Il brano è tratto del mio libro: "Come nuvole nere" - Melampo edizioni
La piazza di Frattaminore è
affollata come un formicaio. I bar e i circoli brulicano di gente. Chi si siede
sulle panchine, chi prende il caffè, chi chiacchiera, chi passeggia. E qui che gli uomini preferiscono stare fino
a tardi, soprattutto in quelle serate di fine estate dove il clima è mite e
l’aria è pervasa dai profumi dei primi mosti di vino asprinio e vino fragola.
E‘ qui che la sera del 3 settembre 1982 quattro killer della camorra cercano un
uomo da uccidere. E’ Andrea Mormile, 31 anni, un giovane maresciallo di Polizia
che non vuole delinquenti nel suo territorio. Non ha paura di nessuno e ha già
fatto arrestare diverse persone che non rispettano la legge. Intralcia anche
gli affari del clan che qui ha il nome di Giuseppe Puca, “ ‘o Giappone”, ras in
ascesa di Sant’Antimo, legato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele
Cutolo. I camorristi sanno bene che la piazza è il luogo di ritrovo per
eccellenza. Se hai da dire qualcosa ad un amico o vuoi incontrarlo, è qui che
devi cercarlo, nella piazza, in mezzo a tante altre persone. I quattro killer
sono in una “Jetta” Wolkswagen di colore verde scuro. La spedizione di morte è partita da
Sant’Antimo appena il sole si è abbassato e ha cominciato ad allungare le ombre.
Quasi alla stessa ora Andrea Mormile
scende dal secondo piano di uno stabile
ubicato a Orta di Atella, una stradina poco distante dalla piazza di
Frattaminore. Andrea è in cerca di un suo conoscente. Si dirige verso la
piazza. Cammina insieme ad un altro amico fraterno. Si stanno recando a piedi al circolo sportivo
“Armando Picchi”, il grande capitano dell’Inter degli anni ’60. I killer sanno che il loro uomo arriverà in
piazza prima di cena. Qui si conoscono tutti. Andrea abita ad Orta di Atella
non lontano dal centro di Frattaminore,
il paese di sua moglie, Pina Pellino. Hanno tre figli piccoli: Paride, 10 anni,
Alessandro 9 anni e Morena, 5 anni.
L’auto dei killer si muove piano per i vicoli stretti del paese,
dove la gente d’estate è abituata a sedersi fuori le abitazioni per trovare
refrigerio e per scambiare qualche parola con i passanti. Loro tirano dritto.
Sono tutti armati. Conoscono bene la zona. Sanno come muoversi. Sanno che tutti
i vicoli arrivano in piazza, come i corsi d’acqua che alimentano un lago. Le
case da queste parti non hanno soluzione di continuità, sono costruite una
addosso all’altra e confondono anche i confini dei Comuni.
Orta di Atella e Frattaminore sorgono una di fronte all’altra, in
un’area dove 300 anni prima di Roma c’era già l’antica città Osca di Atella. E’
un posto pieno di storia. Qui sono nate
le “Fabulae atellane”, le radici della
commedia dell’arte italiana. Orta di Atella e Frattaminore sono divise solo da
una strada provinciale: la Aversa-Caivano, che squarcia in due il cuore
dell’antica Atella. Comincia alle spalle della stazione ferroviaria della città
normanna e termina nel rione verde di Caivano.
