 7,65. Federico lo guardò impietrito. Capì che era un killer della camorra. Non se l’aspettava, anche se da qualche settimana aveva incominciato a temere seriamente per la sua vita. Forse urlò. E forse dall’altro capo del telefono si sentì quello che stava accadendo. Poi, cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo a terra senza vita. Accadde tutto in pochi istanti. Poi il killer girò le spalle. Due passi veloci e fu sulla strada. Fuori lo aspettava una macchina. con il motore acceso. «Andiamo. È fatta», disse il killer ai complici. Una sgommata e via. Nel giro di qualche minuto l’auto venne inghiottita dai vicoli (...)
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