Fu ucciso prima di poter conseguire la laurea in Teologia
Biblica a cui teneva tanto. Stamattina il riconoscimento “post mortem” per don
Giuseppe Diana con la consegna della “Licenza” da parte della commissione
d’esami nelle mani dei fratelli, Emilio e Marisa. La cerimonia, sobria ma molto
partecipata, si è tenuta presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale a Napoli, nella prestigiosa sede di Via Petrarca, alla presenza dei
familiari di don Diana, di tanti amici e
sacerdoti arrivati da Casal di Principe, e di numerosi studenti dell’istituto.
Al tavolo dei relatori
il preside decano, don Sergio Bastianel, uno dei suoi professori dell’epoca, don Ettore
Franco; don Giovanni di Napoli, suo
compagno di seminario e il vescovo della
diocesi di Aversa, monsignor Angelo Spinillo.
“Questa giornata ha luogo perché nel 2011 – ha spiegato don
Ettore Franco – il professor Sergio Tanzarella prese l’iniziativa di richiedere la
ricomposizione del curriculum accademico
di don Peppino Diana. Il consiglio accademico ha discusso e valutato la
richiesta e ha deciso che c’erano le condizioni per concedere la laurea “post
mortem”.
A don Diana, già laureato in lettere e filosofia, mancavano pochi
esami per la laurea in Teologia Biblica.
“Aveva raggiunto 29 crediti doveva arrivare a 36 compresa la tesi finale. Don
Diana – ha ricordato don Ettore – citava spesso i profeti. Insieme agli altri
parroci, aveva prodotto il documento: “Una religione della responsabilità”, in
vista delle elezioni del 1993: “Stavolta il coraggio della ipocrisia e la
coscienza di essere lievito nella pasta, ci impongono di non tacere”. Intervistato da Repubblica il 24 ottobre ’93, don
diana esplicitò meglio il suo pensiero: “Non sono un politico, ma un uomo di
chiesa che si limita a lottare accanto alla gente che abita in questi luoghi
nel tentativo di affermare quei diritti che il malgoverno e la camorra hanno
sempre negato”.
“Gli avevo affidato una tesi dal titolo: “L’affidabilità del
profeta” – ha ricordato don Ettore - Quella tesi non è mai stata consegnata in
segreteria, ma è stata scritta con l’amore più grande, quella che dona la vita
ed è stata firmata col sangue”.
Don Giovanni di Napoli ha tratteggiato il profilo di Don
Diana, ragazzo di paese, compagno di seminario,
ragazzo di provincia e uomo coraggioso. “Si stabilì tra noi un’amicizia sincera. In lui cresceva a vista d’occhio anche
la dimensione spirituale. Spesso mi capitava di sorprenderlo in preghiera. Due
esperienze lo avevano segnato in modo particolare: il contato con gli ammalati e il rapporto con
gli scout dell’Agesci. Mi confidava che la sua spontaneità lo faceva apparire agli altri come un superficiale. Ma non era
così. Era attaccato alla terra. Alla sua terra, Nell’estate del 1969 tre di noi
vivemmo con lui anche un’esperienza di lavoro nel suo terreno raccogliendo
pesche per almeno quindici giorni. Fu l’occasione per conoscere la sua solidità
di legami familiari e parrocchiali. Tutta la sua esuberanza la incarnava al
servizio della chiesa e della sua missione. Parafrasando il profeta, diceva:
“Impara da me che sono mite e umile di cuore”.
A consegnare la laurea nelle mani di Marisa ed Emilio, i fratelli di don Diana, nella commozione generale, è stato il vescovo
di Aversa, Angelo Spinillo. “La pergamena di laurea, interamente scritta in
latino – ha spiegato il preside Don
Bastianel - porta scritto in alto “in
memoria”, ricordando così che si tratta appunto di un titolo rilasciato ad
“Honorem”.
Monsignor Spinillo nel suo saluto finale, ha voluto
ringraziare la Pontificia Facoltà
per questo riconoscimento. “Noi lo accogliamo non solo come
commemorazione – ha detto - ma come un
gesto che ci richiama ad un percorso da continuare nella nostra storia
personale. La citazione di scritti di don Diana e il racconto di episodi di
vita vissuta, dimostrano la ricchezza del suo cammino, un percorso a volte anche
faticoso con cui ha risposto alla vocazione. Mi piace pensare che le citazioni
bibliche fatte, tutte prese nell’ambito della profezia, annuncino che non c’è
compimento nella nostra vista se non si è partecipi nell’annunzio del nuovo. Mai
come nel caso di don Diana il chicco di grano che è morto, ha generato vita nuova”.
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