Andrea Mormile non si è minimamente accorto di essere controllato
a poca distanza da alcune persone a bordo di un’auto che li segue a passo
d’uomo. Per strada tutti quelli che incrocia lo salutano con rispetto. Lo
conoscono in tanti. E’ in servizio alla 1^ Sezione della Squadra Mobile della
Questura di Napoli. E’ nei “Falchi”,
“l’antiscippo”. Sono poliziotti in sella a motociclette di grossa cilindrata
che girano per i quartieri di Napoli per
prevenire rapine e scippi nei confronti dei turisti. Impossibile prendere i
ladri inseguendoli con le auto. Così hanno istituito il gruppo dei “Falchi” per
muoversi più agilmente per cercare di acciuffare gli scippatori nei tortuosi
vicoli della città. Hanno licenza di vestirsi diversamente da tutti gli altri
poliziotti: capelli lunghi, barba incolta, giubbotto in pelle, pantaloni a
zampa di elefante, occhiali da sole Ray-Ban. L’abbigliamento li fa assomigliare
più ai ladri che alle guardie. E’ il loro modo di confondersi tra la gente dei
vicoli. Andrea ha i capelli lunghi e ricci. Porta spesso un giubbotto di pelle e una camicia a quadroni
sbottonata sul petto, da dove fuoriesce sempre un medaglione o una catena
bene in vista. Ha uno sguardo severo che incute timore. Per tutti è “il
maresciallo Mormile”. I gradi di
maresciallo li ha conquistati sul campo con una pericolosa operazione di
servizio. Il 24 aprile del 1980 non esita ad infilarsi nella filiale del Credito Italiano di Corso
Lucci a Napoli, dov’è in corso una rapina con delle persone in ostaggio. Si
finge cliente e ingaggia un conflitto a
fuoco con i rapinatori. Sventa la rapina e libera gli ostaggi. Gli vengono
conferiti i gradi d maresciallo direttamente dalle mani del capo della Polizia,
Giovanni Coronas, insieme al suo collega Antonio Piccirillo.
“Quella sera del 3
settembre 1982 non la dimenticherò mai – racconta Pina Pellino, la moglie di
Andrea che oggi ha cinquantasettenne anni -
Andrea era tornato da lavorare nel pomeriggio. Per lui non c’erano
orari. Mangiava quando tornava. L’agguato avvenne verso le otto di sera.
“Scendo perché mi devo incontrare in piazza con degli amici a Frattaminore”, mi
disse. Nel frattempo io ero rimasta a casa, in attesa di andare più tardi a
fare una visita a degli amici che avevano un bambino con problemi di salute. E’
sceso e non è più tornato. Mentre ero a casa è venuta mia sorella attorno alle 20,30. Aveva sentito che era successo
qualcosa, ma non sapeva nemmeno lei che era morto. “Vestiti e scendi con me – urlò -
perché Andrea è stato coinvolto in una sparatoria”. Pensavo fosse una
rapina in un negozio in piazza, non un agguato diretto a lui. Nel frattempo ho
bussato alla porta di mia cognata, la sorella di Andrea, che abitava sul mio
stesso pianerottolo. Quella sera da lei c’era un altro mio cognato, Stefano,
uno dei fratelli di Andrea, anche lui poliziotto. “E’ successo qualcosa ad
Andrea. C’è stata una sparatoria in piazza a Frattaminore”. Praticamente me lo
sono tirato in ascensore e lì gli ho detto quello che sapevo. Dalla mia
abitazione la piazza distava un cinque minuti in auto, era vicinissima. La
piazza era gremita di gente. Così siamo andati direttamente nel vicino ospedale
di Frattamaggiore, per accertarci delle sue condizioni”. Pina abbassa la testa
e si mette la faccia tra le mani. Pensare a quei tragici momenti non è facile.
“In ospedale c’era un suo amico fraterno. “Dove sta mio marito?”
ho chiesto. E lui: “Non ti preoccupare lo hanno portato in ospedale a Napoli”.
La cosa mi è parsa strana, perché non si separava mai da Andrea. “Se lui è qui – pensavo tra me e me - Andrea non può essere da qualche altra parte,
perché loro due sono inseparabili”. Ho capito subito che era morto. Mio
cognato, invece, è entrato e l’ha
visto. E ugualmente non mi ha detto
niente. Nessuno se l’è sentita di mettermi subito di fronte alla tragicità del
fatto”. Pina non ce la fa ad andare
avanti a raccontare. Troppo doloroso ricordare. Ci pensa Paride a continuare il
racconto, il primogenito della famiglia che ora fa il poliziotto a Napoli. E’
nei “Falchi”, proprio come il papà.
