Giovanni Pomponio |
Il brano che segue è tratto dal mio libro "Come nuvole nere" (Melampo editore)
Giovanni Pomponio morirà il 30 ottobre 1975 dopo 3 giorni di agonia.
Quel giorno, il vice brigadiere di Polizia Giovanni Pomponio
ha il turno di riposo. Ma i suoi superiori la sera prima lo hanno pregato di
andare ugualmente al lavoro. “Ci sono gli stipendi da pagare e non abbiamo
molti uomini per la sicurezza. Domani serve anche la sua presenza come
responsabile di scorta”. Il mattino seguente, Giovanni ha un impegno
importante: partecipare alla messa in ricordo di una giovane nipote della
moglie. La ragazza era morta il 28 di ottobre di sei anni prima, a 16 anni, a
seguito di un incidente. Giovanni vuole assolutamente andare alla funzione religiosa,
ma la moglie lo rassicura: “Non ti preoccupare. Dirò a mia sorella che non sei potuto
mancare dal servizio. Io andrò con l’autobus e al ritorno prenderò un taxi”.
Quel consiglio dato al marito, Antonietta Vigliotti non se lo perdonerà mai, fi
no alla morte. Il 28 ottobre del 1975, il vice brigadiere di Polizia Giovanni
Pomponio è puntualmente al lavoro alla stazione ferroviaria di Napoli-Gianturco
per scortare le paghe dei dipendenti delle Ferrovie. Sa che fra quattro giorni
avrà tutto il tempo libero che vuole, perché andrà finalmente in pensione, dopo
37 anni di servizio in Polizia.
“E invece – racconta Sergio, il secondo figlio di Giovanni –
la pensione non se la godrà mai, perché quella mattina mio padre verrà colpito
a morte durante una rapina. Una banda di criminali assalta l’ufficio cassa.
Sono armati di mitra e pistole per portare via 500 milioni che servono per pagare
gli stipendi dei ferrovieri. Mio padre, ferito alla gola, morirà in ospedale,
dopo tre giorni di agonia. Poteva rifiutarsi di rientrare in servizio quel
giorno, ma lui era un servitore dello Stato, non sapeva dire di no”. Giovanni
Pomponio il 28 ottobre parte presto dalla sua casa al Vomero, vuole evitare il
traffico mattutino. Le strade sono quasi deserte a quell’ora, Napoli ancora
dorme, ma presto si animerà di gente, di colori e di frastuoni. Poco dopo le
sette è nella sede della Polizia Ferroviaria della stazione di
Napoli-Gianturco. Giovanni non sa che ci sono anche altre persone che si sono alzate
presto e che sono interessate agli stessi soldi che gli hanno chiesto di
proteggere. Sono una banda di spietati criminali torinesi che fanno rapine in
serie, negli ultimi diciotto mesi ne hanno messe a segno ben sedici. Sono
arrivati a Napoli da qualche giorno, si spostano col treno, oppure in aereo,
per evitare al massimo i controlli delle forze dell’ordine. Non si fanno vedere
troppo in giro e non frequentano altre persone, solo quelle strettamente necessarie
per organizzare nei minimi particolari le rapine. Colpiscono e spariscono senza
lasciare tracce. Hanno saputo che a Gianturco il bottino è appetibile. Hanno
avuto una soffiata da un basista e vogliono a tutti i costi mettere le mani sulle
paghe dei
ferrovieri.
Con Giovanni Pomponio ci sono altri sette agenti per
difendere la cassa. Il vice brigadiere incarica cinque di essi di provvedere al
trasferimento di 450 milioni alla stazione ferroviaria di Napoli Centrale, dove
verranno pagati la gran parte degli stipendi. Abitualmente il trasporto delle
paghe avviene intorno a mezzogiorno. Stavolta Giovanni Pomponio decide di
anticipare questa incombenza. Appena in tempo. I rapinatori entrano in azione poco
dopo le nove del mattino. Quattro banditi, armati di tutto punto, scavalcano il
terrapieno di Rione Luzzatti e arrivano da un cancello laterale dell’ufficio
cassa. Un cancello che sino ad allora è stato sempre chiuso.
Giovanni si accorge di una persona sconosciuta vicino all’ufficio
paghe e forse vede anche un’arma che lo mette in allerta. Non ha notato che
alle sue spalle ci sono altri due banditi. Carica il mitra e si gira verso lo
sconosciuto: “Dove vai, fermati!”, gli intima. Quella mossa è la sua condanna a
morte, perché da dietro gli sparano a bruciapelo per ucciderlo. Mirano alla
testa, lo colpiscono alla nuca. Il proiettile fuoriesce dalla gola. Il colpo
gli trancia la vena giugulare. Il vice brigadiere di Polizia cade a terra in
una pozza di sangue. Un ferroviere ha visto tutto. Corre vicino a Giovanni
cercando di soccorrerlo: “Bisogna portarlo in ospedale o morirà”. “Non lo
toccare altrimenti farai la stessa fi ne”, gli grida uno dei banditi. Non si
fanno scrupoli. Sono spietati. Si avvicinano al poliziotto a terra, gli sfilano
il mitra e la pistola e continuano la rapina come se nulla fosse accaduto (…)”