La figlia di Totò Riina, Lucia, la terzogenita, in una intervista alla tv svizzera Rts, dichiara di essere dispiaciuta per le vittime della mafia, ma di
essere onorata di portare il cognome del padre. Un video che ha già suscitato molte polemiche e, soprattutto
le stizzite reazioni della presidente dell’associazione vittime di via Georgofili, Giovanna Maggiani
Chelli.
«La smetta di rilasciare interviste a
tanto il chilo - scrive Maggiani Chelli -, suo padre non ha ucciso qualcuno
durante un raptus, ma ha macellato e fatto macellare scientificamente centinaia
di poveri cristi che si sono trovati anche solo sulla sua strada come i nostri
figli. Inorridisca una buona volta Lucia Riina davanti a tanto sangue innocente
versato perché quelle come lei potessero fare la bella vita». «La prossima
volta che rilascia una intervista del genere - scrive Maggiani Chelli -
penseremo seriamente a cercare la possibilità di querelarla per lesa memoria
dei nostri morti torturati e massacrati come cani dal macellaio di via dei
Georgofili Salvatore Rina. Inoltre bastano le nostre di televisioni che
esaltano i figli dei criminali , non ci si mettano anche quelle svizzere,
guardino in casa loro e scopriranno così che capi mafia come Riina Salvatore
non ne hanno mai avuti e che non è il caso di dare voce alla loro progenie».
Il commento della
sociologa Alessandra Dino. «Nulla di nuovo. Ancora una volta la strategia comunicativa della mafia,
e in particolare quella della famiglia Riina, passa attraverso l'utilizzo di
rassicuranti figure femminili, come accade in questo caso in cui a parlare è la
figlia minore del boss». Così la sociologa Alessandra Dino, docente
dell'università di Palermo e autrice di numerosi saggi sul rapporto tra la
mafia e le donne, commenta l'intervista rilasciata a una Tv svizzera da Lucia
Riina. «Quello che più mi ha colpito - sottolinea la studiosa - è la continuità
familiare: nell'intervista in studio Lucia ha la stessa facies, lo stesso look,
perfino la stessa pettinatura che aveva la madre, Antonietta Bagarella, quando
negli anni '70 fu intervistata dal giornalista Mario Francese, poi ucciso dalla
mafia. Ed anche gli argomenti sono gli stessi, come il richiamo alla tradizione
cattolica familiare e la difesa del cognome che porta. Insomma, lascia
riflettere non poco il fatto che una donna di 32 anni usi gli stessi clichè
della madre, a quarant'anni di distanza». Riferendosi infine alla frase di
Lucia Riina che si è detta «dispiaciuta» per le vittime di mafia ma «onorata»
di portare il cognome del padre, la sociologa osserva: «C'è un corto circuito
logico in queste dichiarazioni, un forte distacco emotivo, come se nessuno
fosse responsabile della morte di queste persone. Una separazione tra sfera
privata e responsabilità pubbliche. Il fatto che Lucia Riina non riesca a
condurre una vita 'normale’ non dipende certo dallo Stato ma è legato alla
storia della famiglia cui appartiene»
Maria Falcone - «Provo
sconcerto e biasimo per le dichiarazioni di Lucia Riina. Pur rispettando il suo
ruolo di figlia e consapevole che le colpe dei padri non possano per nessuna
ragione ricadere sui figli, non accetto che una donna cattolica praticante,
come lei sottolinea più volte nell'intervista, non prenda le distanze da un
padre assassino. Un padre che ha provocato lacrime e dolore disumano alle tante
famiglie delle vittime colpite dalla sua efferata violenza e ferocia». Così
Maria Falcone, sorella di Giovanni, il giudice antimafia ucciso da Cosa nostra
nel 1992, commenta l'intervista rilasciata a una tv svizzera dalla figlia di
Totò Riina, Lucia. «Sarebbe stato meglio, per etica, moralità e discrezione
verso gli italiani - prosegue -, non sbandierare il proprio 'onorè di portare
un cognome tanto scomodo e relegare al proprio privato i sentimenti che si
nutrono verso un genitore. Così come è altrettanto grave che per facile
audience una tv svizzera si interessi alla figlia di un boss italiano,
raccogliendo le sue opinioni su fatti tanto drammatici per la storia del nostro
Paese e per le famiglie dei martiri colpiti dalle azioni mafiose ordite dal
boss Salvatore Riina».
Sonia Alfano - «Lucia Riina proprio non ce la fa a stare lontana dalle luci
della ribalta. È più forte di lei. E non ce la fanno giornali e tv a mantenere
la decenza evitando di darle spazio» commenta Sonia Alfano, presidente della
Commissione Antimafia Europea. «È francamente esasperante e disgustoso
assistere a tale reiterato spettacolino da parte di Lucia Riina: - aggiunge -
si dice dispiaciuta per le vittime del padre, ma al contempo orgogliosa del
cognome che porta, perché corrisponde alla sua identità. Una contraddizione in
termini, senza dubbio. Del resto Lucia Riina non è nuova a queste uscite e da
lei non mi aspetto nulla di meglio di quanto fino ad ora fatto (o non fatto) e
detto (o non detto)».
«È figlia di uno dei più cruenti mafiosi che la storia ricordi ed orgogliosa di esserlo. - prosegue - Questo, per me, basta a qualificarla. Mi aspetterei però maggiore prudenza e dignità da parte dei media. I familiari delle vittime, loro sì giustamente orgogliosi dei nomi che portano, vengono spesso ignorati. Si riesce a dare maggiore spazio e visibilità ai figli dei mafiosi che ai figli degli eroi civili che i mafiosi li hanno combattuti con coraggio e sprezzo del pericolo, rimettendoci la vita».
Intanto,
è sparito dal sito della tv svizzera TSR
il video dell'intervista a Lucia, la figlia di Totò Riina. Lo annuncia Giovanna
Maggiani Chelli, presidente dell' Associazione tra i familiari delle vittime
della strage di via dei Georgofili. «Ci aspettiamo ora - aggiunge
l'associazione - che quanti, nel mondo, hanno in queste ore divulgato il video
contenente l'intervista alla figlia del Capo di »Cosa nostra«, facciano
altrettanto». «L'enormità della strage di Firenze in via dei Georgofili il 27
Maggio 1993 ha fatto il giro del mondo , perché erano stati colpiti gli Uffizi
, ma quella notte morirono sotto 277 chili di tritolo distribuito da Salvatore Riina
per salvaguardare i suoi affari e quelli dei suoi eredi, due bambine
piccolissime, un ragazzo di venti anni e due giovani di poco più di 30 anni. Va
tolta quindi ogni voce ai mafiosi terroristi eversivi del 1993 e ai suoi eredi,
a meno che non vogliono verbalizzare ciò che sanno nella procura della
Repubblica di Firenze» conclude l'associazione.