“E’ arrivata un’auto, una “Jetta” Wlkswagen verde scura, con
quattro persone a bordo. Facevano parte di un gruppo camorristico legato al
boss Raffaele Cutolo. A bordo c’era Giuseppe Puca di Sant’Antimo, detto “ ‘o
Giappone” e altri tre suoi affiliati. Voleva affermare la sua “sovranità” su
questo territorio. Papà camminava a passo lento insieme al suo amico. Non si
era accorto di essere seguito. Sono scesi dall’auto e hanno aspettato che arrivasse a tiro. Prima
gli hanno sparato alle spalle con una mitraglietta, cogliendolo di sorpresa.
Poi, una volta caduto a terra, gli sono andati vicino e gli hanno sparato un
colpo in fronte, per avere la sicurezza che morisse. Nell’agguato è stato
ferito alle gambe anche la persona con cui
papà stava camminando e una signora di 66 anni, che era seduta fuori il palazzo. L’azione dura solo qualche minuto. La gente
scappa impaurita. L’auto dei killer parte a grande velocità. Ma a causa del fondo stradale scivoloso, l’auto
perde il controllo e finisce contro un marciapiedi. Una ruota scoppia e l’auto
si ferma di colpo. I killer scendono dalla vettura e armi in pugno bloccano una
Simca che in quel momento stava transitando nei pressi della piazza di
Frattaminore. Aprono lo sportello del guidatore e lo scaraventano sulla strada
e scappano velocemente. La Simca verrà ritrovata dalle parti di Scampìa, a
Napoli, nel quartiere Marianella. La “Jetta”, invece, risulterà rubata due
giorni prima sulla strada che da Afragola
porta a Frattamaggiore ad una persona di Calitri. Poco dopo si sparge la
voce dell’uccisione di Andrea Mormile. I suoi compagni dei Falchi arrivano in
forze e in pochissimo tempo nella piazza di Frattaminore c’è di nuovo il caos. Cominciano
a sparare all’impazzata per la rabbia. Mettono il paese sotto sopra, giurando che
gli assassini l’avrebbero pagata.
“L’hanno
ucciso perché mio padre si faceva rispettare – dice Paride – Papà si è
incrociato in diverse occasioni con questo signore e non ha mai avuto paura.
Papà non si teneva niente. Non voleva che in paese ci fossero ladri o che
arrivasse gente a fare rapine ai commercianti. Se qualcuno chiedeva aiuto era
il primo a dare la disponibilità. Era conosciutissimo in giro. Era il maresciallo
Mormile, un punto di riferimento importante. Lui, l’assassino, invece, ha
pensato che uccidere un poliziotto era come prendere dei punti nel campo
criminale”.
“A Napoli non sarebbe mai morto –
aggiunge Pina con un tono di voce
rassegnato - si scontrava con i Giuliano a Forcella, ma era
sempre rispettato. Eppure aveva
arrestato molti esponenti della famiglia Giuliano. Quando uscivano da galera
avevano ancora più rispetto per mio marito. Solo con quelli di Sant’Antimo
poteva accadere una cosa del genere. Il corpo di mio marito – continua il
racconto la moglie di Andrea - l’ho
rivisto solo dopo tre o quattro giorni, un po’ prima dei funerali, quando
l’hanno ricomposto e ricordo come se fosse adesso il colpo di pistola in
fronte. Queste cose ero abituata a vederle in Tv. Erano gli anni di piombo. “Sono cose che
accadono ad altri” pensavo inconsciamente. Mai mi sarei aspettata che una cosa
del genere potesse capitare anche a me, alla mia famiglia, a mio marito. Non ci
pensavano minimamente. E, invece, quando ti capita, rimani scioccata e capisci anche la tragedia che ha colpito
altre famiglie…”
L’agguato ad
Andrea Mormile viene in parte anche oscurato dai mezzi di comunicazione. La
notizia dell’uccisione del maresciallo di Polizia passa in secondo piano quando
a Palermo, la stessa sera, alle 21,15 un commando mafioso uccide il Prefetto
Carlo Alberto Dalla Chiesa, la sua giovane moglie, Emmanuela Setti
Carraro e l’agente di polizia che gli
faceva da scorta, Domenico Russo, un ragazzo di Santa Maria Capua
Vetere.
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