“Finalmente
qualcosa che ricordi le vittime dei tedeschi. Sono contenta davvero e lo sarebbe
anche il mio papà”. In tutti questi anni, nonostante una disabilità che le
limita la mobilità, non si è data pace per non far dimenticare la morte di
tanti innocenti. Una strage che non ha mai avuto riscontri ufficiali. Se n’è
trovata traccia solo “nell’armadio della vergogna”. Un armadio che è stato
trovato pochi anni fa in un palazzo romano del cinquecento, in via degli
Acquasparta, sede della Procura generale militare, dove venivano depositati
fascicoli di tutte le stragi naziste. C’erano i nomi delle vittime e anche
quelli dei carnefici. Ma fu deciso di salvare i criminali nazisti. Potevano
essere utili per informazioni contro il nemico. Salvarono i criminali, ma
uccisero nuovamente le vittime.
“Fu
una rappresaglia – racconta lo storico Felicio Corvese che da anni cerca di
ricostruire la strage di Conca della Campania – in località Orchi un ufficiale
americano travestito da frate, uccide un soldato tedesco. La rappresaglia
nazista non si fa attendere. In tutta la zona ci furono morti ammazzati tra i
civili dopo veri e propri rastrellamenti . La loro sete di vendetta li fa girare
per le case sparse nelle campagne, prelevano diciannove uomini, tra cui anche
due ragazzi di quindici e sedici anni. In contrada “Faeta” obbligano prima a
scavarsi la fossa l’uno per l’altro e poi li ammazzano a tre alla volta”.
La
strage di Conca della Campania, che in questi anni è rimasta viva solo nella
memoria di chi era stato testimone o di quelli che hanno perso i fratelli, i
padri, gli zii, ha avuto almeno un riconoscimento delle istituzioni locali.
L’iniziativa del monumento, infatti, è stata del Sindaco di Conca. Con lui
c’erano anche l’avvocato Carlo Sarro, parlamentare Pdl, che difende il Comune
nella causa contro lo Stato italiano per il riconoscimento della medaglia d’oro
al valor civile; c’erano i primi cittadini dei numerosi comuni dell’alto
casertano, Mignano Montelungo in testa, dove gli anglo-americani sbarcati a
Salerno, rimasero impantanati per alcuni mesi prima di annientare la resistenza
dei tedeschi in fuga. E, soprattutto, c’era tantissima gente. “Caro
papà – è la lettera che Graziella di Gasparro ha scritto al padre - io non so
dove tu sia perché non riesco ad immaginare l'aldilà che dovrebbe accogliere gli
esseri che non ci sono più. Eppure ti parlo. Ti parlo e so che tu mi ascolti,
perché tu vivi da sempre nei miei pensieri…” Graziella ha letto la lettera
davanti alla croce installata sul sentiero che porta al luogo della strage.
“Volli vedere dov’era mio padre – ricorda tra le lacrime l’anziana donna – lo
trovai in una pozza di sangue. Aveva il cranio sfondato da un proiettile e
tutt’intorno l’erba era diventata rossa. Rossa del sangue del mio papà. Vorrei
che si diffondesse in
ogni valle l'orrore della guerra, perché mai più cresca nei prati un'erba tinta
di rosso”.
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